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 2012  ottobre 26 Venerdì calendario

Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo. A dirlo è un Clint Eastwood d’annata (e anche un po’ dannato) nei panni del sergente dei Marine che deve vedersela con un branco di reclute lavative (Gunny, 1987)

Improvvisare, adattarsi e raggiungere lo scopo. A dirlo è un Clint Eastwood d’annata (e anche un po’ dannato) nei panni del sergente dei Marine che deve vedersela con un branco di reclute lavative (Gunny, 1987). Gran dispendio di turpiloquio machista e cazzotti. Capita a tutti, per necessità o per voglia, di improvvisare: una cena, un brano musicale (chi suona uno strumento), una risposta o una soluzione estemporanea. Nel linguaggio corrente, “improvvisato” vuol dire “fatto in fretta, senza preparazione, abborracciato, approssimativo”. Ma tra essere improvvisatori (cioè produttori di rapide soluzioni sbilenche) e saper improvvisare (saper trovare al volo eccellenti soluzioni, attingendo al proprio repertorio di competenze) c’è un oceano di differenza. L’improvvisazione esperta è un grande fenomeno creativo. Eccovi una manciata di buone suggestioni: come sempre, ogni link arancione vi rimanda alla fonte. 1) Come funziona il cervello quando improvvisa? Charles Limb infila dei jazzisti dotati di tastiera dentro una macchina per la risonanza magnetica (beh, li convince anche a suonare sdraiati sulla schiena). E guarda che cosa succede nel loro cervello, prima mentre suonano un brano che hanno memorizzato, poi mentre improvvisano. Vede che durante l’improvvisazione l’attività dell’area cerebrale deputata all’autocontrollo diminuisce, mentre quella dell’area autobiografica aumenta. L’altra cosa straordinaria è che quando al medesimo musicista Limb chiede di improvvisare insieme a un altro, gli si accende anche l’area di Broca, deputata alla comunicazione e al linguaggio. In seguito Limb infila nella macchina per la risonanza magnetica anche un rapper e scopre che, quando questo improvvisa, gli si accendono aree visive insieme a quelle verbali. 2) Improvvisare non vuol dire non riflettere. Massimo Piattelli Palmarini parte da tre domande che vi chiedono di improvvisare una risposta istintiva (provateci!), per poi raccontare una ricerca che mette a confronto le performance di credenti e miscredenti. 3) La capacità di improvvisare può essere importante per le organizzazioni. Verissimo, anche se ho preso parte a troppe riunioni improvvisate (in senso deteriore) per non ricordare che l’affermazione va presa con le molle. Mario Gastaldi riprende un bel post di Michelle James. Dice che le organizzazioni sono sistemi adattativi, non lineari, interattivi e ad alta complessità. Sviluppare la capacità di improvvisare – magari ispirandosi all’improvvisazione teatrale – migliora la capacità di interagire e la performance globale. Al termine del post di James (in inglese), sette suggerimenti per riuscirci. Opportuno aggiungere che anche l’improvvisazione teatrale riesce bene solo se gli attori sono esperti e sicuri di sé. Ricopio da Wikipedia: Caratteristiche fondamentali dell’improvvisazione teatrale dei gruppi d’avanguardia novecenteschi sono il lavoro di gruppo, la comunicatività, la creatività e la capacità di prendersi dei rischi (…) Importante è anche la rapidità nel prendere decisioni, e l’adattamento alle situazioni impreviste che si possono verificare durante gli spettacoli. Tutte queste cose sono sostenute da una lunga e per niente “spontanea” vasta conoscenza dei testi. La stessa cosa vale per le organizzazioni. 4) Improvvisazione e chirurgia. Prima che venga scoperta l’anestesia (1842, ad opera di C.W. Long), i bravi chirurghi hanno a disposizione pochissimo tempo per intervenire e sono soprattutto bravi improvvisatori: uno di loro, Liston, sviluppa una tecnica rapida che gli permette di amputare una gamba in 25 secondi e, quasi sempre, con risultati assai buoni per l’epoca. Operava così in fretta che una volta amputò, insieme a una gamba del paziente, il dito di un assistente. Paziente e assistente morirono di setticemia, e uno spettatore morì per lo shock. Questa è l’unica operazione chirurgica conosciuta con un tasso di mortalità del 300%. 5) Geni incomparabili ed eccentrici folli. Tutta la scienza del passato è incomparabilmente diversa da quella odierna: i titani della scienza del ‘600, da Galileo a Newton “credevano che la loro missione fosse onorare la magnificenza divina”, dice il matematico Edward Dolnick. E la carettaristica più fenomenale della Royal Society resta l’improvvisazione: geni incomparabili ed eccentrici folli si riunivano allo stesso tavolo. Quasi nulla era conosciuto – come respirano gli animali? O come brucia il fuoco? – e qualunque teoria veniva testata. Oggi la scienza è così formalistica e ufficiale che un atteggiamento simile non sarebbe più possibile. 6) Crisi improvvise, opportunità inaspettate, creatività composizionale. Sono i tre ambili nei quali, in azienda, la capacità di improvvisare può essere risolutiva. Ne parla Teresa Amabile, in un bell’articolo che merita una lettura attenta, e non solo da parte di chi si occupa di modelli organizzativi. Da vedere almeno i commenti alla tavola a pag. 17, che mostra la differenza tra svolgimenti creativi e non in relazione al tempo impiegato e alla novità del risultato, e la discussione sulla relazione (ad oggi ancora non pienamente chiara) tra improvvisazione e creatività (pag 18 e seguenti). Amabile propone che la discriminante sia il fattore tempo, e ci sta. Appunto: è proprio la scarsità di tempo a disposizione che chiede all’improvvisatore di essere esperto. Cioè di aver interiorizzato prima tutta la preparazione necessaria.