Luca Sofri, Il Post 24/10/2012, 24 ottobre 2012
STORIA DI UNA NOTIZIA FALSA
Una nuova storia di notizie-che-non-lo-erano racconta spettacolarmente le contraddizioni e le tortuose vie dell’informazione accurata e trascurata italiana. La racconto vista dalla redazione del Post, ma sarebbe bello avere altri punti di vista, visto che coinvolge direttori e giornalisti di molti giornali italiani.
Domenica una ragazza nera di vent’anni ha raccontato alla polizia di essere stata aggredita da alcune persone che le hanno dato fuoco e hanno scritto “KKK” sulla sua macchina, in un parco a Winnsboro in Louisiana. La notizia ha avuto spazio nella stampa locale e delle brevi sui siti di news nazionali, in spazi molto marginali: probabilmente, come avviene di solito con i media americani, in attesa di maggiori informazioni. Al Post neanche ce ne siamo accorti, quel giorno, confesso.
Cambio scena. Martedì mattina il Corriere della Sera annuncia con comprensibile orgoglio, sia con editoriali sul giornale di carta, che sul sito e sui social network, di avere fatto un accordo col sito Factchecking.it, per coinvolgere i lettori nella verifica sulle notizie pubblicate. Factchecking.it è una bella iniziativa nata la scorsa primavera, che sul Post raccontò allora un suo fondatore: e così martedì mattina ci uniamo su Twitter ai complimenti al Corriere per l’idea di sfruttarla. Il problema della scarsa affidabilità e verità delle notizie pubblicate sui media italiani non devo stare io a spiegarvelo, né a misurarne la dimensione: sarei ridondante e noioso (lo sono, di fatto, anche con questo racconto). Quindi un cambio di rotta a favore di maggiori attenzioni è un’ottima notizia.
Passano alcune ore, e martedì pomeriggio improvvisamente il sito del Corriere della Sera mette addirittura in apertura, a caratteri ben grossi (direi “cubitali”), questo titolo.
Al di là dell’esagerazione linguistica (“torna l’incubo Ku Klux Klan”) a cui siamo abituati ma non dovremmo, faceva un effetto strano. Perché, due giorni dopo il fatto, tanto spazio a una notizia che non era su nessuna homepage di news americana, e non lo era mai stata? Ancora meno spiegabile se cliccavate sul titolo e finivate in un articolo di sì e no dieci righe (sarà un po’ allungato in serata), la lunghezza di una notizia lateralissima.
Poco dopo, sugli altri siti dei giornali e delle agenzie italiane, si fa spazio la stessa notizia con simili titoli (“bruciata viva…”), persino con commenti sul significato dell’accaduto. In alcuni casi con l’informazione che la ragazza “indossava una maglietta di Obama”, informazione che viene rapidamente smentita e corretta, ma non da tutti. Sul Fatto, per esempio, è ancora lì persino nel titolo.
Tanta attenzione e con tanto ritardo si spiegano probabilmente, a chi è curioso come noi di meccanismi e percorsi della comunicazione giornalistica, con una sola fonte italiana che ha rilanciato la notizia con qualche enfasi, e a un conformismo delle redazioni che le sono andate dietro a valanga senza farsi domande sulla sua dimensione, sull’attenzione che avesse avuto negli Stati Uniti, sulla sua attendibilità (domande che ci siamo fatti al Post, preoccupati ci sfuggisse qualcosa, e non abbiamo trovato risposte soddisfacenti). Anzi ognuno aggiungendo una quota di sensazionalismo in più. Metteteci anche la seduzione cinematografica del Ku Klux Klan e la forza dell’immaginario anni Sessanta per i giornalisti italiani di quella generazione (che va matto per ogni cosa Kennedy, ancora oggi, per esempio).
Martedì sera, ne hanno parlato anche i telegiornali, con l’enfasi drammatizzante del caso.
Ultima tappa, stamattina la storia è su tutti quotidiani di carta: Repubblica, Fatto, Secolo XIX e Mattino ce l’hanno persino in prima pagina, tentati probabilmente dalla foto della ragazza o dei cappucci del Klan. Il Corriere le dà tutta la pagina 6, con intervista alla scrittrice Toni Morrison per parlarne. Sotto il titolo a quattro colonne “Ragazza nera bruciata viva Accuse al Ku Klux Klan”, nel sommario, probabilmente corretto e rivisto in extremis, si dice “I dubbi della polizia, che segue anche altre piste”. E in coda all’articolo di Guido Olimpio, se lo leggete, si parla della “svolta”. E si spiega che la storia non è vera: ma per saperlo dovete leggere le ultime dieci righe.
Già, perché intorno alle 23 italiane di martedì la polizia di Winnsboro ha convocato una conferenza stampa per annunciare che la ragazza si è inventata tutta la storia.
Interessante, no?