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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

LA CRISI DEI GIORNALI, POCHI UTILI MOLTI DIVIDENDI

Cedole sì, stipendi sempre meno. Per i soci il dividendo difficilmente manca. Anche se in piena crisi e per contenere i costi si tagliano i posti di lavoro. Se poi c’è di mezzo un bene prezioso come l’informazione, il contesto si complica. Non hanno tutti i torti i giornalisti di Corriere della Sera e Repubblica che, in forme diverse, in questi giorni stanno invitando i loro editori alla coerenza in tema di contenimento dei costi e incremento degli investimenti. Soprattutto se si guarda alla cedola incassata dai soci negli ultimi cinque anni: dal 2007 al 2011 i più importanti editori del Paese, Espresso, Mondadori e Rcs, hanno distribuito ben 337.323 milioni di euro di dividendi ai soci. I loro amministratori delegati nello stesso periodo hanno complessivamente incassato quasi 30 milioni di euro. In nome della crisi e della riduzione degli incassi pubblici-tari, sono stati però tagliati quasi 3300 posti, il 21% circa del totale.
ANCHE A DISPETTO del fatto che le tre aziende assieme abbiano generato circa 381 milioni di utili, somma che tiene conto delle massicce perdite dell’editrice del Corriere della Sera, Rcs, principalmente imputabili alla disastrosa acquisizione della spagnola Recoletos. Avventura fallimentare, quest’ultima, che sta minando gli equilibri nel composito azionariato del gruppo di via Solferino (da Mediobanca a Rotelli a Della Valle). Anche perché la Rcs, pur essendo la società messa peggio, è quella che ha tagliato di meno: 700 persone sulle 6628 che impiegava mediamente nel 2007 (-10,5%). E dire che nello stesso periodo la testata ammiraglia del gruppo, il Corriere, ha bruciato oltre 171 mila copie (-26,3%). Ultimo posto anche per remunerazione dei top manager, con Antonello Perricone che in cinque anni ha portato a casa 6,8 milioni di euro oltre a 3,4 milioni di liquidazione. Anche troppo, dicono oggi i giornalisti di via Solferino, visto che è sua la firma sull’acquisizione della spagnola Recoletos a 1,1 miliardi di euro, prezzo che oggi pare assurdo e che sta mettendo in difficoltà tutto il gruppo su cui ora gravano 938,2 milioni di debiti (dato di fine 2011). Un buco solo in parte riempito dalla vendita dell’editore Flammarion e che ha assunto dimensioni tali da far registrare – a metà anno – perdite superiori a un terzo del patrimonio. In cinque anni, tra 2007 e 2011, il saldo tra utili e perdite negativo per 186,5 milioni. La vicenda ha creato burrasca tra i soci, benché ora, come dichiarato giovedì 18 dal presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, sarebbero pronti al grande passo dell’aumento di capitale che secondo il sindacato dei giornalisti del Corriere dovrebbe arrivare a 400 milioni. Cifra che però poteva essere più bassa se gli azionisti si fossero attribuiti meno dividendi di quanto hanno fatto, cioè quasi 100 milioni nel quinquennio.
TACCIONO, PER ORA, i sindacati della Mondadori nonostante il gruppo editoriale della famiglia Berlusconi in questi anni abbia abbinato cesoie e dividendi. Complessivamente, infatti, nel quinquennio l’editrice di Segrate ha lasciato a casa 1914 persone (-34%) e ha versato agli azionisti 124.1 milioni di euro su utili per un totale di 335.7 milioni. Record, rispetto ai concorrenti, anche per gli stipendi dei top manager, con l’amministratore delegato, Maurizio Costa, che nel periodo ha portato a casa 13.85 milioni. Del resto lui il suo lavoro di pulizia dei bilanci l’ha fatto bene: tra risparmi sui costi e utili macinati, Mondadori nei cinque anni ha ridotto la sua posizione debitoria del 38% portandola da 535 a 335 milioni a dispetto del fatto che testate importanti come Panorama hanno bruciato il 26% delle copie crollate dalle 479 mila del 2007 alle 351 mi-la del 2011 (-127 mila).
MEGLIO DI LUI ha fatto solo la collega dell’Espresso, Monica Mondardini, che ha sostituito Marco Benedetto nel 2009. Principalmente grazie alla sua guida, l’editrice di Repubblica, a dispetto di un crollo del 29,5% delle copie del quotidiano (-127,6 mila) e del settimanale del 25,8% (-101.8 mila), ha chiuso il quinquennio con 231,6 milioni di utili, più di metà dei quali (123.529 milioni) sono andati nelle tasche degli azionisti capitanati da Carlo De Benedetti. E intanto il debito dell’azienda è sceso quasi del 60% passando da 265 a 110 milioni. Un aiuto è senz’altro arrivato dai tagli del 20% circa del personale che a fine 2011 era di 2747 persone, 667 in meno del 2007.