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 2012  ottobre 24 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL DIBATTITO AL SENATO SULLA LEGGE SULLA DIFFAMAZIONE


GRILLO ESULTA PERCHE’ UNA SETTANTINA DI GIORNALI CHIUDERANNO
ROMA - Beppe Grillo brinda alla prospettiva che una settantina di giornali possano chiudere per il taglio di fondi. "Finalmente una buona notizia - ha scritto sul suo blog il leader del Movimento 5 stelle -. Ogni tanto bisogna guardare il grande cielo azzurro e tirare il fiato. Settanta giornali rischiano di chiudere". Grillo poi aggiunge: "Finora sono stati finanziati dalle nostre tasse per raccontarci le loro balle virtuali".
Il comico genovese attacca: "Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa è preoccupato per il pluralismo dell’informazione, ma soprattutto per i soldi". Se non arriveranno, per molte testate l’unica strada sarà la chiusura. "Hip, hip, hurrà! Bye, bye giornali - conclude Grillo -, è stato bello, anche grazie a voi, arrivare sessantunesimi al mondo per la libertà di informazione".
Siddi, a proposito di questa situazione, aveva detto: "Siamo a fine anno e non solo i finanziamenti pubblici all’editoria sono scesi da 114 milioni del 2011 a 60-70 del 2012, ma non si riesce neanche a capire con esattezza quale sarà l’ammontare". Le imprese "che stanno continuando a lavorare - aveva spiegato il segretario dell’Fnsi - stringendo i denti rischiano di arrivare a fine anno e scoprire che i fondi non saranno erogati. In quel caso l’unica strada sarà la chiusura".
"Le quattromila persone che rischiano il loro posto di lavoro ringraziano sentitamente Grillo per l’attenzione
e la solidarietà espressa". È la replica ironica di Fulvio Fammoni, presidente della fondazione Di Vittorio e componente del Comitato per la libertà e il diritto all’informazione.
(24 ottobre 2012)

REPUBBLICA.IT
ROMA - È iniziato, in un’Aula del Senato praticamente deserta, l’esame del ddl sulla diffamazione, intorno al quale, comunque, ci sono già aspre polemiche. C’è chi dichiara, come Maria Elisabetta Alberti Casellati (Pdl) che è "auspicabile" l’approvazione di questo provvedimento nato per evitare il carcere all’allora direttore di ’Libero’ Alessandro Sallusti. Il senatore del Pdl Giacomo Caliendo difende l’emendamento che aveva presentato e che era stato ribattezzato ’Anti-Gabanelli’, ma avverte che non lo ripresenterà per l’Aula. ’’Non l’ho presentato, non per paura degli schizzi di fango che mi hanno tirato addosso’’, spiega, ma perché senza altre norme che si sarebbero dovute inserire nel testo ’’non avrebbe alcun senso’’. Quello che chiede Caliendo, infatti, è che da questo provvedimento esca ’’l’obbligo di rettifica immediata’’ senza che ci sia ’’la valutazione di nessuno, né del direttore, né del giornalista’’, perché l’unica cosa ’’davvero importante’’ è che si riconosca al diffamato ’’il diritto di poter chiedere che venga pubblicata la sua versione dei fatti’’.
Vannino Chiti, poi, uno dei firmatari del ddl insieme a Maurizio Gasparri, sembra averci ripensato e ai suoi in Transatlantico propone di cambiare il testo almeno per quanto riguarda la pena pecuniaria che, secondo lui, "non dovrebbe superare i 50mila euro".
Il Pd, sul testo, si divide. C’è chi come Vincenzo Vita chiede che si cambi perché
se il testo resta così com’è, almeno lui, non lo voterà mai, mentre Alberto Maritati dice che non è in discussione la libertà di stampa, ma solo l’ipotesi di ’reati’ che come tali vanno puniti. "Non c’è nessuna lesione", secondo Maritati, neanche per quanto riguarda la parte della normativa che punta a disciplinare la ’diffamazione’ sul web. "Un inasprimento delle ammende c’è stato, ad esempio da 3 a 30 mila euro, da 5 a 50 mila euro, ma non credo sia sufficiente a scoraggiare la diffamazione. Bisogna andare oltre", ha sostenuto il senatore Pd Giovanni Procacci, fuori dall’Aula. "La legge viene fatta a rimorchio di un caso specifico come è quello di Sallusti, ma è un’occasione per discutere su un tema che comunque andava rivisto", afferma Procacci. "Sono contro la gogna, non si può prevedere il carcere, ma servono ammende così elevate da scoraggiare l’azione diffamatoria, che è un atto di barbarie". Diversa è la posizione di Paolo Gentiloni per il quale ’’alla Camera la norma urgente che impedisce il carcere per il direttore del Giornale può essere inserita in uno dei decreti in conversione e non deve essere il pretesto per varare sulla diffamazione una legge affrettata e pericolosa. Il testo in discussione al Senato - aggiunge - è una
minaccia per la libera informazione e per testate e siti web. Deve tornare in Commissione. Non ha senso colpire tutti i giornalisti per salvarne uno’’.
"Futuro e Libertà ha presentato suoi specifici emendamenti per modificare profondamente la parte che riguarda i siti internet. Sono però fermamente convinta che il ddl sulla diffamazione non vada emendato, ma azzerato", ha affermato in una nota la deputata di Fli, Flavia Perina. "Per risolvere un problema limitato a una decina di casi nella storia repubblicana, l’arresto di un giornalista, questo provvedimento legalizza forme di intimidazione senza precedenti alla stampa e al web e consente atti di autentica censura. Più che una ’legge bavaglio’ - sottolinea Perina - appare come una ’legge vendetta’ di una classe dirigente che, come ultimo atto di una stagione di potere che non tornerà più, detta norme per colpire chi ne ha svelato le malefatte".
Gli emendamenti di Fli. Gli emendamenti sul web depositati in Aula al Senato dalla senatrice di Fli, Maria Ida Germontani, prevedono che, se un sito internet o un motore di ricerca è messo in grado di essere contattato, allora la rimozione dalla Rete di contenuti o immagini ritenute diffamatorie può essere chiesta anche senza ricorso a un giudice. Il testo modifica il comma 1 dell’articolo 3 del provvedimento, quello sul diritto all’oblio che, nella formulazione attuale parla di richiesta in maniera generica, da parte della persona interessata, dell’eliminazione di dati personali e contenuti. In caso di rifiuto l’interessato potrà rivolgersi a un tribunale. L’emendamento di fli propone di sostituire il testo nel modo seguente: "fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, nel caso in cui sia possibile mettere il prestatore di un servizio della società dell’informazione al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione, l’interessato, anche senza esperire la procedura di cui al comma 2" ossia senza ricorrere al giudice "può chiedere al prestatore di servizi della società dell’informazione l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della presente legge". Germontani ha poi presentato un secondo emendamento che prevede che l’obbligo della rettifica per i siti on line valga solo per le testate giornalistiche diffuse per via telematiche registrate, ossia quelle "iscritte al registro degli operatori di comunicazione".
Auspica di tornare al "testo scheletrico iniziale senza avventurarci per strade oscure. Ci apprestiamo a rivedere il testo alla luce dei nostri emendamenti" il responsabile Giustizia dell’Idv, Luigi Li Gotti, parlando in Aula a Palazzo Madama. E il leader del partito, Antonio Di Pietro, durante il videoforum a Repubblica Tv 1, ha detto che voterà "contro il provvedimento, perché è un nuovo bavaglio. Ma sono favorevole a togliere il carcere per questo tipo di reati".
I Radicali sono d’accordo con il carcere per i giornalisti che diffamano, ha detto in Aula la senatrice Donatella Poretti. "Diffamare - osserva - è una responsabilità gravissima che lede profondamente il diritto della persona" e quindi, "va bene la sanzione pecuniaria", ma anche il carcere non va escluso.
Intanto il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, chiudendo un breve giro di opinioni nel corso del plenum sul tema degli attacchi di stampa alle sentenze della magistratura, ha preso le difese della Corte di Cassazione, presa di mira in modo molto duro dall’editoriale sul Giornale di Alessandro Sallusti. "La presidenza - ha detto Vietti - si associa ai primi interventi ed esprime solidarietà al primo presidente e a tutti i magistrati della Cassazione per i toni inaccettabili usati nei loro confronti". Il direttore del giornale è stato condannato dalla Cassazione in via definitiva a 14 mesi di detenzione per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Fieg: "In ddl disprezzo libertà di stampa". "Oggi queste norme sono assurde e pericolose, possono condizionare la sopravvivenza di molti giornali e rivelano un assoluto disprezzo per la libertà di stampa. È auspicabile che il dibattito le modifichi radicalmente". Così il presidente Fieg, Giulio Anselmi, è intervenuto sul ddl diffamazione dopo il Comitato di presidenza.
Oltre 140 emendamenti. Sono già circa 140 gli emendamenti depositati in aula al Senato. Gli uffici legislativi dell’assemblea stanno però ancora fascicolando le proposte e altre ne stanno arrivando. Il numero quindi potrebbe salire. E per il giornalista che diffama, invece del carcere spunta ’’la pena del lavoro di pubblica
utilità da tre mesi a un anno’’. A proporlo è il senatore di Api-Fli, Franco Bruno.
Lunedì ddl alla Camera. La Conferenza dei capigruppo alla Camera è stata fissata per lunedì 29 ottobre, per esaminare la calendarizzazione della discussione sul ddl diffamazione che dovrebbe essere nel frattempo votato dall’Aula del Senato. Intanto la Camera continuerà la discussione in Aula sulle normative riguardanti la disciplina forense.

CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA (ALESSANDRO TROCINO)
ROMA — Niente più carcere. In cambio, multe salatissime, fino a 100 mila euro. Il disegno di legge sulla diffamazione ha lasciato la commissione Giustizia e approda oggi in aula, dove sarà votato entro domani. Gli oltre cento emendamenti hanno trovato una forma in un testo sul quale c’è un’intesa di massima. Ma sono molti i mugugni tra i partiti — dal Pd all’Idv all’Udc — tanto che oggi si annunciano diversi interventi: sparita la norma «anti Gabanelli», restano, tra gli altri, i nodi della pena massima e dell’estensione dell’obbligo di rettifica ai siti Internet e persino ai libri. Un testo che preoccupa la Fnsi. Al presidio di ieri, il presidente Roberto Natale ha attaccato: «Questo provvedimento è punitivo e sarà letale per l’informazione scomoda. Hanno abolito un emendamento, ma è tutta la legge a essere anti Gabanelli, nel momento in cui va a colpire i giornalisti che fanno il proprio lavoro. Se non cambia, è meglio tenerci la legge che c’è, carcere compreso».
In caso di diffamazione a mezzo stampa, con l’attribuzione di un fatto determinato, si applicherà una pena da 5 mila a 100 mila euro, «tenuto conto della gravità dell’offesa e della diffusione dello stampato». Respinto per un voto l’emendamento che voleva dimezzare il tetto massimo. In caso di recidiva specifica, commessa nei due anni precedenti, la pena può raddoppiare. La pubblicazione della rettifica vale come attenuante, il rifiuto come aggravante. Si introduce l’obbligo di rettifica senza commento e per intero, come anche la pubblicazione per esteso delle (spesso chilometriche) sentenze di condanna. Tra le sanzioni, il blocco dei contributi dell’editoria.
C’è poi il capitolo sull’interdizione dalla professione. È una pena accessoria che interrompe l’attività del giornalista per un periodo da uno a sei mesi o in caso di reiterazione da sei mesi a un anno e da uno a tre anni. Poi c’è la norma che riguarda i cosiddetti dossieraggi o la «macchina del fango»: nel caso in cui il fatto sia commesso dall’autore, dal direttore o vice, dal proprietario o editore, o da almeno tre di loro, la pena è aumentata fino alla metà. Oltre alla pena della multa, la persona offesa potrà chiedere un risarcimento dei danni, per non meno di 30 mila euro.
Norme controverse, che trovano qualche mal di pancia nei partiti del centrosinistra. Nel Pd Vincenzo Vita annuncia: «Ripresenterò i miei emendamenti che riducono la pena a un massimo di 30 mila euro, cancellano l’interdizione e la ridicola pretesa di intervenire sulla rete». Tra le anomalie, la cancellazione di contenuti dal web, difficile, considerato che spesso vengono condivisi da centinaia di siti. Il Pd non sembra avere una linea comune. Silvia Della Monica lo reputa un testo «assolutamente equilibrato». La presidente dei senatori, Anna Finocchiaro, intervenendo al presidio Fnsi, spiega: «Premesso che non ho parlato con i colleghi di gruppo e parlo a titolo personale, penso che questo testo vada corretto». Tra i punti da correggere, «le pene troppo alte, la sospensione automatica dall’attività professionale che va invece commisurata alla gravità del fatto e la restituzione dei fondi per l’editoria».
L’Idv, con Luigi Li Gotti, concentra le critiche soprattutto sul «bavaglio al web». Mentre l’Udc, con Roberto Rao, contesta «le molte storture»: «La centralità della rettifica è un principio giusto ma le condizioni per richiederla sono troppo ampie e troppo stringenti le forme con cui dovrà essere effettuata». Rao chiede di rivedere anche la pena massima, e «correggere la norma sulla diffamazione nei libri». Protestano anche il Popolo Viola e Articolo 21.
Cè anche un piccolo giallo su un emendamento, che prevederebbe la possibilità di esigere il «diritto all’oblio» anche da parte dei conviventi della persona diffamata e deceduta. Il senatore del Pdl Giuseppe Valentino, trasecola: «Che c’entrano le coppie di fatto? Dev’essere un refuso, un errore di battitura, che sarà corretto».
Alessandro Trocino

FRANCESCO MERLO SU REPUBBLICA
ERA meglio per tutti, anche per Sallusti, tenerlo in galera. Era meglio per tutti, persino per noi, sopportarlo come un finto eroe e non ritrovarsi invece con un testo di legge che massacra anche il buon senso. La Commissione Rancore del Senato ha scelto insomma di liberare Sallusti e imprigionare la stampa. E dico che non mi interessa la corporazione, non difendo i salari o le pensioni di una categoria
e neppure i suoi privilegi di casta.
l testo che va in aula stamani al Senato non è infatti un sopruso contro noi giornalisti ma è quel bavaglio all’informazione che, perseguito come una chimera maligna negli anni del berlusconismo, solo ora sta per diventare legge nella complice distrazione dei tecnici. Certo, è un colpo di coda del regime che muore. Ma è a doppia firma. C’è la destra che fa il suo solito sporco lavoro, ma c’è la sinistra che mentre millanta nobiltà approfitta dell’inghippo liberticida per mettere a frutto il suo gruzzolo di vendette.
Ieri la Cassazione ci ha spiegato che la condanna di Sallusti sanziona non il giornalismo fazioso, che rimane nobile qualunque sia il punto di vista, ma il giornalismo in malafede fondato sull’insulto, la disinformazione e lo stravolgimento della verità. Tuttavia secondo noi la galera rimane una pena spropositata, sempre e comunque, anche nel caso di Dreyfus- Sallusti che non ha mai chiesto scusa e continua ancora oggi a negare la diffamazione.
E però solo uno sgherro travestito da senatore poteva immaginare una rettifica che pur non estinguendo la querela diventa una gabbia, una prigione di parole da pubblicare comunque e subito, a prescindere dal processo, sempre in testa alla pagina, senza replica, senza limiti di rigaggio e senza l’obbligo più ovvio, che si tratti cioè di verità. Se io per esempio scrivo un articolo documentato su Formigoni, lui l’indomani può impaginare il mio giornale come gli pare. Ed è evidente che gli conviene presentare una rettifica ogni volta che viene scritto il suo nome e sperare anzi che venga ripetuto molto spesso: solo così può violentare le notizie e farne propaganda. Come si vede, questa idea di rettifica non è soltanto un’occhiuta operazione di censura preventiva, ma è anche un orrore di incompetenza, un insulto all’intelligenza.
E come può un piccolo giornale pagare le multe che oggi arrivano sino a cinquemila euro e che invece da cinquemila partirebbero per arrivare a centomila euro? I minimi diventano massimi e i massimi diventano ceppi su cui inchiodare le notizie. Tanto più che alla multa bisogna aggiungere il danno che partirebbe – nientemeno – da trentamila euro impedendo così quelle transazioni con le quali oggi si risolvono molti conflitti prima di arrivare a processo.
E al giornalista recidivo raddoppiano la pena. Con la diffamazione per fatto determinato il
giornalista è interdetto d’ufficio da uno a sei mesi la prima volta, da sei mesi a un anno la seconda volta, e per tutte le altre volte da uno a tre anni. Davvero è una tagliola che nessun Paese civile conosce, inedita e inaudita. Nessuno di noi si sentirebbe libero. Non solo perché l’editore (spaventato) entrerebbe in redazione, ma perché vogliono zittire le parole,
“talking without speaking, hearing without listening”
cantano Simon e Garfunkel.
Ad ogni condanna per diffamazione all’editore toglierebbero parte dell’eventuale finanziamento pubblico. E alla terza diffamazione gli sospenderebbero il contributo di un anno. È un crescendo di trovate rozze ma efficaci. Se i colpevoli sono almeno tre (basta una doppia firma e il consenso di un caporedattore) la pena è raddoppiata. E il direttore, del quale tutti capiscono l’abnormità dell’omesso controllo, risponderebbe come autore se l’articolo non fosse firmato, e non importa se si trattasse di una breve o di una notizia di agenzia.
E ce n’è pure per gli editori di libri che verrebbero sommersi di rettifiche da fare pubblicare a loro spese sui quotidiani. Pensate ai libri di inchiesta e all’indice dei nomi. Ognuno di quei nomi ha diritto ad una rettifica preventiva e illimitata. È chiaro che l’inchiesta, per non parlare del
pamphlet,
sparirebbe dalle librerie italiane. Solo narrativa. Solo le poesie di Sandro Bondi e i romanzi di Veltroni.
E tutto va esteso ai siti Internet purché facciano informazione, non importa di che genere, da Dagospia a Lettera 43, Blitz quotidiano, il Post, Giornalettismo… E da tutti i siti potranno essere cancellati, a semplice richiesta del presunto diffamato, senza cioè sentenza, articoli e dati personali. Non ditemi che esagero: è come Fahrenheit. Anziché bruciare i libri cancellano le parole, è una forma sofisticata di rogo di scrittura, e anche di memoria, di storia, sono buchi negli archivi. Immaginate che anziché in un archivio di Internet entrassero in un’emeroteca per bruciare i microfilm.
Rimane da dire una cosa sola. Da oggi la legge va in aula dove tutto è pubblico e dove si vota con la faccia e con il nome. Nessuno può fare finta di non aver visto, di non essersi accorto, di non avere capito. Non è materia che consente pilatismo. E noi che non abbiamo altra forza possiamo solo seguirvi uno per uno, pubblicarvi uno per uno, tutti e 315, anche a costo di morire soffocati sotto il peso di 315 lunghissime, querule rettifiche.