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 2012  ottobre 24 Mercoledì calendario

In segreto Re Giorgio tifa Renzi - L’endorsement ufficiale no, quello Matteo Renzi se lo de­ve proprio scordare

In segreto Re Giorgio tifa Renzi - L’endorsement ufficiale no, quello Matteo Renzi se lo de­ve proprio scordare. Al mas­simo il candidato può provare a ricicla­re la foto di protocollo scattata la setti­mana scorsa a Scandicci, con il presi­dente che arriva per l’inaugurazione dei corsi per magistrati e lui che lo ac­coglie con tanto di fascia tricolore. Sor­risi, strette di mano e tanta simpatia. Nulla di più, sostengono sul Colle, per­ché «il capo dello Stato non può, e non vuole, entrare nelle dinamiche inter­ne dei partiti». Eppure, al di là delle ovvie smentite, tra il vecchio presidente e il giovane sindaco di Firenze non ci sono soltan­to dei normali «buo­ni rapporti» ma ve­ra affinità politica. Basta guardare chi c’è nel cerchio magi­co di Renzi e trovar­ci Alfredo Mazzei, ex tesoriere del Pd partenopeo, vice­presidente della fondazione Mezzo­giorno Europa , il pensatoio voluto da Giorgio Napolita­no e da Andrea Geremicca: Mazzei si è dato molto da fare per Matteo, dirot­tando molti dalemiani campani verso il rottamatore. E basta vedere quanti Neapolitan’s lavorano sottotraccia. Tra questi, pa­re, forse, dicono, anche Umberto Ra­nieri, responsabile per il Mezzogiorno dei democratici, fedelissimo da sem­pre del presidente. Ranieri tra l’altro è tra i promotori del famoso appello a fa­vore dell’agenda Monti: secondo il do­cumento il Pd, se vince le elezioni e ot­tiene Palazzo Chigi, deve completare le riforme del Professore. Grosso mo­do è la posizione di Matteo Renzi, mol­to meno quella di Pier Luigi Bersani che, una volta al governo vuole dare un segno di discontinuità. Tra gli altri firmatari, non a caso, figurano perso­naggi come Piero Ichino, Enrico Mo­rando, Giorgio Tonini e Paolo Gentilo­ni, i liberal del partito, tutti legati al Qui­rinale, tutti sostenitori di Renzi. E se pure Matteo non avrà l’appog­gio esplicito del capo del Stato, intanto si può accontentare di quello di un grande amico di Napolitano, Biagio De Giovanni. Il filosofo nel 1989 invita­va alla «detogliattizzazione» del Pci, ora sulla Stampa batte le mani alla rot­tamazione. «Di un Renzi c’era necessi­tà, ha capito che c’era un bisogno e l’ha interpretato.Ci voleva qualcuno che mettesse in di­scussione la conti­nuità burocratica dell’attuale gruppo dirigente che ha fat­to fallimento». Quanto al presi­dente, lui certo non parla delle primarie. Ma da tempo invi­ta i partiti a cambiare pelle «altrimenti i cittadini non vi capiranno più». Lar­go ai giovani, ripete spesso: «Il banco di prova delle forze politiche sta nella capacità di aprire nuovi spazi di parte­cipazione ». E poi, quasi ogni giorno batte su un altro tasto: la politica dei conti in ordine deve continuare per­ché l’Italia è migliorata ma non guari­ta. Lo sostiene anche dall’Aja, dove è andato in visita di Stato per convince­re i rigidi olandesi che, chiunque vin­ca le elezioni, il nostro Paese rispette­rà gli impegni con l’Europa e prosegui­rà con il rigore. «In dodici mesi abbia­mo varato una serie impressionante di riforme. Abbiamo fatto scelte diffici­li e severe, se cambiassimo rotta ades­so, butteremo un anno di sacrifici».Na­politano parla agli olandesi ma ce l’ha con la nomenclatura Pd, sempre più in sofferenza nel sostegno al governo. Bersani ha criticato con durezza la leg­ge di stabilità, ma per Napolitano do­po Monti c’è Monti o uno che gli somi­gli tanto. Dunque, meglio Renzi? Matteo su questo tace: manca un mese alle pri­marie e il sindaco non vuole fare passi falsi. Si guarda bene dal provocare im­barazzi e dolorose prese di distanza mettendo il cappello sul capo dello Sta­to. «Il presidente è sempre impeccabi­le. Diciamo la verità, è stato lui a rotta­mare un’intera classe dirigente dando il via al governo Monti. Come un presi­de c­he chiama il supplente perché nes­sun professore è in grado di fare lezio­ne. Il primo rottamatore è lui».