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 2012  ottobre 25 Giovedì calendario

LA VERITA’ SU MELANIA E LE DUE VITE POSSIBILI DELLA PICCOLA PAROLISI —

Il primo giorno di asilo è stata l’unica a non piangere. Alla scuola materna di via Pomintella, mentre gli altri bambini in lacrime s’aggrappavano alle mamme e ai papà, lei, che non ha una mamma e un papà cui aggrapparsi, ha agguantato il microfono delle maestre. E lì, nel refettorio, ha strillato: «Zitti, tutti zitti, sentite me!». Poi, con la sua vocina sottile come una speranza di salvezza, ha intonato Aggiungi un posto a tavola, la canzone che le ha insegnato zia Nina e che tanto le piace, magari perché le fa pensare con allegria a qualcuno che rivorrebbe accanto.
S’è vaccinata presto contro il dolore e il distacco la piccola V., tre anni compiuti il 16 ottobre e solo l’iniziale per un nome di battesimo che, per quanto noto a tutti, è ora di tutelare. Le è toccato di diventare più forte dei coetanei. Perché suo padre, il caporalmaggiore Salvatore Parolisi, forse il fedifrago più detestato dalle donne italiane, se ne sta rinchiuso da chissà quanto (come si misura l’assenza d’un papà?) nel carcere di Castrogno, a Teramo, con un’accusa da ergastolo sulla testa: averle ucciso la madre, Melania Rea, la dolce Melania che per lei è ormai soltanto un sorriso in una fotografia da baciare dicendo «ciao, mamma», un posto a tavola vuoto per sempre. Dunque domani, quando la giudice Marina Tommolini leggerà la sentenza per papà Salvatore, inchiodandogli addosso la croce del carcere a vita o rimandandolo nel mondo da assolto e innocente, deciderà in qualche modo anche un bel pezzo del destino di questa bambina.
Figlia d’un padre mostro o martire della galera facile, la piccola è un’anima divisa in due da quel 18 aprile 2011 in cui sua madre fu uccisa nel bosco delle Casermette, forse davanti a lei, testimone inconsapevole, allora di appena 18 mesi, addormentata in un passeggino: è contesa tra due case, due paesi del napoletano, due ipotesi di vita, due famiglie, due modi di amarla. Domani sapremo se resterà a Somma Vesuviana, coi genitori di mamma Melania, nonno Gennaro e nonna Vittoria, che l’hanno presa in affido temporaneo: soprattutto con nonna Vittoria, sì, che le fa da mamma surrogata, l’accompagna a scuola al mattino, la coccola la sera, le infila spesso quella maglietta di Minnie che tanto sarebbe piaciuta a mamma Melania perché il suo ultimo Carnevale proprio da Minnie l’aveva vestita, la mamma. O se una sentenza che restituisca la patria potestà a quel suo papà disonorato da cronache spietate e pettegolezzi irripetibili, la porterà nella casa di Frattamaggiore, dagli «altri nonni», Pasquale e Vittoria (Vittoria è un nome del destino per le donne di famiglia), dove zia Franca, la sorella di Salvatore, le cucina ogni domenica le braciole al sugo che le fanno venire l’acquolina in bocca e poi le passa il telefono da cui esce quella voce di papà, un papà sempre più lontano, sempre più sfuocato nella memoria, per il quale gli adulti di casa le suggeriscono ormai le frasi: «Digli "ti voglio bene... sei nel mio cuoricino"...».
Sì, domani la giudice Tommolini involontariamente traccerà il percorso della piccola vittima «collaterale» di questo drammone di provincia dagli ingredienti banali: sesso, tradimenti e caserma a luci rosse. Due vite in una sola bambina.
A «Somma», assieme ai nonni, l’aspetta zio Michele, il pilastro della famiglia Rea, che coi mesi ha preso toni duri verso Salvatore e adesso dice che «quasi quasi non basterebbe nemmeno l’ergastolo per quello lì». Dopo tanto veleno è cambiato infine pure Michele, il fratello saggio di Melania, che con la moglie Nina ha dato alla nipotina attenzioni con cui solo una coppia giovane può circondare un bambino, i giochi e i tempi giusti, la playstation, i cuginetti sempre in giardino, gli psicologi, perfino il film di Tarzan per spiegarle che un cucciolo d’uomo, coraggioso come lei, può perdere i genitori ed essere adottato da una famiglia di scimmie, amorevoli come loro. «Gente che cammina col dolore sulla faccia», dicono dei Rea i paesani rispettosi.
A «Fratta» la reclama il mondo più semplice di Salvatore, quella zia Franca che pure aveva provato ad averla in affido, in competizione coi nonni materni, e che è in fondo l’altra faccia di Michele Rea, il pilastro dell’altra famiglia, quella che ha nascosto il viso di Salvatore tra i suoi lunghi capelli scuri durante i funerali di Melania, quella che ne ha raccolto i singhiozzi, fasulli secondo i cronisti che stavano lì quel giorno. Franca, la zia che non s’arrende, che non vuole perdere la nipote, che le legge come una continua litania le lettere del padre dicendole che è via per lavoro: «Ciao, tesoro, è il tuo papà che ti scrive. Non faccio altro che pensarti e domandarmi cosa stai facendo, con chi, se stai mangiando, dormendo, insomma mi manchi tantissimo come anche la tua mamma». «Gente che cammina con la vergogna nel cuore», malignano i paesani sui Parolisi. Poche ore ancora anche per la bambina, poi una sentenza per due ipotesi di futuro. A «Somma», un risarcimento milionario che, se concesso, ne farebbe un’orfana ricca. A «Fratta» un papà dalle troppe donne, che, tornasse libero, forse solo per lei potrebbe pronunciare con sincerità quella frase detta tante volte a vanvera: «Nessuno ci separerà, te lo prometto».
Goffredo Buccini