Dave Eggers, IL 18/10/2012, 18 ottobre 2012
LINCOLN E OBAMA SONO STATI QUI
Lo slogan sulle targhe dell’Illinois, da tempo immemore, è Land of Lincoln, la terra di Lincoln. Tutti gli abitanti dell’Illinois e in generale tutte le persone di buon senso lo trovano il miglior slogan da targa di tutti gli Stati dell’unione. Secondo potrebbe arrivare l’intenso Live Free or Die, vivi libero o muori, del New Hampshire, che però spaventa i bambini. Uno slogan da targa non deve spaventare i bambini ne includere le parole «o muori». Uno slogan da targa non deve incoraggiare l’idea di morire pur di non perdere le libertà individuali. Uno slogan da targa deve evocare, senza minacce o isteria, l’essenza morale e la grandiosità dei paesaggi di uno Stato, e se possibile dovrebbe essere allitterante e menzionare il presidente preferito da tutti. Lo slogan sui 9,6 milioni di targhe immatricolate dello Stato dell’Illinois fa tutte queste cose, e dà il tono alla condotta, privata e pubblica, degli abitanti dello Stato, e guida e ispira tutti i nostri piani e progetti. È il migliore tra tutti gli slogan da targa. È dunque l’Illinois il migliore degli Stati? Lo si è spesso detto e spesso dimostrato. Nel corso di questo saggio, molti esempi del primato dell’Illinois verranno esibiti come prove – lo Stato è primo in tutto, dalle merendine alle bombe –, ma forse non c’è endorsement più importante di quello di Lincoln: lui in persona considerava l’Illinois il primo Stato.
Nacque nelle terre selvagge del Kentucky, nella Macon County. Lì il padre del futuro presidente edificò un podere lungo la riva nord del fiume Sangamon. Thomas Lincoln era uso far lavorare il suo figliolo ben piantato, lo mise dunque a costruire una recinzione attorno ai quindici acri di terra. Abe spaccò decine di ciocchi per formare la barriera, e sebbene il compito fosse duro, non mancò di benefici. Quando corse per la presidenza decenni dopo, il suo partito, quello repubblicano, in cerca di un nomignolo orecchiabile come «Tippecanoe and Tyler Too» (canzone per la campagna presidenziale di William Henry Harrison, l’eroe della battaglia di Tippecanoe del 1812, ndt) e «Old Hickory» (vecchio noce americano, per il settimo presidente americano, Andrew Jackson, ndt), lo soprannominò «The Rail Splitter», il taglialegna. Qualcuno dipinse perfino un ritratto di Lincoln stile Arlecchino, il piede su una rotaia, il martello alto sopra la testa, la camicia aperta. Fu probabilmente l’unica volta che il sex appeal venne usato per vendere il concetto di Abraham Lincoln.
Quando non lavorava alla fattoria, leggeva: leggeva costantemente libri e giornali, scoprendo da autodidatta la politica, il diritto e il mondo, e dopo pochi mesi in Illinois ebbe l’ispirazione per dare il suo primo discorso politico. Il luogo deputato fu il negozio di Renshaw a Decatur, all’epoca un villaggetto di una decina di casupole a malapena, e l’argomento era il futuro dell’Illinois. Narra la leggenda che nel negozio ci fossero alcuni candidati locali, venuti per un dibattito, e gli amici adolescenti di Lincoln dissero ad Abe di chiedere bevande fresche per il pubblico – usanza dell’epoca, a quanto pare. Abe si fece avanti e invece di chiedere limonata per tutti pena la fuga, fece un soliloquio sul potenziale del fiume Sangamon, sulla ricchezza che poteva portare alla regione. Se avessero saputo incoraggiare il commercio a passare per lo Stato dal Mississippi, in cui confluiva il Sangamon, avrebbero conosciuto la ricchezza. Tutti coloro che lo videro parlare rimasero impressionati, e il suo nome fu già da allora associato a idee di un futuro migliore per la terra dei pionieri. Poco dopo, Lincoln lasciò la casa paterna per sempre e fece una mezza dozzina di lavori – falegname, commesso, direttore di ufficio postale, agrimensore, soldato – prima di dedicarsi in pianta stabile alla professione giuridica. Ma il suo primo amore fu il fiume, e pochi mesi dopo il suo discorso da Renshaw si decise a lavorare sulle chiatte. Si imbarcò su una nave diretta a New Orleans sul Mississippi. Aveva diciotto anni e così cominciava la sua vita da uomo indipendente che si stava facendo da sé.
Rimanendo in argomento acqua e buon senso e Illinois primo Stato d’America, va fatto presente che Chicago inaugurò il primo acquario della nazione nel 1893; il che pone la città al Numero Uno in ambito di pesci e oceanografia e questioni connesse.
Soltanto pochi anni prima, alcuni abitanti dell’Illinois inventarono il grattacielo. Arrivammo primi erigendo lo Home Insurance Building nel 1885 [1], primo dei contributi della cosiddetta Scuola di Chicago all’architettura urbana. La struttura innovativa, primo edificio con struttura in acciaio, rappresentò una nuova vetta di audacia architettonica, gusto e discernimento, e fu cruciale nel dare a Chicago la reputazione perenne di campione dell’architettura verticale della nazione.
Con i suoi Louis Sullivan, Ludwig Mies van der Rohe, il John Hancock Center, il meraviglioso gotico al 35 di East Wacker Drive, e ora con il Millennium Park di Gehry e Kapoor, Chicago sarebbe il Numero Uno anche senza la Sears Tower. Alta 528 metri, la Sears fu il grattacielo più alto del mondo al momento della sua costruzione e rimane oggi il più alto edificio degli Stati Uniti. Se togliamo, e sarebbe il caso, le torri poco eleganti di Dubai e Taipei che ora per qualche forma di vudù metrico risultano più alte della Sears, la nostra rimane la struttura più alta del pianeta.
Anche Lincoln era alto più di un metro e novanta, qualcosa di quasi mostruoso in un’epoca in cui l’altezza media era decisamente sotto l’uno e ottanta. Catturò subito l’attenzione di New Salem, paesino lungo il Sangamon a ovest di Decatur. Fondata solo due anni prima della sua venuta nel 1831, vide arrivare Lincoln quasi per caso. Stava guidando una chiatta, si incagliò nel fiume che attraversava la cittadina, lui e la ciurma dovettero scaricarla prima che affondasse. Il paese intero lo guardò lavorare con due uomini per salvare le provviste. Vedendo la sua forza e ingegnosità, gli offrirono un lavoro su due piedi all’emporio Offut, e lì rimase più o meno per i sei anni successivi. Fu nella piacevole New Salem che trovò l’incoraggiamento, che continuò a formarsi, e che i locali aumentarono la sua autostima al punto che si candidò all’assemblea legislativa dopo un solo anno di residenza. Aveva ventitré anni. Si considerava «un ragazzo senza istruzione né denaro», e i suoi contemporanei subito capirono che «non aveva niente, solo tanti amici». La prima volta non vinse, ma raccolse 277 dei 300 voti a disposizione nel suo distretto, e alla prima occasione buona sarebbe stato eletto. Successe nel 1834: andò a Vandalia, all’epoca capitale di Stato, con un vestito nuovo che aveva pagato con sessanta dollari presi a prestito. (Fu il suo primo vestito, e già allora risultava buffo. Per anni, anche al suo famoso discorso alla Cooper Union di New York, sarebbe stato criticato per lo scarso gusto nel vestirsi. Forse è che solo un miracolo di sartoria avrebbe potuto star bene addosso a un uomo dalle forme così bizzarre.) Quando l’assemblea non era riunita, Lincoln faticava a sbarcare il lunario; il salario di un senatore di Stato era poca cosa. Ma come sempre, i suoi amici lo aiutarono. Gli trovarono un lavoro da agrimensore, che gli diede l’opportunità di conoscere ancora meglio il bellissimo Stato di cui era rappresentante. Nel tempo libero, si istruiva sulle leggi. Da autodidatta puro – fin qui aveva ricevuto in tutto un anno di istruzione – passò l’esame di avvocato. Alla fine si riavviò giù per il fiume, su un cavallo prestato da un amico, per andare a vivere a Springfield, nuova capitale di Stato, e lavorare come avvocato. Molto presto il suo studio legale si impose come uno tra i migliori dello Stato (assumiamo pure che fosse il migliore), e se Lincoln era il Numero Uno nell’Illinois, ne conseguiva che fosse il Numero Uno tra gli avvocati autodidatti del Paese.
Di questo spirito fai da te è pieno Le avventure di Augie March, l’allegro scatenato romanzo di un altro cittadino dell’Illinois, Saul Bellow, che parla di un giovane che lascia gli slum di Chicago per trovare la sua strada – in salita – nel mondo. Comincia così: «Sono americano, nato a Chicago – Chicago, quella tetra città –, affronto le cose come ho imparato a fare, senza peli sulla lingua, e racconterò la storia a modo mio...». Questo incipit potrebbe descrivere diversi innovatori come Lincoln, che partirono dall’Illinois e da Chicago. I contributi dello Stato alle arti sono molteplici, dal jazz (Miles Davis, Herbie Hancock, Benny Goodman sono tutti nati lì), al blues (Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Willie Dixon, Buddy Guy, Junior Wells) al teatro (Steppenwolf) alla commedia (il locale Second City [2]), questo posto ha un che di unico: è abbastanza grande per sfidare e sostenere gli audaci, ma abbastanza piccolo per coltivare con scetticismo – ma senza cinismo – la natura fragile dell’avanguardia.
Ne consegue che Chicago fosse il posto adatto per gli esordi di Oprah Winfrey. Nata nel Mississippi rurale da una ragazza madre, Oprah Winfrey riuscì – alla maniera freestyle, se vogliamo, a infilarsi in un lavoro di co-conduttrice del telegiornale della sera a soli diciannove anni. Accadde in Tennessee, ma fu notata a Chicago, e nel 1983 la portarono al nord e le diedero un lavoro alla conduzione dello show del mattino AM Chicago, che soffriva per gli ascolti bassi. Per una combinazione di grande empatia e spirito, il suo programma ebbe subito un immenso successo e fu così ribattezzato Oprah Winfrey Show, finendo con l’essere trasmesso in tutta la nazione nel giro di pochi anni. Seguendo il consiglio di Roger Ebert, altro figlio dell’Illinois e, in quest’epoca, Numero Uno nell’arte di spiegare le cose in parole semplici nella cinefilia, Winfrey firmò un contratto per le repliche che le diede il controllo del suo show e le permise di raccogliere tutti i frutti del suo lavoro. Siccome cominciò a Chicago e, come Lincoln, decise di rimanere nello Stato che l’aveva bene accolta, Winfrey negli ultimi dieci anni si è praticamente sobbarcata da sola l’intero carico fiscale statale.
E siccome Winfrey ha portato il numero più grande di lettori a leggere il numero più grande di libri, nessuno è come lei nel mondo contemporaneo, e l’Illinois è lo Stato più importante se si parla di libri, vendita di libri, e del risorgimento dei circoli di lettori e della quantità di persone che hanno letto Anna Karenina e Middlesex (del figlio adottivo di Chicago Jeffrey Eugenides). Non è allora una sorpresa che Chicago ospiti il più grande sistema bibliotecario del mondo, con più di due milioni di volumi – e tutti e due i milioni sono meglio dei libri delle biblioteca delle altre città. Questa prova soverchiante di impegno civico contro l’analfabetismo porta direttamente al primato dell’Illinois nel numero di scrittori americani premi Nobel. Ne abbiamo due: Bellow (Chicago), e Ernest Hemingway (Oak Park).
La lista di Numeri Uno è infinita e ci limiteremo solo a una rapida panoramica. L’Illinois Numero Uno nelle merendine, essendo il posto in cui furono presentati per la prima volta il croccante di popcorn e noccioline Cracker Jack (Chicago World’s Fair, 1893); nella produzione di biscotti in un anno (Oreo, Nabisco, Chicago, 1996); ed è il luogo in cui fu scritta I Wish I Were an Oscar Wiener, nel 1963, da un certo Richard Trentlage di Fox River Grove, che partecipava a una gara per un nuovo jingle per un hotdog. Fu l’Illinois a portare al mondo McDonald’s e Dairy Queen, e fu Chicago a produrre il pasticciere Walt Disney. Per decenni abbiamo prodotto più zucche di tutti, considerate dagli esperti del gusto i frutti migliori del mondo, e abbiamo prodotto le due migliori squadre sportive dell’era moderna, i Bears del 1985, di football, e i Bulls del 1995, di basket. Non serve aggiungere che l’Illinois è al Numero Uno dei posti in cui ha giocato Michael Jordan, e in cui Scottie Pippen spesso giocava pure meglio. È al Numero Uno dei posti in cui Walter Payton ha fatto il passo dell’oca parlando in quel suo strano falsetto, e al Numero Uno di tutto ciò che ha a che fare con Ditka, Singletary, Fencik, Perry e Dent. È al Numero Uno quanto al numero di sindaci che fanno Daley di cognome. Al Numero Uno nella produzione di mais (o ci si avvicina) e nella produzione di etanolo (ne sono quasi certo). È al Numero Uno, questo è sicuro, nella categoria luogo di nascita dei REO Speedwagon (da Champaign-Urbana); Styx (da Chicago); Cheap Trick (Rockford). Al Numero Uno tra le location dei film di John Hughes (tra gli altri: Un compleanno da ricordare, Breakfast Club, Mamma ho perso l’aereo, Mamma ho perso l’aereo 2, Una pazza giornata di vacanza). Abbiamo lo stadio da baseball Numero Uno per bellezza e fascino, Wrigley Fields, e abbiamo anche il suo opposto, il Numero Uno per modestia nel design e mancanza di fascino, Cellular Park, che dal vivo è ancora peggio del suo nome. La squadra che ci gioca, i White Sox, ha una base di tifosi che viene da sobborghi i cui nomi sono resi possibili dalle permutazioni delle seguenti sette parole: River, Lake, Ridge, Stream, Woods, Forest e Park (452).
L’Illinois arriva primo – al mondo – per frequenza con cui si sbaglia la sua pronuncia. Nessuno sembra commettere l’errore di pronunciare la “s” di Arkansas, ma troppi lo fanno con la nostra “s” – compreso Ron Zook, allenatore della squadra di football della University of Illinois, che lo fece alla marcia in onore del suo ingaggio nel 2004. Per qualche tempo regnò un grande sospetto sul suo conto, finché non portò la squadra in finale al Rose Bowl del 2007, il che sarebbe stata perfetto se non si fosse dimenticato di continuare ad allenare dopo il fischio d’inizio di quella partita. Quanto alla pronuncia sbagliata: questa tendenza ha portato la cittadinanza a proporre una legge che punisse chi pronuncia la “s”. La legge proposta doveva impartire le seguenti punizioni. Prima volta: multa di 50mila dollari. Seconda volta: raschio delle corde vocali. Terza volta: modifica delle corde vocali. Quarta volta: esecuzione capitale.
Sembrerà estremo, ma l’Illinois, terra dimessa e semplice, è da sempre la patria di iconoclasti gagliardi e appassionati. Prendete l’abolizionista Elijah Lovejoy. Ministro presbiteriano, si stabilì ad Alton, nel sudovest dello Stato, e cominciò a pubblicare lo Alton Observer, quotidiano puritano pieno di sublime retorica e esaltazione del suo Dio e a condanna di ogni vizio e debolezza. A un certo punto dedicò le sue attenzioni alla schiavitù e trovò il senso della sua vita nel fare il possibile su carta stampata per mettere fine a quell’abominio. E anche se trovò molta gente che la vedeva come lui, molti abitanti del sud dell’Illinois, essendo vicini geograficamente agli Stati schiavisti e avendo legami di sangue e tradizione con il sud, non rimasero troppo contenti di avere un agitatore tra le loro fila. Gli chiesero di cessare la pubblicazione delle sue tirate antischiaviste. Continuò. Glielo chiesero di nuovo, e poi lo minacciarono. Nulla poté dissuaderlo, allora le folle distrussero il suo torchio tipografico. Ne comprò uno nuovo e riprese. Distrussero anche quello. Ne comprò un altro, e continuò con la sua opera finché una folla non lo assalì il 7 novembre del 1837: rimase ucciso mentre difendeva il suo torchio e la famiglia, fucile in mano. La sua morte fu la fine di un martire, e così dei discepoli proseguirono la sua opera.
Non per sottolineare l’ovvio, ma se assumiamo che la Guerra Civile fu la guerra più importante nella storia del nostro Paese, e l’Illinois lo Stato più importante coinvolto in quel conflitto, ne consegue che l’Illinois è lo Stato più importante della storia del Paese, il più essenziale al mantenimento dell’Unione contro ogni speranza e il più indispensabile alla risurrezione e sopravvivenza del Paese. Se i nostri antenati non avessero eletto Lincoln, se non l’avessero foraggiato e non gli avessero offerto un fondamento massiccio da cui lanciare le sue speranze presidenziali, non sarebbe stato eletto presidente, e il Paese sarebbe stato illuminato da una luce più fioca, che avrebbe preferito la dissoluzione dell’Unione e chissà che altro ammasso infelice di acquiescenza e compromesso. Basti dire che il Paese avrebbe dovuto vivere, per anni o decenni, all’ombra miserabile di quell’atrocità che fu la schiavitù. L’Illinois diede all’America Abraham Lincoln, un uomo che era al tempo stesso umile, moralmente inscalfibile, coraggioso e incredibilmente eloquente.
Parlando di Barack Obama, anche lui viene ovviamente dall’Illinois. Potrà aver passato del tempo alle Hawaii, ma è un vero prodotto dell’Illinois sulle cose che contano, ed è l’erede di Lincoln sotto tanti aspetti. Come Lincoln, è magro. Come Lincoln, sa fare un discorso. Come Lincoln, ha uno humour sarcastico e il buon senso per sapere quando usarlo. Come Lincoln, ispira le folle con la sua oratoria e si sente a casa con la gente, tutta la gente, sempre. È a suo agio, per esempio, con Dick Durbin, l’altro senatore dell’Illinois, un uomo meno magnetico di Obama ma non meno saldo e autentico. Fatto della stessa pasta del suo predecessore Paul Simon, Durbin ha l’aria di un direttore di banca dei sobborghi, ma è audace e coraggioso: ha votato contro la guerra in Iraq, viene spesso definito il membro più liberal del Senato, e prende sempre zero nei giudizi della Narional Rifle Association, Dio lo benedica. Durbin è tifoso e amico di Obama, antico avversario di Hillary Rodham Clinton, altro fiero prodotto di questo grande Stato. È nata a Chicago e cresciuta a Park Ridge, sobborgo vicino e piacevole della città, con genitori conservatori che le hanno instillato il senso dell’importanza del duro lavoro e la fedeltà ai valori conservatori. Da giovane, ha lavorato e votato per Barry Goldwater, ritrovando la lucidità prima dell’elezione del suo erede Ronald Reagan, altro figlio prediletto dello Stato – o perlomeno degli abitanti della parte downstate.
Sebbene sia spesso considerato californiano, Reagan crebbe in una maniera che dice tutto dell’essenza small-town della gran parte dell’Illinois. La sua famiglia visse per un po’ nella minuscola Tampico per poi stabilirsi a Dixon: entrambe a nordovest. A Dixon il giovane Reagan frequentò il liceo, lavorò come bagnino – salvò settantasette vite – e fu protagonista a teatro e negli sport, con ruoli vari e recensioni altalenanti. Frequentò l’Eureka College, poi cominciò una carriera da commentatore radio, specializzandosi nelle partite di baseball. Mentre commentava le partite dei Cubs, durante una trasferta in California fece un provino che portò alla sua carriera da attore. Il resto è il resto, qualunque valore vogliate dargli.
In ogni caso anche Reagan fu fatto a immagine di Lincoln: come Lincoln era alto e sapeva cavalcare. Come Lincoln venne da un paesino che lo amò e gli diede sicurezza, e diede al suo pensiero un fondamento e consolidò il suo senso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E come Lincoln, ogni sua parola è ormai usata (o distorta) per servire ogni punto di vista su ogni questione. È la figura più amata del partito repubblicano – ormai hanno smesso di vantarsi di Lincoln, si spera – e se Abe vinse la Guerra Civile, Reagan ha vinto la Guerra Fredda con l’aiuto di un altro prodotto dell’innovazione dell’Illinois, la bomba atomica.
Fu sotto le tribune del campo da football della University of Chicago che la prima reazione atomica a catena fu scatenata. Il merito fu di Enrico Fermi e Leo Szilard, e portò alla bomba, che portò alla morte di centinaia di migliaia di giapponesi innocenti, e alla fine della Seconda guerra mondiale. L’Illinois è la patria del primo reattore nucleare commerciale, Unit 1 della centrale Commonwealth Edison di Dresden, e a oggi l’Illinois ha il più alto numero di centrali nucleari (undici) del Paese. Pochi lo sanno, anche tra i residenti.
È anche possibile che l’Illinois arrivi primo quanto alle contraddizioni, le illusioni infondate, le improbabili dicotomie. Contiene sia la più grande città del Midwest che alcune delle aree più intensamente rurali del Paese. Contiene le contee più fedeli al partito democratico (Cook, patria della macchina politica del sindaco Daley) e alcuni degli Stati più ostinatamente repubblicani (il grosso della parte downstate). Chicago, dal canto suo, ha ospitato alcuni dei momenti chiave della lotta per i diritti civili, eppure rimane una delle città con maggior segregazione razziale del mondo.
La segregazione, evidenziata dal lato nord della città, quasi interamente bianco, e dal lato sud, quasi interamente afroamericano, fu a tratti così estrema che i sociologi dovettero inventare un termine adatto, “ipersegregazione”, per descriverlo. Il South Side [3] ospitò per anni l’esperimento di edilizia popolare orribilmente fallimentare delle Robert Taylor Homes, che l’autore di graphic novel Chris Ware (nato a Chicago) ha definito «scatole per neri».
Le Robert Taylor Homes, che prendono il nome dall’attivista afroamericano e funzionario della Chicago Housing Authority, consistevano di ventotto edifici orrendi, tutti identici, che si allungavano in una linea retta per quasi tre miglia lungo il lato sud della città. Nei momenti di massima occupazione, gli edifici accolsero ventisettemila persone, tutte povere, quasi tutte afroamericane. Progettati, sembrerebbe, per offrire abitazioni a basso prezzo a chi riceveva il sussidio, gli edifici non erano circondati da alberi, erba né luoghi di ritrovo né niente che fosse all’altezza degli standard umani di vita. Nonostante dalle Robert Taylor Homes siano emerse figure pubbliche prominenti, come la stella del baseball Kirby Puckett e il governatore del Massachusetts Deval Patrick, per i residenti gli edifici erano un monumento alla disperazione, e messi all’ombra della costante negligenza dell’amministrazione della città, erano in mano a spacciatori e bande. Per fortuna, l’amministrazione cittadina ci ripensò dopo l’inezia di quarantacinque anni e gli edifici, dal primo all’ultimo, furono abbattuti tra il 2005 e il 2007, per lasciar posto a Legends South, una comunità socio-culturalmente varia di case basse.
A sud dell’area delle Robert Taylor Homes, il trambusto urbano di Chicago si arresta all’improvviso dove comincia una campagna di insuperabile bellezza e quiete. Non esiste altro posto in cui una città tanto grossa si dissolve così nettamente: guidate a sud di Chicago per dodici minuti e vedrete la campagna più piatta e verde che possiate immaginare. Per gran parte delle sue 56.650 miglia quadrate, la piattezza dello Stato sembra proprio assurda. La terra non ha contorni e le strade sono dritte. Sulla I-57, si può guidare per ore senza sentire la più tenue inclinazione del manto, né dover girare il volante nemmeno di pochi gradi. Il che rende possibile le più incredibili imprese automobilistiche, come leggere, farsi la barba, farcire panini, cambiarsi d’abito, passarsi il filo interdentale. Ogni studente che vive nel nord dello Stato e va in un college downstate, per esempio a Champaign-Urbana, conosce queste possibilità anche se nessuno mai ci proverebbe sapendole tanto pericolose.
Ma è una terra stupenda. È il Midwest, in fin dei conti, con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. E per quanto i suoi abitanti cerchino di fare i sofisticati, e per quanto in fretta in molti cerchino di lasciare lo Stato appena diventano grandi, quasi tutti loro sono pronti a dichiararsi dei veri midwesterners. «Dev’essere il midwesterner che è in me», dicono per spiegare, ad esempio, la loro riluttanza, una volta installati in un posto più cosmopolita e scafato, a unirsi a esperimenti che comprendano pipe, corde, candele o gerbilli. «Certe cose nel Midwest non le facciamo», dicono, e qui si abbandonano a pensare ai loro viaggi sulla I-57, quando superano un silo di grano e uno Stuckey’s, quando provano gratitudine per la piattezza della terra e il senso morale della sua gente – della maggior parte, se non altro – e della loro scarsa inclinazione a complicare le idee semplici, come fermarsi ad aiutare qualcuno che ha finito la benzina. Per esempio potreste trovarvi a guidare downstate, un giorno. Magari venite dalla vostra vecchia casa nell’estremo nord dello Stato, oltre Chicago, oltre l’assurda bellezza del suo Loop, oltre il lago – non abbiamo parlato del lago! – oltre il Chicago River, di recente più pulito che in passato, che taglia la città alla perfezione, con tutti i ponti che trasportano la gente, e continuate a guidare verso sud, oltre la città, oltre il sito delle Robert Taylor Homes, o avanti giù per lo Stato. Starete guidando verso Champaign-Urbana, dove siete andati all’università, e dopo ore di strada dritta e piatta, quando siete a venti minuti dalle città gemelle di Champaign e Urbana, noterete che vi sta finendo la benzina. Com’è possibile? Vent’anni di patente, avete fatto questa strada cento volte, e finite a secco a gennaio sulla I-57. La temperatura sarà 15 sotto lo zero e il windchill meno 25. E avrete addosso soltanto una giacca a vento.
Ma siete nel Midwest. Significa che scenderete dall’auto, le ossa così fredde che potrete dire «Oh mio Dio oh mio Dio oh mio Dio», in rapida serie mentre ballate sul posto, ma non aspetterete a lungo. Ogni auto si fermerà. Ogni auto. Le prime due saranno piene di cani e saranno dirette dalla parte opposta, perciò li lascerete proseguire. La terza conterrà una mamma e un papà e due bambini e due adolescenti, e avranno i finestrini aperti. Salirete, l’auto così schiacciata a terra dal peso che una buca vi farà sbattere contro il soffitto. E con i finestrini aperti – perché i finestrini sono aperti? – dentro farà comunque caldo.
I figli della coppia hanno otto, undici, diciassette anni; la più grande, la figlia adolescente, bianca, ha con sé il fidanzato afroamericano. Sarà più a suo agio lui coi genitori di lei che la figlia adolescente. Bambini e adolescenti saranno seduti ammucchiati, a ridere della scomodità, a farsi il solletico, mentre siedi con loro, sul lato sinistro del sedile di dietro, chiedendo scusa per essere rimasto senza benzina in pieno giorno, in un giorno di freddo così impossibile. Rideranno e rideranno, e poi in fretta torneranno all’argomento di cui stavano discutendo prima di prenderti a bordo – se è il caso di andare a St. Louis nel fine settimana a vedere l’Arco – dimenticandosi praticamente che sei lì (tanto è routine prendere a bordo sconosciuti congelati). Ti molleranno alla stazione di servizio, e dirai loro di non aspettarti, se ne andranno, per portare il fidanzato della figlia a un colloquio di lavoro. Dopo che avrete riempito la vostra latta rossa con un gallone di benzina, scenderai di nuovo in strada – oh mio Dio oh mio Dio oh mio Dio, è irrazionale ed è cattivo come un serpente – e ci vorranno 15 secondi perché un camionista si accorga di te, ti faccia cenno di saltare in cabina e ti riporti alla tua macchina, due miglia più in là. L’intera operazione vi richiederà una ventina di minuti. Questa esperienza, che avete avuto in forme varie altre quattro volte mentre andavate al college downstate – perché la vostra Rabbit dell’81 ha la lancetta della benzina difettosa – significa che l’Illinois è il Numero Uno, almeno per voi, se si tratta di senso di bontà, bontà pura e semplice che vi rende felici al pensiero che siete nati qui e in nessun altro posto; perché dove vi ritrovereste, voi e chiunque altro, senza le sue semplici virtù, il contrasto fra il buon senso della piatta campagna e i modi spicci della gente su a nord? Quella terra, dovete ammettere, vi rende melensi. Quella terra vi rende orgogliosi. Siete delle pappemolli per amare quella terra, la Terra di Lincoln, quanto l’amate. Ma l’amate.
Note:
[1] Il primo grattacielo viene costruito in pietra, ferro e acciaio dopo il Great Chicago Fire, l’incendio che nel 1871 distrusse 810 ettari di una città fatta soprattutto di legno.
[2] È sul palco del Second City che il comico e attore John Belushi, nato a Chicago nel 1949, inizia a muovere i primi passi. Anche The Blues Brothers, il suo film più celebre, è ambientato nella “Windy City”.
[3] A metà degli anni Ottanta Barack Obama lavora come community organizer nel South Side. Partecipa anche alla campagna per la rimozione dell’amianto dalle case popolari di Altgeld Gardens.