Marina Cavallieri, la Repubblica 25/10/2012, 25 ottobre 2012
RICICLO DEI VESTITI
Ci sono vestiti, giacche, pantaloni, gonne, borse che giacciono in ogni armadio: tutti i guardaroba hanno un angolo dove vengono custoditi gli abiti smessi che è un piccolo tesoro. Questi indumenti infatti, tutti insieme, formano quintali di stoffa inutilizzata che possono avere una seconda vita. «È dimostrato che con la raccolta di un chilo di stoffa si riduce l’emissione di Co2, il consumo di acqua, l’uso di fertilizzanti e pesticidi. Se in Italia si riuscisse a passare dalle attuali 80 tonnellate di abiti raccolti alle 240, si risparmierebbero 36 milioni di euro sullo smaltimento di rifiuti », spiega Edoardo Amerini, presidente del Conau, consorzio abiti e accessori usati. «In Europa si acquistano in media 15/20 chili di abiti l’anno, in Italia 14, sempre in Europa si riescono a recuperare circa 7 chili, ma la media italiana è molto più bassa, circa 1,3: l’obiettivo è aumentare il tasso di raccolta, arrivare almeno a 5».
Per capire quanti sono gli abiti che non usiamo, l’ente governativo Wrap ha calcolato che gli indumenti non indossati custoditi nelle case inglesi costituiscono uno spreco pari a trenta miliardi di sterline, circa il 30 per cento dell’intero guardaroba non viene indossato almeno per un anno.
Anche in Italia si sta calcolando il prezzo che si paga per le montagne di abiti perduti. «Sette mesi fa è stato siglato un accordo con l’Anci, aumentano i comuni che s’impegnano a realizzare la raccolta di abiti usati e crescono i chili di indumenti raccolti», dice Amerini. Comuni sempre più virtuosi, recentemente l’associazione Humana ha premiato quelli più efficienti: è Ferrara con 249 chili di abiti raccolti in un anno la città che svuota di più gli armadi, seguono nella hit del riciclo Alessandria e Rovigo. Ma dove finiscono i vestiti raccolti? Ritirati dai cassonetti gialli,gestitidallecooperative sociali che fanno capo a enti come la Caritas, vengono venduti ai consorzi, da lì selezionati, i buoni avviati al mercato dell’usato, gli altri riciclati per l’industria.
Ma il movimento degli abiti che vivono due volte non si ferma alla raccolta differenziata. A New York li chiamano
swap party,
sono incontri dove signore si scambiano vestiti troppo amati o pagati per disfarsene in un cassonetto. Un baratto che si sta diffondendo anche in Italia. «Il “second hand” per gli italiani non è più problema come
una volta, non c’è più il pregiudizio, anzi, aumentano i punti vendita del vintage», dice Angelo Caroli proprietario della più grossa rivendita europea di abiti d’epoca vicino Ravenna. Crescono
anche i privati che si disfano dei vestiti su Internet. Secondo e-bay, sono le borse gli oggetti più inutilizzati: ogni donna ne avrebbe 4,23 che non usa. (Marina Cavallieri, la Repubblica 25/10/2012)