Valentina Giannella, ItaliaOggi 24/10/2012, 24 ottobre 2012
SULL’ETICHETTA VINCE LO STILE ITALIANO
Italianità e stile. Un connubio che fa da volano anche al vino di qualità, soprattutto se ben comunicato attraverso un’etichetta d’autore. Come quelle che da oltre trent’anni Giacomo Bersanetti, anima e fondatore dell’agenzia Sga corporate & packaging design, crea con Chiara Veronelli e Francesco Voltolina. «A partire dalla metà degli anni 70 è partito un processo evolutivo che ha fatto crescere in parallelo la qualità, l’attenzione, la cura e la consapevolezza con cui il vino viene prodotto», spiega Bersanetti a ItaliaOggi.
Parallelamente a questa evoluzione, «è cresciuta anche l’importanza del packaging, della vestizione della bottiglia. La crescita culturale dei produttori ha inevitabilmente visto crescere anche l’estetica del vino».
Domanda. Da che cosa è nato questo fenomeno?
Risposta. Trent’anni fa i produttori nazionali si sono improvvisamente trovati di fronte a nuovi competitor. L’export ha fatto in modo che ci si dovesse confrontare con elementi qualitativi ed estetici che cambiavano le carte in gioco rapidamente.
D. Alcune tipologie di prodotto sono cambiate prima di altre?
R. Spumanti e liquori hanno da subito dimostrato una maggiore propensione all’interpretazione della propria personalità in modo fantasioso. I vini fermi tradizionali hanno seguito subito dopo.
In questi decenni comunque l’importanza del design si è estesa ad altri elementi: il nome del prodotto, per esempio. La creatività si occupa di tutta una serie di aspetti identificativi dal nome allo studio del contenitore, al cosiddetto secondary pack (la scatola che contiene la bottiglia, ndr) fino alla comunicazione vera e propria, classica e web. Tutti gli ingredienti insomma che insieme concorrono alla creazione dell’identità aziendale.
D. Quanto incide un buon packaging sulla percezione della qualità del vino?
R. È ovviamente un elemento fondamentale, imprescindibile dal prodotto. Un produttore che ha come obbiettivo quello di realizzare un ottimo vino non può non considerare il fatto che il percorso debba passare necessariamente anche dall’immagine. Un buon nome, un colore giusto, l’etichetta studiata su misura anticipano l’esperienza nel consumatore. Prendiamo per esempio la tipologia denominata Satèn. Quando i produttori di Champagne vietarono al consorzio di Franciacorta l’utilizzo del nome Cremant per definire i vini più morbidi, la nostra agenzia propose il nome Satèn e un colore argento-platino come codice di riferimento, da declinare in tonalità più o meno calde a seconda della morbidezza del vino. Lo facemmo per Bellavista, ma fu un tale successo che venne poi esteso al consorzio dei produttori Franciacorta.
D. Quanto conta il colore nell’attirare l’attenzione del cliente?
R. Molto. Ma dipende da come si usa: bisogna farlo con attenzione e in modo mai banale. Prendiamo il Barbera La Monella, dell’azienda Braida. Abbiamo introdotto il colore azzurro per questo vino che, come tipologia, virava principalmente su colori di terra, naturali.
Era il 1982 e abbiamo usato la tonalità che riprende l’acino dell’uva. La scelta di questo colore ha portato un po’ di scompiglio tra i concorrenti e continua ancora oggi a funzionare molto bene.
D. E i caratteri, come si utilizzano?
R. La scelta è indubbiamente delicata. Noi creiamo caratteri ad hoc per il prodotto perché, per quanto elegante e raffinato possa essere un font, non potrà mai rispecchiare la personalità del prodotto al cento per cento. Un carattere giusto va disegnato, cucito addosso all’etichetta. Un esempio? Il Barolo Riserva Fontanafredda. L’etichetta è composta da tre scritte «barolo» diverse a rispecchiarne l’unicità di produzione. È infatti un vino che proviene dalla fusione di tre cru diversi, vinificati separatamente e le cui selezioni migliori vengono fuse in un unico uvaggio di barolo.
D. Quali sono le tre regole da non dimenticare per creare un’etichetta che funziona?
R. Prima di tutto, la conoscenza dei propri competitor italiani e internazionali. Poi, la coerenza tra i valori di prodotto, quelli aziendali e il pack che li deve esprimere al meglio. Terza, saper individuare codici e simboli che possano vivere nel tempo grazie a una forte personalità.
D. Nell’era dei nuovi produttori emergenti, dal Cile alla Cina, quale sarà la sfida che i nostri dovranno vincere sullo scaffale?
R. Per i prodotti di alto e altissimo livello è fondamentale comunicare l’italianità sin dal l’etichetta: eleganza, tradizione e innovazione. Difendere il made in Italy in ogni fase della comunicazione. In generale, comunque, sempre di più l’importanza del packaging non potrà essere sottovalutata da nessuno.
R. Ci può fare un esempio di packaging di successo che ha utilizzato i simboli del made in Italy?
R. Un prodotto che ha curiosamente innescato un meccanismo di comunicazione incentrato sulla storia del made in Italy è il Barbera Vespa della Cascina Castlet. Sull’etichetta abbiamo messo una fotografia d’epoca in cui la produttrice giocava da bambina intorno alla Vespa del padre. Un’immagine che evocava stile, italianità, eleganza e ironia. Oltre ad avere successo tra i consumatori, ha suscitato anche l’interesse di una vera e propria community di appassionati della Vespa che ancora oggi organizzano tour dedicati alla degustazione di questo Barbera.