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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

BATTAGLIA FRA EREDI PER IL «COCCODRILLO» DI LACOSTE

René Lacoste, l’elegante campione francese di tennis che ha creato nel 1933 la società famosa nel mondo per il suo marchio con il coccodrillo, si starà rigirando nella tomba. Tra i 25 eredi è infatti guerra aperta ed possibile, se non addirittura probabile, che tra i tanti litiganti (con in mano il 65% dell’azienda) alla fine a godere sia il gruppo svizzero Mauss. Che di Lacoste detiene, attraverso la controllata Devanley, il 35% del capitale.
Tutto comincia all’inizio dell’estate. Quando Michel (figlio di René, classe 1943) decide di lasciare la presidenza, pur restando nel consiglio di amministrazione, per dedicarsi alle sue grandi passioni: l’ornitologia e soprattutto la botanica (la sua collezione di cactus è, tra quelle private, una delle più importanti al mondo). La sua scelta per la successione cade sulla nipote Béryl, 56 anni e un solido curriculum.
Ma c’è una candidatura alternativa: quella della figlia di Michel, attrice teatrale di 36 anni. Nata dal primo matrimonio, è da tempo ostile al padre. Da quando quest’ultimo ha di fatto cacciato dall’azienda il figlio Philippe, entrato in conflitto con la terza moglie di Michel, Réjane.
Si apre - tra Parigi, Ginevra, Miami e Tokyo - la caccia ai voti. In particolare a quello (particolarmente pesante, perché ha il 10%) della principessa giapponese SachikoTakayama, vedova di un altro figlio di René, Bernard, padre di Béryl. Un gran pasticcio, insomma.
Il 24 settembre si calano le carte. Vince, sei a cinque, Sophie. Michel non entra neppure in consiglio, sostituito da un amministratore indipendente. Grida allo scandalo, alla congiura: «Sophie non ha mai passato neppure un giorno in un’azienda. Non ha alcuna capacità di guidare la società». E decide di rivolgersi al Tribunale, sostenendo che le regole del voto sono state violate.
I Mauss, che ovviamente hanno appoggiato Sophie per soffiare il più possibile sul fuoco, osservano e gongolano. Da tempo vorrebbero mettere le mani su questa vera e propria pepita d’oro (1,6 miliardi di ricavi, presente in 110 Paesi, con utili netti in aumento del 50% nel primo semestre). Gli basta il 16 per cento. Di qualche erede che, stufo di questo clima velenoso, accetti finalmente un’offerta interessante. O dello stesso Michel. Se il suo ricorso dovesse essere respinto potrebbe infatti essere lui, come avrebbe già minacciato, a vendere il suo 35 per cento.