Stefano Rizzato, La Stampa 25/10/2012, 25 ottobre 2012
IL PIATTO SIMBOLO DEL MADE IN ITALY
Oggi ricorre il World Pasta Day, arrivato alla 17ª edizione: come si festeggia questa giornata dedicata al piatto-simbolo dell’Italia in cucina?
Con l’annuale grande incontro tra produttori e nutrizionisti, esperti «pastologi» e semplici amanti di spaghetti e rigatoni. Quest’anno si terrà a Città del Messico e sarà l’occasione per una sorta di «Stati generali» della pasta, organizzati dall’International Pasta Organisation per discutere del ruolo chiave di questo alimento così apprezzato in tutti i continenti.
È davvero il cibo più popolare in Italia?
Non ci sono dubbi: la pasta batte ogni altra pietanza per presenza sulle nostre tavole. Secondo le stime di Coldiretti, ogni anno gli italiani ne mangiamo poco meno di 26 chili a testa: tre volte più degli americani e cinque volte più di tedeschi e spagnoli. Dietro di noi, sul podio dei mangiatori di pasta ci sono, abbastanza a sorpresa, il Venezuela, con 12,3 chili pro-capite, e la Tunisia con 11,9.
La pasta italiana è famosa nel mondo: quanta ne esportiamo?
Questo vero e proprio simbolo del made in Italy non conosce crisi. Da gennaio a luglio di quest’anno, più di un milione di tonnellate di pasta italiana è finito sulle tavole di tutto il mondo. Tra spaghetti, penne e rigatoni, è tricolore un piatto di pasta su quattro. I principali estimatori sono europei – tedeschi, francesi e inglesi – ma stanno crescendo molto anche le importazioni dagli Stati Uniti (+21 per cento rispetto al 2011) e soprattutto dalla Cina, dove l’acquisto di pasta italiana è raddoppiato in soli sette mesi. Anche il mercato interno va benone: complice la crisi economica, nei primi nove mesi del 2012, il consumo di pasta in Italia è cresciuto del 3,6 per cento.
È vero che sono stati proprio i cinesi ad inventare la pasta?
Secondo una leggenda – per la verità con poco fondamento – sarebbe stato Marco Polo a portare la pasta in Occidente, nel 1295, di ritorno dalla Cina. Eppure, già nel I secolo avanti Cristo, autori latini come Orazio e Cicerone esaltavano la bontà delle «làgana», antenate greche delle attuali lasagne. La verità è che è difficile collocare l’invenzione della pasta sia geograficamente che nel tempo: potrebbe essere stata introdotta già nel neolitico, quando l’uomo imparò a coltivare i cereali.
Da lì, come si è arrivati ai maccheroni al pomodoro e al loro successo?
La prima data certa è il 1154: allora, un geografo arabo parlava di «un cibo di farina in forma di fili» chiamato «triyah», che si confezionava a Palermo e si esportava in tutta la penisola. Proprio il clima della Sicilia – e di altre regioni come Campania e Liguria – favorirono la diffusione della pasta, che all’epoca veniva fatta semplicemente essiccare all’aria. Il tradizionale compagno dei maccheroni, il pomodoro, arrivò dal Perù intorno al 1550, ma solo a metà Seicento iniziò a essere coltivato regolarmente anche in Italia.
Quanti tipi di pasta esistono?
Tra lunga e corta, ormai ci sono oltre 300 diversi formati. Il dominatore incontrastato è lo spaghetto, il genere più venduto, ma circa il 70 per cento del mercato è rappresentato dalla pasta corta. In Italia esiste persino una legge in materia, approvata nel 1967. Nota come «legge di purezza», impone l’obbligo di produrre pasta esclusivamente con grano duro ed elenca addirittura le diverse tipologie.
Oggi però, oltre alla classica pasta di grano duro, in commercio se ne vedono anche di altri tipi.
Certo. Per esempio la pasta integrale, prodotta con il grano puro e ricca di fibre. Oppure la pasta di riso, priva di glutine e per questo adatta soprattutto alle persone celiache. Così come la pasta di soia, del tutto priva di glutine e particolarmente usata nella cucina orientale.
Oltre a essere economica e semplice, fa bene anche alla salute?
Esistono studi che associano la pasta a un minore rischio di sviluppare il diabete. Ma è un alimento indicato anche per chi ne soffre. Ce lo spiega il professor Giorgio Calabrese, docente di Nutrizione umana all’Università di Torino: «Il diabete dipende da un’alterazione dell’insulina, l’ormone che ha un ruolo fondamentale nel metabolismo degli zuccheri. Chi ne è affetto, non deve necessariamente eliminare tutti i carboidrati dalla propria dieta, ma piuttosto scegliere quelli più complessi. Come appunto la pasta, che rilascia gli zuccheri in modo graduale e – a patto di non esagerare con i condimenti – è più che indicata per i diabetici».
In generale, si può considerare un cibo insostituibile per chiunque?
«Lo è senz’altro – continua il professor Calabrese – proprio perché ha questa proprietà di rilasciare l’energia poco alla volta. Bastano 80 grammi di pasta a pranzo per arrivare fino alle nove di sera in piena efficienza e senza aver fame. Chi pensa di dimagrire eliminando questo tipo di contributo dalla propria dieta commette un grave errore. Con una dieta iperproteica come quelle in voga negli Stati Uniti si può riuscire a perdere peso da subito, ma a lungo andare si ingrassa nuovamente. E con gli interessi».