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 2012  ottobre 24 Mercoledì calendario

NASCOSTA NEL PUZZLE DEL DNA C’È L’ORIGINE DELLE LINGUE


Tanto per cambiare, l’idea l’aveva avuta Charles Darwin. Se riuscissimo a ricostruire, scriveva nel 1871, l’albero genealogico delle lingue parlate sulla Terra, otterremmo al tempo stesso l’albero genealogico dell’umanità. Secondo Darwin, le differenze linguistiche e biologiche si sono accumulate in parallelo nel corso del tempo. Perciò popolazioni che parlano lingue simili discendono da antenati comuni vissuti pochi secoli fa, popolazioni che parlano lingue meno simili hanno avuto antenati in comune più indietro nel tempo, e gli antenati di tutti (ma questo Darwin non lo sapeva) stavano in Africa intorno a 100 mila anni fa.

Un’idea brillante, che potrebbe aiutarci a capire perché siamo come siamo e parliamo la lingua che parliamo. Ma quell’albero genealogico Darwin non poteva ricostruirlo: molte lingue non le aveva ancora studiate nessuno, e il Dna, fondamentale per capire i rapporti biologici fra le popolazioni, non si sapeva neanche cosa fosse. E poi le cose erano e sono più complicate, se non altro perché la lingua cambia in fretta e i geni meno. L’italiano di oggi non è più quello di 30 anni fa, mentre il Dna che riceviamo dai genitori è sostanzialmente lo stesso che trasmettiamo ai figli. Insomma, quella di Darwin era una previsione azzardata. Ma quando, negli Anni 80, nei laboratori americani di Robert Sokal e di Luca Cavalli-Sforza, si sono accumulati i dati necessari, si è visto che ci aveva preso. Ci sono eccezioni, ma di regola, più le lingue si assomigliano, più simili sono i Dna delle persone che le parlano.

Non tutti sono d’accordo, però. Per orientarsi, meglio ricordare che il Dna è identico in ogni cellula della stessa persona, mentre, prendendo due persone a caso sulla Terra (gemelli a parte), in media i loro Dna sono identici al 999 per mille. Quel piccolo uno per mille che rimane è però importante, perché è lì che sono scritte le nostre differenze ereditarie nell’aspetto fisico, nel gruppo sanguigno e in altre cose, come la capacità di digerire il latte o il rischio di sviluppare molte malattie. Piccole differenze, quindi: ma il Dna è grande, ne contiene milioni, e da lì possiamo misurare quanto diversi siamo a livello biologico.

Con le lingue, in linea di principio, si può fare lo stesso. Si contano in due vocabolari quante parole si assomigliano (come naso e nose in inglese) e quante no (come bocca e mouth). Ma è facile sbagliarsi. Per esempio, mucho in spagnolo e much in inglese sono quasi identiche e vogliono dire la stessa cosa - molto - ma hanno etimologie diverse. Queste false somiglianze confondono le acque, e poi le parole cambiano nel tempo; dopo un po’ di millenni le loro relazioni diventano ambigue. Perciò ha senso confrontare i vocabolari di lingue vicine, per esempio italiano e russo (entrambe lingue indoeuropee), ma non lontane come italiano e turco o ebraico (queste ultime, rispettivamente, altaica e afro-asiatica).

Confrontare lingue vicine, e cioè popolazioni che hanno in comune antenati recenti, è importante, ma sugli ultimi millenni abbiamo informazioni storiche precise e dati archeologici abbondanti. Il confronto fra lingue e geni servirebbe soprattutto a raccontarci un passato più lontano, su cui disponiamo di poche altre informazioni. Ma come si fa? La soluzione l’hanno trovata due linguisti italiani, Giuseppe Longobardi dell’Università di Trieste (oggi a York) e Cristina Guardiano dell’Università di Modena, con un’idea semplice, ma tutt’altro che banale. Ci vuol poco perché entrino nel linguaggio termini come shopping, spread, e magari, all’estero, soprano e pizza. Non è però altrettanto facile che cambi la struttura della lingua: il posto del verbo nella frase o la presenza di un genere neutro. Forse, concentrandosi sulla grammatica e sulla sintassi, si può risalire più indietro nel tempo. È nato così un progetto, finanziato per cinque anni dallo European Research Council, nel quale biologi (gli antropologi bolognesi diretti da Davide Pettener e Gianni Romeo) e linguisti (diretti da Longobardi e Guardiano) viaggeranno insieme per mezzo mondo: i primi a raccogliere campioni il cui Dna verrà studiato in dettaglio, i secondi per ricostruire nelle stesse popolazioni la struttura della lingua. Così, poco alla volta, si costruirà un archivio di dati, su cui lavoreranno i genetisti dell’Università di Ferrara.

Non sarà uno scherzo: si punta a studiare un milione di siti variabili del Dna. Moltiplicando questo milione di caratteristiche individuali per 40 popolazioni, per una ventina di persone ciascuna, viene fuori una quantità di dati enorme.

Ci aspettiamo - spiegherò al Festival di Genova - che si confermi che a grandi linee Darwin aveva ragione. Ma le eccezioni saranno importanti quanto la regola, perché da lì capiremo in che aree del mondo, e in che periodi, si è alterata la relazione fra cambiamenti della lingua e del Dna. Vorrà dire che certe popolazioni si sono mescolate fra loro o, al contrario, che certe barriere (geografiche, ma anche culturali, religiose o politiche) hanno impedito la migrazione. Vorrà dire che certe lingue sono rimaste impermeabili alle novità e altre sono cambiate più in fretta. Alla fine speriamo che capire meglio come sono si sono evolute, nei millenni, la nostra biologia e la nostra cultura, aiuti un po’ tutti a trovarsi a loro agio col patrimonio di differenze che rendono l’umanità così interessante.