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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

BAZOLI, PER FAVORE NON ROTTAMATE ANCHE ME

Tra due mesi compirà 80 anni e la notizia basta a comprendere l’intemerata di Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, contro il concetto, “indegno”, di rottamazione. Chiamato 28 anni fa dall’amico Beniamino Andreatta a occuparsi del Banco Ambrosiano lasciato in stato semi cadaverico da Roberto Calvi, Bazoli ne ha fatto la più grande banca italiana senza mollare il volante per un solo istante e può, a buon diritto, ritenersi ancora utile alla causa, se non indispensabile.
Ma il discorso sulla dimensione economica della longevità che ha pronunciato domenica scorsa a Padova, in occasione della inaugurazione della “Casa di sussidiarietà” realizzata dalla Fondazione Opera Immacolata Concezione anche grazie alle donazioni di Intesa Sanpaolo, va al di là dell’autodifesa, di per sè poco interessante: l’oste dice che il vino è buono, il politico navigato nega di essere un cane morto, e l’anziano banchiere ha tutto il diritto di rivendicare la propria perdurante lucidità.
Bazoli denuncia, come suo solito, un capitalismo (di cui pure è uno dei massimi attori) che guarda esclusivamente al profitto, e che, reggendosi “sul costante aumento dei consumi” guarda con sospetto alla tendenza dei vecchi a ridurli. Effettivamente, ammette Bazoli, la senilità è caratterizzata da “caduta dei desideri” e “inappetenza intellettuale”. E quindi, la sua ricetta, indicata anche per riaccendere i consumi e con essi la ripresa economica, è che bisogna “ridare agli anziani i desideri e le passioni che hanno perso, quindi un nuovo progetto di vita”.
Da questo punto di vista Bazoli è un esempio. Il suo stipendio di un milione 378 mila euro, come sanno tutti i pensionati suoi coetanei, non è tale da costringere alla caduta dei desideri. E sicuramente il giurista bresciano ha mostrato nel corso degli anni una capacità inesauribile di riaccendere le proprie passioni, tra cui, evidente, quella per l’esercizio del potere economico.
Solleva però qualche interrogativo il diritto di Bazoli a ergersi a giudice dei cosiddetti rottamatori. Per quanto possa essere giudicata di cattivo gusto, la battaglia di Matteo Renzi contro lo stato maggiore del suo partito è tutta politica: alla fine decideranno, democraticamente, gli elettori, che potrebbero anche rottamare per le vie brevi il giovane sindaco di Firenze.
Non è stata invece sottoposta al voto popolare l’iniziativa con cui la banca guidata da Bazoli ha rottamato negli ultimi dieci anni circa 20 mila dirigenti, quadri e semplici impiegati, accompagnandoli alla pensione precoce con maniere notoriamente piuttosto spicce (indegne, le definirebbe Bazoli): incombevano su Intesa Sanpaolo quelle urgenze del turbo capitalismo (taglio del costo del lavoro, ottimizzazione, razionalizzazione, “Roe”, “Roi” e margine d’intermediazione) che Bazoli condanna sempre con molta severità quando riguardano le altre banche degli altri. Bazoli forse non se ne rende conto, e guardando le cose dal suo particolare punto di vista è comprensibile. Nel 2007, quando Intesa si fuse con il Sanpaolo, scattò in suo favore la clausola che prevedeva il versamento di una liquidazione pari a dieci annualità del suo stipendio. Una lauta buonuscita, e per di più senza uscita. Chissà quante migliaia di bancari molto più giovani di Bazoli avrebbero preferito incassare la liquidazione e continuare a lavorare come prima, anziché essere consegnati di colpo alla spesa al supermercato come massima operazione di business. E adesso, dopo il danno, la beffa: il professore che gli rinfaccia la sopravvenuta “inappetenza intellettuale”. Un po’ ingrato.