25 ottobre 2012
APPUNTI PER GAZZETTA - BERLUSCONI SECONDO GIORNO
REPUBBLICA.IT
ROMA - "Sono fiero e cosciente dei limiti della mia opera. Sta al Pdl e ai suoi giovani trovare uno spunto per superare la crisi e riprodurre il miracolo del ’94". A distanza di oltre 18 anni dal celebre videomessaggio con cui nel 1994 annunciò la sua discesa in campo, Silvio Berlusconi ricorre allo stesso strumento -questa volta trasmesso da Sky e non annunciato ai media prima della messa in onda - per salutare gli italiani.
L’ex premier torna a ribadire le ragioni del suo ritiro facendosi riprendere nel suo studio. E’ un Cavaliere molto teso quello che appare in tv. Alle sue spalle le bandiere d’Italia e d’Europa. Gesticola e fa ampio ricorso alla prossemica ma, in sostanza, rilegge il comunicato di ieri, confermando la sua intenzione di non ricandidarsi a Palazzo Chigi e la proposta di tenere le primarie nel Pdl il 16 dicembre. Ma aggiunge qualche riferimento ai suoi avversari: "La coalizione di sinistra vuole tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna di debito pubblico". Sta ai giovani del Popolo della Libertà e al segretario Angelino Alfano il compito di salvare "lo sforzo riformatore cominciato diciotto anni fa".
LE PRIME CANDIDATURE
ROMA - Giancarlo Galan e Daniela Santanché ci saranno, Gianni Alemanno no. Roberto Formigoni e Alessandra Mussolini invece ci vogliono pensare. Sono queste le prime reazioni all’intenzione annunciata ieri da Silvio Berlusconi di non volersi ricandidare alla guida del centrodestra 1 e di voler lanciare le primarie per la sua successione. Annuncio su cui Umberto Bossi ha sparso oggi tutto il suo scetticismo. Berlusconi lascia? "Penso di no, ha un sacco di processi", ha commentato l’ex leader della Lega.
Tempi e modalità della consultazione interna al Pdl, ha spiegato oggi Massimo Corsaro, vice presidente vicario alla Camera, saranno valutati nei prossimi giorni dall’ufficio di presidenza del partito. "Credo si farà ragionevolmente i primi giorni della settimana prossima, perché immagino che, in queste ultime 48 ore di campagna elettorale in Sicilia, il partito sarà occupato altrove", ha spiegato Corsaro. "Spero che l’adesione alle primarie sarà la più ampia possibile - ha aggiunto - con una partecipazione di tutti quelli che possono costituire una coalizione di centrodestra". Le ultime indiscrezioni parlano di un tavolo delle regole convocato per martedì prossimo in via dell’Umiltà.
Per adesso gli unici ad essersi fatti avanti con chiarezza sono l’ex ministro dei Beni culturali e la Santanché. "Correrò - spiega
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Galan in un’intervista alla Stampa - per rappresentare un’area, quella liberale, che s’è stinta, avendo alle spalle 15 anni di buona amministrazione alla guida di una grande regione del nord come il Veneto". "Voglio credere - prosegue - che le idee e le riforme liberali specie al nord vadano oltre l’idea di cederlo in blocco al Carroccio, come sembra si voglia fare in Lombardia".
"Io ho combattuto per le primarie e adesso sono assolutamente candidata - avverte Daniela Santanché - Avanti e vinca il migliore". "Mi differenzierò - precisa - proprio in questo; basta con Monti. Le famiglie e le imprese non vogliono farsi strozzare da un’Europa mai nata e da un governo che pone solo tasse. Io sono contro tutto questo. Sono contro i soldi nella politica, sono contro ad andare col cappello in mano da Casini. Non sono d’accordo con la convinzione che in Italia ci siano tanti moderati. In giro vedo degli incazzati e non dei moderati" .
Si tira indietro invece Gianni Alemanno. "Io faccio il sindaco di Roma, non so se ne avete sentito parlare. E non mi dimetto", afferma. Ancora incerto, il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. "Io candidato alle primarie? Me lo stanno chiedendo tutti", dice il governatore la cui giunta è stta travolta dagli scandali. "Al momento - precisa - devo continuare un lavoro in Lombardia, poi ci penserò. Nelle prossime settimane mi porrò anche il problema se parteciperò o meno alle primarie". "Mi vanto - ricorda poi Formigoni - di essere stato tra i primi a lanciare l’idea delle primarie perché bisognava trasformare il Pdl in un partito democratico e bisognava tastare il polso degli elettori".
La lista di chi ci sta pensando non si limita però al nome di Formigoni. "Se penso a candidarmi? Ci pensano tutti...", commenta la presidente dimissionaria della Regione Lazio, Renata Polverini. "Francamente ci sto pensando - dice anche Alessandra Mussolini - eccome se ci penso: l’idea mi affascina molto perché mi piace la partecipazione, sempre intesa a essere funzionale al partito, una cosa che possa essere favorevole al Pdl, per stimolare delle aree che sono da stimolare".
Da segnalare infine l’iniziativa di un gruppo di consiglieri regionali campani che hanno deciso di sostenere la candidatura alle primarie Pdl del presidente della Regione Stefano Caldoro. "La impellenza delle primarie ci impone di individuare un candidato che sappia rappresentare l’ansia di riformismo, di moderazione, di onestà e di buon governo che sono nel dna del popolo moderato. Stefano Caldoro ha tutte le caratteristiche per essere il candidato del centrodestra alla presidenza del Consiglio", sostiene Sergio Nappi, consigliere del Pdl Campania.
In attesa che il processo avviato con l’annuncio di Berlusconi si compia, il Pdl sospende la discussione sulle future alleanze. "Fino al 16 dicembre, data in cui si celebreranno le primarie del partito, non ci occuperemo di alleanze. Il nostro unico compito è rafforzare il nostro partito", afferma il segretario Angelino Alfano.
(25 ottobre 2012)
REAZIONI - CORRIERE.IT
La decisione è presa. Silvio Berlusconi lancia le primarie del Pdl ma non si ricandida. Il Cavaliere lo annuncia attraverso un lungo comunicato e le parole della figlia Barbara («i tanti che in questi anni hanno dato lezioni hanno l’opportunità di mettersi alla prova») lo confermano. Così come il video messaggio. Gli scettici tuttavia non mancano. A cominciare da Romano Prodi. «Aspettate a fare i titoli perché non si sa mai», dice il Professore ai giornalisti, interpellato a un forum organizzato da Mergermarket sul private equity. «Mi occupo ormai di Africa, ho un incarico a tempo pieno per il Sahel. Dalla politica io sono uscito», ci tiene comunque a ribadire l’ex premier. E aggiunge: «La prossima settimana chiudo tutto, anche gli impegni accademici. A 73 anni è bello cambiare vita».
IL SENATUR - Prodi non è l’unico a mostrare cautela sul passo indietro di Berlusconi. Più esplicito del Professore, Umberto Bossi ammette ai cronisti di Montecitorio di non credere al ritiro del Cavaliere. «Ha un sacco di processi», commenta laconico. La decisione di Berlusconi, in ogni caso, non determinerà un cambiamento nei rapporti tra Pdl e Lega. «Noi abbiamo deciso comunque di correre da soli. Stiamo risalendo».
GLI ALTRI- Intanto tutto il Pdl è in sobbuglio. Ognuno sceglie una linea. Come Gianni Alemanno, secondo cui «la dichiarazione di Berlusconi è il gesto di generosità e di apertura al futuro che tutti ci aspettavamo. Silvio Berlusconi si conferma un grande leader che ha il merito storico di aver fondato il centrodestra». E assicura che continuerà a fare il sindaco. Dunque per lui niente primarie. La fedelissima Daniela Santanché ha già dato la sua disponibilità a correre. Così come Stefania Crazi: «Se sono autentiche corro anch’io». Anche Giancarlo Galan ci sta facendo un pensierino: «per rappresentare un’area, quella liberale, che s’è stinta». Cauto, invece, Roberto Formigoni: «Candidarmi? Non ho preso in considerazione il problema».
Redazione Online
ANALISI DI VERDERAMI
ROMA - Per non mettere all’incanto la sua storia, Berlusconi doveva passar la mano tenendo la mano ai suoi eredi.
Non era facile per un uomo che negli ultimi venti anni ha scritto la storia del Paese e del Palazzo. Ma dopo un lungo e tormentato pensamento, mentre intorno a sé vedeva aggirarsi schiere di pretendenti che lo adulavano per accaparrarsi brandelli del suo patrimonio politico, Berlusconi ha scelto. È a Monti che ha deciso di affidare il lascito più importante, è sul Professore che punta il Cavaliere, «perché io non rinuncio all’idea di vederti a capo di uno schieramento dei moderati», gli aveva ripetuto l’altra sera a Palazzo Chigi, tra i contorcimenti di chi cercava un appiglio a cui aggrappare certezze che non aveva: «Insisto. E non ti chiedo di rispondermi subito, ma a questa idea non rinuncio».
In questo gesto c’era un’analogia con il ’94, quando Berlusconi - prima di scendere in campo - si recò da Martinazzoli per invitarlo a «unire i moderati» e impedire la vittoria della sinistra. Ma rispetto ad allora il Cavaliere ha offerto la successione a Monti nel campo che nel frattempo aveva conquistato, non in quello dei tecnici. Raccontano che il premier abbia compreso e invece di lasciar cadere il discorso abbia voluto rispondergli. A suo modo, però, spiegando che l’Italia ha bisogno di un programma di «riforme radicali in senso liberale», prospettando un progetto che per realizzarsi necessita di un «vasto appoggio», facendo insomma capire al Cavaliere che una sua nuova discesa in campo avrebbe ostacolato l’aggregazione delle forze necessarie al disegno.
I dubbi avevano accompagnato Berlusconi per tutta la nottata e anche la mattina dopo, fino all’appuntamento con Alfano che non era più rinviabile. In quel colloquio interminabile non c’erano solo in gioco le scelte politiche ma anche «il legame di affetto e di lealtà» che per il segretario del Pdl sovrintende ogni altro aspetto nel rapporto con il Cavaliere. Una decisione era tuttavia necessaria prima del voto in Sicilia, per mettere il partito al riparo dai rischi di implosione in caso di sconfitta. Ed è vero che Alfano era pronto a dire no all’idea di spacchettare il Pdl, che lì sarebbe rimasto, che lo avrebbe annunciato nelle prossime ore. E l’ha detto, convinto di non aver altra strada, confortato anche da un suggerimento che indirettamente gli era giunto dal cardinal Ruini: «È sempre un errore sciogliere un partito».
L’intento di Alfano non era quello di sfidare Berlusconi, semmai di esortarlo a guidare il rinnovamento. Il pericolo che la riunione finisse con un nulla di fatto, era pari a quello che il segretario del partito annunciasse le primarie dello «strappo». Ed è stato allora che Berlusconi ha definitivamente deciso a chi affidare l’altra parte dell’asse ereditario, e ha ragione il centrista Lusetti quando sostiene che «così come nel ’94, la decisione del Cavaliere di non candidarsi cambia radicalmente lo scenario politico». Lo cambia nel Pdl, perché è Berlusconi a intestarsi le primarie a cui parteciperanno persone a lui vicine. Perché è la successione democratica all’interno di un partito carismatico, che non passa per un parricidio né per un infanticidio.
Il Pdl, o come si chiamerà in futuro, sarà un pezzo del nuovo centrodestra. E già l’impianto delle primarie dovrà essere nuovo, sicuramente diverso da quello del Pd. Ecco cosa voleva dire Berlusconi parlando di consultazioni «aperte»: niente vincoli, niente regole capestro, perché il vero obiettivo è «riavviare il rapporto con gli elettori, non asfissiare il confronto tra i competitori». Non c’è dubbio che la citazione di Alfano nella nota in cui annuncia la sua decisione di non ricandidarsi a Palazzo Chigi, sia un modo per riconoscere il ruolo al segretario del partito. Ma la corsa del 16 dicembre sarà libera e senza preclusioni né vantaggi iniziali per nessuno. Così come d’ora in poi finirà la corsa a inseguimento del Pdl verso le altre forze politiche che fanno parte del campo moderato.
Il partito resta compatto e tutti tirano un sospiro di sollievo, a partire da Schifani che era andato in tv per evidenziare «l’avvitamento» del Pdl e attendeva al pari degli altri quel segnale positivo che è arrivato. Ora il voto in Sicilia fa meno paura: una sconfitta non cambierà l’agenda del Pdl, un successo gli darà maggiore slancio. Ad Alfano, in attesa del voto delle primarie, toccherà iniziare il «reset». Dopo, se riuscisse a vincere, non potrà restare a gestire con il bilancino gli equilibri di partito, ma dovrà assumere il ruolo di interlocutore dell’establishment, acconciarsi alle trattative per la sfida elettorale, uscendo dal perimetro in cui si è trovato confinato.
Perché Berlusconi vuole vincere, «io voglio vincere» ha detto al segretario del partito. Ed è evidente che la sua mossa ha spiazzato tutti, a partire da Casini. Così com’è evidente che il segnale era rivolto ad altri interlocutori, a partire da Montezemolo. Ma è su Monti che Berlusconi confida per veder risarcita la sua scelta. Il Professore è «la continuità», Monti è il rappresentante di quella parte di Paese che «non ha mai voluto partecipare alla caccia alle streghe», di quel pezzo di poteri forti che non lo ha «demonizzato». E siccome il Cavaliere non vuole veder disperso il patrimonio politico costruito in diciotto anni, a lui si affida dinnanzi «al pericolo serio», che nel ’94 erano i Progressisti e oggi ai suoi occhi sono i Democratici.
Il resto è tutto in costruzione, è un cantiere che nemmeno è stato aperto. Sulla legge elettorale, per esempio, si vedrà se Berlusconi continuerà a puntare i piedi per tenersi il Porcellum o aprirà seriamente alla trattativa per un nuovo sistema. Ma è chiaro che, facendo un passo indietro, il Cavaliere ha in realtà fatto un passo avanti nel campo moderato. Come nel gioco degli scacchi, non si è posto su una casella ma la controlla da un’altra posizione. In fondo era una mossa obbligata, così l’avvertiva, specie dopo che Veltroni e soprattutto D’Alema avevano annunciato di non ricandidarsi per un seggio in Parlamento. Una scelta che l’aveva colpito e che è stata tra i motivi della sua decisione.
Le ore convulse e interminabili che hanno sancito il passaggio di consegne sono state vissute con diversi stati d’animo nel Pdl. In molti sono stati presi alla sprovvista, soprattutto quanti speravano che Berlusconi rilanciasse e facesse saltare il partito. Ma il colloquio con Alfano dimostra quale sia il legame tra i due, e testimonia al tempo stesso la crudezza della politica, con le sue ferree regole: «Presidente, è l’ora, dobbiamo scegliere». E il «presidente» ha scelto.
Francesco Verderami
TWEET
L’ #addioSilvio in 10 tweet
Berlusconi annuncia che non si ricandida, la Rete si scatena: su Twitter gli internauti usano l’hashtag #AddioSilvio per ricordare i suoi 18 anni in politica e commentarli con ironia. E con un certo scetticismo: che si tratti dell’addio definitivo alla scena politica? In pochi ci credono davvero.
«Berlusconi fa un passo indietro, avanti, a destra, saltino, olè! indietro, avanti, a destra, saltino, olè...» di @samuelecolombo
«Non ho capito: B. è andato in ritiro coi giocatori del Milan? #AncheSeTemoSiaUnArrivederci»
di @GiuProcopio
«Grazie per Bim Bum Bam, per il Milan degli olandesi e per il Drive In» di @FrancescoLamana
«Rescisso il contratto con gli italiani. Licenziamento per giusta causa. #AddioSilvio: ora non metterti a fare il choosy» di @AGianassi
«Ora può partire il rilancio dell’economia e dei consumi. Nei supermercati gli scaffali di spumante e champagne già svuotati» di @pellescura
«#addiosilvio ne danno il triste annuncio negozi abiti mascherati e scuole danza #burlesque» di @roccoassassino
«#AddioSilvio. È stato bello, per i tuoi conti in banca»
di @ducdauge
«#Addiosilvio i TG non saranno più divertenti come una volta» di @Femo77
«#AddioSilvio lo ha fatto per far andare male il programma di Santoro, poi torna» di @holly_hutton
«Berlusconi: "Non mi ricandido". Lutto nel PD. #addiosilvio» di @stasya_sya
(a cura di Greta Sclaunich)
UGO MAGRI LA STAMPA
Qualcosa è maturato nella mente di Berlusconi, una scintilla improvvisa scoccata nella notte tra martedì e mercoledì, certo non un sogno e nemmeno un incubo ma con ogni probabilità (le ricostruzioni in proposito sono lacunose) un effetto della cena serale con Monti. Dire che il colloquio con il Professore l’abbia spinto a compiere il passo indietro sarebbe una grossolana forzatura.
C’è stata pure la grande pressione del gruppo dirigente Pdl, culminata nella minaccia di Alfano: «Se qui si continua nell’incertezza, io sono pronto a candidarmi premier...». Ma non c’è dubbio che il Professore ci abbia messo del suo. Forse la spinta decisiva.
Dunque a tavola, l’altra sera «chez» Monti, Berlusconi è arrivato con fare bellicoso per via della legge di stabilità che al Pdl non piace per niente, e ne è uscito conquistato al punto da rivolgersi al padrone di casa con espressioni di enorme stima. Uno dei presenti narra del clima molto disteso, delle storielle a volte sapide e non sempre divertenti che Silvio ha estratto dal suo sconfinato repertorio; ma soprattutto riferisce che a un certo punto il Cavaliere è arrivato a formulare avances politiche parecchio esplicite: «Non mi devi rispondere subito», si è rivolto al padrone di casa, «però io non rinuncio all’idea di averti a capo dei moderati italiani...». Quasi un passaggio del testimone lì, seduta stante. E come mai questo «endorsement» così convinto? Ecco la spiegazione raccolta da chi era seduto a tavola: in tono alto e quasi accademico, tra una pietanza e l’altra Monti aveva illustrato a Berlusconi, a Letta e ad Alfano una sorta di programma per risanare a fondo l’Italia, la lista delle riforme necessarie per rendere questo Paese competitivo in Europa e nel mondo, quasi un manifesto di ispirazione nettamente liberale. Niente a che vedere con un’auto-candidatura per il dopo-elezioni: di questo nemmeno si è fatto cenno. Però il Monti-bis era nell’aria, come una suggestione che al Cavaliere (reso politicamente fine da 18 anni di regno) non poteva sfuggire. E difatti, non è sfuggita. Sempre il solito testimone garantisce che l’espressione di Berlusconi è cambiata, come se gli si fosse spalancato il cuore. Si è congedato da Palazzo Chigi svelandosi incerto, tormentato circa il proprio ruolo, quasi interrogando se stesso sul da farsi. E ieri mattina, gettando nello sconcerto qualche collaboratore più stretto, ha messo in moto la macchina della rinuncia. La notte, appunto, ha portato consiglio. Come se l’ex-premier avesse riconosciuto nel suo successore il più idoneo e, a questo punto, forse l’unico in grado di attuare quel piano di trasformazioni su cui lui ha fallito. Addirittura scoprendosi di troppo, quasi un impaccio rispetto a quanto il Professore farebbe, se gli fosse offerta una nuova chance, un alibi per chi rifiutasse di concorrere al «Cambia Italia», al fronte dei moderati.
Questa appena esposta è la versione «nobile», che circola tra Palazzo Grazioli e Via dell’Umiltà. Poi, chiaramente, ci sono interpretazioni più prosaiche, quasi disarmanti. Tipo quella che fa leva sul dramma processuale di Berlusconi, sul quale pende a giorni la sentenza Mediatrade, per non parlare di Ruby. Proprio ieri creavano un certo scalpore, nel pianeta romano ormai abituato a tutto, i «rumors» dell’inchiesta sulle presunte tangenti per le commesse aero-navali, dove sotto accusa sono finiti Scajola e certi frequentatori di Arcore: dove potrà condurre, era la domanda, questo nuovo filone? Per non dire dello scontro duro che si è consumato ieri tra l’ex padre-padrone e il suo segretario cresciuto al punto da guadagnarsi la maiuscola. Personaggi autorevoli del partito garantiscono che Berlusconi non avrebbe acconsentito al passo indietro se non ci fosse stato l’aut-aut di Angelino: «Così non si può andare avanti, o procediamo insieme oppure io vado avanti da solo in direzione delle primarie». Messo alle strette, al termine di «ragionamenti molto serrati» e con le parole di Monti ancora nelle orecchie, Berlusconi finalmente ha detto «okay», si è convinto che era arrivato anche per lui il momento di indossare quei panni che Giuliano Ferrara gli cuciva da giorni, quelli di padre nobile, di vecchio saggio, forse di futuro senatore, una riserva della Repubblica.
SORGI SULLA STAMPA
Ci sono molti aspetti sorprendenti della caduta - stavolta, pare, definitiva - di Berlusconi. Il primo è che fino a ieri diceva il contrario, voleva restare in campo per fondare un nuovo partito, con le sue Amazzoni o con il marchio originario di Forza Italia. Il secondo è che voleva sciogliere il Pdl, e invece dal Pdl è stato sciolto. Il terzo è che non ha indicato un successore, e per trovarlo anche il centrodestra andrà alle primarie, il 16 dicembre. Questi tre fattori messi insieme dicono che il vecchio Silvio non è caduto da padre-padrone, come si era abituati a conoscerlo. Ma, più o meno, come uno dei tanti leader che prima o poi si ritrovano in minoranza, e a cui il vertice del partito fa sentire i rintocchi della fine.
Una conclusione così normale, così banalmente politica, era assolutamente imprevedibile per l’uomo che aveva guidato la rivoluzione della Seconda Repubblica, anche se da un anno almeno il Cavaliere girava a vuoto, sommando sconfitte su sconfitte, e il disastroso punto d’arrivo del suo ventennio era ormai sotto gli occhi di tutti. Basta solo paragonare la situazione attuale a quella del ’93, senza pretese di bilanci storici che certo richiederanno più approfondimento, e guardandosi anche dal caricare tutte le responsabilità del fallimento sul Cavaliere.
La corruzione, che fu alla base del crollo della Prima Repubblica, è oggi, se possibile, peggiorata. Se non altro, allora c’erano ragionevoli dubbi che una parte dei proventi delle tangenti pagate dai privati servissero al finanziamento occulto della politica. Ora è il contrario: i soldi pubblici, che lo Stato versa ai partiti e ai gruppi parlamentari e regionali, finiscono nelle tasche degli eletti, che li adoperano per i più disparati usi personali.
Le riforme, che furono la bandiera, non solo del Berlusconi vincente del ’94, ma anche dei suoi avversari che lo sostituirono al governo nel ’96 e nel 2006, sono rimaste in questi decenni, durante ben cinque legislature, una vuota declamazione e un’ennesima occasione di scontro. Le rare volte che si è riusciti, in fretta e per esigenze elettorali, ad approvarne qualcuna - federalismo e revisione costituzionale del centrodestra, decentramento e nuovo Titolo Quinto del centrosinistra - le conseguenze sono state tali da far rimpiangere subito l’antico testo della Costituzione.
A ben vedere anche il bipolarismo, l’apertura del gioco politico a tutto campo e la piena legittimazione di tutte le forze politiche - questo sì, un merito che a Berlusconi va riconosciuto ora sta per essere cancellato, da una riforma elettorale che, in un modo o nell’altro, vuol riproporre il vecchio impianto proporzionale della Prima Repubblica e il sistema partitocratico che aveva nel Parlamento il laboratorio di ogni alchimia.
Sembra impossibile che questo possa essere davvero lo sbocco di un ventennio così tormentato. E che lo diventi proprio nel momento in cui i due maggiori partiti, consapevoli delle loro crisi - pur diverse, nella genesi e nell’entità - affidano ai rispettivi elettori il responso sul loro futuro. Se è finita o deve finire l’epoca del populismo e del plebiscitarismo, incarnata principalmente da Berlusconi, non si capisce perché leader aspiranti o sopravvissuti cerchino ancora la rilegittimazione nei gazebo. Se invece credono che solo il lavacro dell’opinione pubblica, prima ancora che il voto popolare vero e proprio, possa renderli di nuovo credibili, forse dovrebbero rivolgersi ai cittadini con maggiore sincerità. E con argomenti più convincenti, che non facce, storie familiari e promesse destinate purtroppo a essere smentite dai fatti.
Ma per tornare al centrodestra, terremotato, prima dal declino di Berlusconi, e adesso dal suo repentino addio, non è detto che riesca a ritrovare così presto un nuovo equilibrio. L’ipotesi che, uscito il Cavaliere, tutti i pezzi sparsi si ricompongano miracolosamente, varrà - se varrà - per il Pdl, che con le primarie potrà designare, finalmente in modo democratico, il successore del Cavaliere (Alfano è il candidato che parte più forte). Se invece, come sembra, e come ha riproposto di recente il presidente del Senato Schifani, l’obiettivo è di ricomporre la coalizione, da Casini a Storace, che ha sempre vinto le elezioni quando s’è presentata unita, il cammino sicuramente sarà più lungo.
I centristi infatti non hanno molta intenzione di farsi riattirare nel meccanismo dei due schieramenti alternativi, che si contendono la guida del Paese non riuscendo poi a governarlo. In questo senso, l’uscita dalla prima linea di Berlusconi fa chiarezza, ma non basta. E la partita torna al punto di partenza: dove deve andare l’Italia? Avanti o indietro? Verso che tipo di repubblica e democrazia? Con più o meno Europa?
Serietà vorrebbe, visto il pesante bilancio degli ultimi anni, che interrogativi del genere fossero affrontati con l’impegno, le riflessioni e la pacatezza che richiedono. E senza l’ansia di riconnetterli per forza alla corsa per la conquista, o la riconquista, del governo. Che per fortuna - speriamo ancora per un po’ di tempo - può restare nelle salde mani di Monti.
LA STAMPA AMEDEO LA MATTINA
Ora primarie entro dicembre, in parallelo al Pd. Una gara forse virtuosa tra due partiti che in questi anni si sono combattuti fino all’ultimo sangue e che comunque consente al Pdl, come osserva Renato Schifani, di uscire dall’avvitamento. A questa soluzione che potrebbe consentire di aprire la strada dell’unione dei moderati, ha lavorato molto il presidente del Senato, a fianco del segretario Angelino Alfano. Il quale adesso ha ricevuto da Berlusconi la bicicletta e deve dimostrare di saper pedalare forte e in salita. Dovrà mettere in campo la sua candidatura non per la premiership ma per ridare al Pdl una chance.
La chance di trasformare il suo partito in un protagonista dello schieramento che fronteggerà la sinistra alle politiche del 2013. Protagonista non in una ridotta isolata del centrodestra berlusconiano, ma attore insieme alla lista per l’Italia di Casini e Fini, ai soggetti politici di area cattolica o che nasceranno nell’orbita di Luca Cordero di Montezemolo. E’ proprio su questo obiettivo e linea politica, che passa per l’agenda Monti e un profondo rinnovamento del Pdl, che si baserà la candidatura di Alfano che vedrà contro altri competitori agguerriti.
Sicuramente a sfidarlo ci sarà Daniela Santanchè, la più delusa del cambio di passo repentino del Cavaliere che fino a lunedì continuava a immaginare lo spacchettamento della sua creatura politica e il ritorno a Forza Italia. Una inversione a U talmente repentina, suggerita da sondaggi non proprio brillanti, da ingenerare tanti sospetti del tipo «vedremo cosa saprà fare Angelino».
La Santanchè ovviamente farà la campagna delleprimarie tutta giocata sulla critica all’Europa e alla politica economica di Monti. Molta destra e poco centro. Non sarà certo favorevole ad alleanze con i «democristiani dell’Udc». Non sarebbe tenero con Monti nemmeno Guido Crosetto, un altro potenziale candidato alle primarie (ci sta pensando seriamente) ma con una venatura nordista e fortemente liberale. Anche Mariastella Gelmini potrebbe essere della partita contro Alfano. Ma l’ex ministro dell’Istruzione è più prudente: vuole prima capire bene cosa farà Alfano; se rimarrà prigioniero dei vecchi giochi di partito, degli ex An oppure saprà incidere un profondo rinnovamento.
Ora l’ex ministro della Giustizia non ha più alibi perché Berlusconi gli ha dato una grande opportunità: se non saprà sfruttarla non è escluso che il Cavaliere torni a guardarsi attorno, non per candidarsi ma per mettere il suo peso economico e mediatico su un nuovo soggetto politico o un imprenditore. Intanto partirà la grande sfida nella quale ci dovrebbe essere il sindaco di Roma Gianni Alemanno a rappresentare un’altra area politico-culturale-geografica della destra. Esclusa invece la candidatura della Meloni, che potrebbe affiancare Alfano in un ticket insieme al grosso degli ex An.
Sono tanti ad essere tentati dalle primarie per una visibilità nazionale, come l’ex governatore veneto Galan, o da un rilancio politico, come il governatore uscente della Lombardia Formigoni. Voci, ambizioni come quelle dei formattatori che potrebbero mettere in pista il sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo. Lui dice di voler continuare ad amministrare la sua città, ma sicuramente è contrario alla candidatura della Santanché: «Mi viene voglia di mettere tutto il mio impegno per dare un’altra rappresentanza al centrodestra perchè, con tutto il rispetto che ho per la Santanché - spiega - io penso a un centrodestra molto diverso».
Comunque siamo ancora ai blocchi partenza, presto per dire chi veramente si candiderà. Tra l’altro non è escluso che alla fine non si facciano primarie solo di partito. L’obiettivo di Alfano è fare una gara prima dentro il partito e poi aprire una competizione di coalizione, di tutto il fronte che vorrà contrapporsi alla sinistra di Bersani, Vendola e Nencini. Come al solito molto dipende da quale nuova legge elettorale verrà fuori o se si andrà a votare ancora col vecchio Porcellum. Così come molto dipenderà dall’esito delle elezioni siciliane. Se il candidato alla presidenza Nello Musumeci, sostenuto dal Pdl, dovesse perdere, anche le primarie per Alfano comincerebbero in salita.