Silvia Ronchey, la Stampa 24/10/2012, 24 ottobre 2012
NEL SEGNO DELLA REALPOLITIK
[COSTANTINO]
Si dice che Costantino, alla vigilia della battaglia di Saxa Rubra, detta di Ponte Milvio, abbia fatto un sogno: seduto sul bordo del letto scorgeva nello spicchio di cielo inquadrato dalla tenda socchiusa una croce luminosissima, affiancata dalla scritta «in hoc signo vinces», con questo segno vincerai. Si dice che perciò abbia sconfitto il suo rivale Massenzio, adottando come insegna il Krismon, un crittogramma del nome del Dio crocifisso. Si dice che si sia accostato alla religione della croce e si sia battezzato. Tutto questo non è affatto certo e anzi è probabile che, se di conversione si trattò, fu da Realpolitiker, per ragioni strategiche, e rimase un pagano devoto. È certo invece che sulla sua donazione al Papa di Roma, «falsa ma ritenuta a torto vera» come la definì Lorenzo Valla, si basò per tutto il Medioevo, e si basa ancora, quell’anomalia della politica globale che ancora condiziona la nostra politica attuale: il costituirsi in Stato della Chiesa d’Occidente, mentre Costantino traslocava l’impero romano sul Bosforo, spostandone il baricentro a Est, in quel ciclico slittare degli equilibri e riassestarsi del peso da Oriente a Occidente e viceversa che scandisce come un pendolo tutta la nostra storia, nell’onda lunga della nascita e morte degli imperi, del separarsi e rifondersi delle civiltà.
Se fu in Asia Minore, all’ombra dell’impero persiano, che nacque tutta la storia del mondo classico, vista talvolta come un progressivo distaccarsi dalla matrice orientale della civiltà greca e poi romana, l’impero romano stesso, otto secoli dopo, inclinò l’asse dei suoi investimenti e il flusso dei suoi traffici di nuovo verso Oriente: il movimento migratorio dei capitali senatòri tra il III e il IV secolo, che Costantino cavalcò, e la riconversione geopolitica, di cui la sua figura è simbolo, richiamano in fondo l’attuale moto del pendolo, che vede spostarsi verso l’Asia l’asse di crescita e migrare verso Est, in cerca di opportunità, le giovani élite occidentali, dopo che per altrettanti secoli, decaduta e poi caduta Bisanzio, il baricentro dell’egemonia era tornato in versione capitalistica nell’Ovest del mondo.
Celebra Costantino la mostra aperta da domani a Milano, e si prepara a celebrarlo una pluralità di eventi nel 2013, anniversario del cosiddetto Editto di Tolleranza verso i cristiani che l’imperatore avrebbe emanato nel 313 a Milano, secondo una fallace vulgata storica (se documento ci fu non fu un editto, non fu promulgato a Milano, l’autore non ne fu Costantino; e comunque i cristiani avevano già ottenuto tolleranza in forza dell’editto di Galerio del 311, come chiarito nel catalogo dal saggio di Arnaldo Marcone). Fra i più di 200 inestimabili oggetti in mostra a Palazzo Reale trionfa ossessivo - accanto al simbolo della croce declinato in ogni variante, dal reliquiario detto di Costantino ed Elena, venuto da Parigi, al pendente del Tesoro di Desana - il severo logo del Krismon, formato dalle iniziali greche di Cristo e spesso allusivo alla ruota solare, che ritroviamo non solo nelle insegne, ma nell’oreficeria e perfino sulle stoffe.
L’imperatore che impresse una così potente svolta alla storia delle civiltà nacque nell’odierna Niš, nel sanguinoso scenario delle lotte balcaniche del III secolo, dal bellicoso Costanzo Cloro e dalla nobile e ricca quanto pia Elena. Al pari di sua madre è considerato santo e addirittura «all’altezza degli apostoli» dalla Chiesa ortodossa, ma nella mostra appare in vari aspetti: la testa bronzea di Belgrado, considerata il suo ritratto più realistico, ha tratti quasi contadini, in contrasto con lo sguardo visionario e mistico, al celebre fulgor oculorum del colosso dei Musei Capitolini e che ricorre, fra i ritratti esposti a Milano, nella testa di York o in quella del Museo dei Fori Imperiali, o nelle monete argentee e auree, come il solido della Bibliothèque Nationale, in cui è programmaticamente equiparato alla divinità solare. È proprio all’ipnotico sguardo dell’unto del Signore e rappresentante di Dio in terra, secondo l’ideologia imperiale elaborata sotto il suo regno, che fa riferimento il marchio della mostra, in cui il signum della croce si impone con la forza di un chakra tra i due grandi occhi spalancati nella placca votiva argentea venuta dalla Fabbrica di San Pietro in Vaticano.
A questo tempo di oscillazione e spostamento degli equilibri si contrappone con singolare simmetria l’«Età dell’equilibrio» celebrata nella grandiosa mostra appena aperta ai Musei Capitolini di Roma, che popola il Palazzo dei Conservatori di opere mai viste insieme, genialmente radunate dal nostro massimo archeologo classico, Eugenio La Rocca, in un percorso che guida il visitatore attraverso le classi della società romana nella sua cosiddetta età d’oro: quella che vede succedersi Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio.
Fra i ritratti marmorei dei protagonisti maschili, ai cui esemplari capitolini si uniscono prestiti eccellenti come il Traiano loricato da Copenaghen, i busti di Traiano e di AntoninoPio da Monaco o il monumentale Antinoo «Mondragone» da Parigi, si affollano alteri, per rimanere scolpiti nella memoria, incorniciati da virtuosistiche acconciature, i molti volti delle personalità femminili, da Plotina a Matidia, dalla plurieffigiata Sabina alle due Faustine, Maggiore e Minore, passando per la misteriosa bellezza delle cosiddette Sabine di Tivoli. Il percorso prosegue attraverso le classi medie, con le vestigia dei ricchi ex liberti (nel settore funerario, anzitutto il sepolcro di Claudia Semne e il corredo della giovane Crepèria Trifèna con la sua bambola d’avorio) per arrivare alla classe lavoratrice negli esemplari della cosiddetta «arte plebea» di Rodenwalt e Bianchi Bandinelli, dalle immagini di incredibile forza.
Se l’equilibrio è il punto di bilanciamento di forze più o meno contrastanti che non modificano uno stato di quiete, questo secondo e «beatissimo» secolo è al cuore del funzionamento del sistema imperiale romano: offre un’immagine di benessere diffuso e dinamismo sociale ed è pervaso da una nuova sensibilità verso le classi umili e gli schiavi, accentuata dal virale contagio neoplatonico bene illustrato nel saggio di Annalisa Lo Monaco sugli intellettuali e le biblioteche. L’equilibrio si spezzerà con Commodo, presente in uno straordinario ritratto infantile, e all’Età dell’Equilibrio seguirà, fino a Diocleziano, l’Età che Eric Dodds chiamò dell’Angoscia, in cui avrà inizio quella decadenza, o involuzione, in realtà evoluzione, che porterà il grande Costantino alla translatio dell’impero a Oriente e alla nascita del lungo, tutt’altro che decadente, prospero impero di Bisanzio.