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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

«Faccio un passo indietro per amore dell’Italia Lascio il Pdl ai giovani» - Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge

«Faccio un passo indietro per amore dell’Italia Lascio il Pdl ai giovani» - Per amore dell’Italia si possono fare pazzie e cose sagge. Diciot­to anni fa sono entrato in cam­po, una follia non priva di saggezza, ora preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora. Non ri­presenterò la mia candidatura a pre­mier ma rimango a fianco dei più gio­vani che debbono giocare e fare gol. Io ho ancora buoni muscoli e un po’ di te­sta, ma quel che mi spetta è dare consi­gli, offrire memoria, raccontare e giu­dicare senza intrusività. Con elezioni primarie aperte nel Po­polo della libertà, sapremo entro di­cembre chi sarà il mio successore, do­po una competizione serena e libera tra personalità diverse e idee diverse cementate da valori comuni. Il movi­mento fisserà la data in tempi ravvici­nati (io suggerisco quella del 16 Di­cembre), saranno gli italiani che cre­dono nell’individuo e nei suoi diritti naturali, nella libertà politica e civile di fronte allo Stato, ad aprire democra­ticamente una pagina nuova di una storia nuova, quella che abbiamo fat­to insieme, uomini e donne, dal gen­naio del 1994 ad oggi. Lo faranno con un’investitura dal basso nella quale ciascuno potrà riconoscere non solo i suoi sogni, come in passato, e le sue emozioni, ma anche e soprattutto le proprie scelte razionali, la rappresen­tanza di id­ee e interessi politici e socia­li decisivi per riformare e cambiare un paese in crisi, ma straordinario per in­telligenza e sensibilità alla storia, che ce la può fare, che può tornare a vince­re la sua battaglia europea e occidenta­le contro le ambizioni smodate degli altri e contro i propri vizi. Siamo stati chiamati spregiativa­mente populisti e antipolitici della pri­ma ora. Siamo stati in effetti sostenito­ri di un’idea di alternanza alla guida dello Stato sostenuta dal voto popola­re conquistato con la persuasione che crea consenso. Abbiamo costruito un’Italia in cui non si regna per virtù lobbistica e mediatica o per aver vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione. Questa ri­forma «populista» è la più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del paese, ci ha fatto uscire da uno stato di sudditanza alla politi­ca dei partiti e delle nomenclature im­mutabili e ha creato le premesse per una nuova fiducia nella Repubblica. Sono personalmente fiero e cosciente dei limiti della mia opera e dell’opera collettiva che abbiamo intrapreso, per avere realizzato la riforma delle ri­forme rendendo viva, palpitante ed emozionante la partecipazione alla vi­ta pubblica dei cittadini. Questo non poteva che avere un prezzo, la deriva verso ideologismi e sentimenti di av­versione personale, verso denigrazio­ni e delegittimazioni faziose che non hanno fatto il bene dell’Italia. Ma da questa sindrome infine rive­latasi paralizzante siamo infine usciti con la scelta responsabile, fatta giusto un anno fa con molta sofferenza ma con altrettanta consapevolezza, di af­fidare la guida provvisoria del paese, in attesa delle elezioni politiche, al se­natore e tecnico Mario Monti, espres­sione di un Paese che non ha mai volu­to partecipare alla caccia alle streghe. Il presidente del Consiglio e i suoi col­laboratori hanno fatto quel che han­no potuto, cioè molto, nella situazio­ne istituzionale, parlamentare e politi­ca interna, e nelle condizioni europee e mondiali in cui la nostra economia e la nostra società hanno dovuto af­frontare la grande crisi finanziaria da debito. Sono stati commessi errori, alcuni riparabili a partire dalle corre­zioni alla legge di stabilità e ad alcu­ne misure fiscali sbagliate, ma la di­rezion­e riformatri­ce e liberale è stata sostanzialmente chiara. E con il pro­cedere dei fatti l’Italia si è messa all’opera per argi­nare con senso di responsabilità e coraggio le vellei­tà neocoloniali che alcuni circoli europei coltivano a proposito di una ristrutturazione dei poteri naziona­li nell’Unione Eu­ropea. Il nostro fu­turo è in una Unione più solida e inter­dipendente, in un libero mercato e in un libero commercio illuminato da re­gole comuni che vanno al di là dei con­fini nazionali, in una riaffermazione di sovranità che è tutt’uno con la sua ordinata condivisione secondo rego­le di parità e di equità fra nazioni e po­poli. Tutto questo non può essere disper­so. La continuità con lo sforzo riforma­tore cominciato diciotto anni fa è in pericolo serio. Una coalizione di sini­stra che vuole tornare indietro alle lo­giche di centralizzazione pianificatri­ce che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del paese corporativo e pigro che cono­sciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito edu­cati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento. Sta al Popolo della li­bertà, al segretario Angelino Alfano, e a una generazione giovane che ripro­duca il miracolo del 1994, dare una se­ria e impegnativa battaglia per ferma­re questa deriva.