Massimo Galli, ItaliaOggi 24/10/2012, 24 ottobre 2012
ULTIMI SEGRETI DELLA CRISI DI CUBA
Nell’ottobre del 1962 il mondo si trovò davvero a un soffio dalla Terza guerra mondiale e dalla distruzione nucleare. Parola dell’allora presidente russo, Nikita Kruscev, che all’indomani della crisi di Cuba fece questa confidenza al numero uno del partito comunista cecoslovacco, Antonin Novotny.
Kruscev aveva ragioni da vendere. E a 50 anni di distanza da quell’episodio che tenne il pianeta con il fiato sospeso, nuove testimonianze hanno aggiunto ulteriori dettagli su quanto avvenne nell’isola caraibica. E non solo.
Nel maggio 1962 Kruscev decise di impiantare testate atomiche a Cuba, dove aveva da poco preso il potere Fidel Castro. Ma il 14 ottobre un aereo spia americano scoprì le installazioni. Mentre alla Casa Bianca si valutava il da farsi, il giorno 27 si verificò un grave episodio: un altro velivolo spia a stelle e strisce venne abbattuto sull’isola e il suo pilota perse la vita. L’ordine di attacco, in realtà, non era venuto da Mosca, ma fu impartito da un generale sovietico che si trovava a Cuba.
L’epilogo della vicenda fu positivo: l’Urss ritirò i missili dall’isola, in cambio dell’impegno statunitense a non invaderla e a togliere alcune testate nucleari dalla Turchia e dall’Italia. Ma, in questa vicenda così delicata, sono i particolari a fare la differenza. Quello che avvenne dietro le quinte e che talvolta è emerso soltanto in tempi recenti, grazie all’apertura degli archivi delle due superpotenze e a preziose testimonianze di alcuni protagonisti.
Il primo elemento che riuscì a scongiurare un olocausto fu l’indecisione di Kruscev e del presidente americano John Kennedy. Quest’ultimo, in un discorso televisivo del 22 ottobre, lanciò l’allarme, ordinò l’isolamento navale di Cuba (tecnicamente una quarantena, poiché il blocco equivaleva a un atto bellico) e avvertì il suo esercito di prepararsi a qualsiasi eventualità. Kruscev ritenne comunque che quello americano fosse un atto di aggressione che rischiava di innescare una guerra nucleare. Mentre gli aerei statunitensi erano già pronti ad attaccare le città sovietiche, la Cia (il servizio segreto Usa) comunicò che a Cuba cinque batterie di missili erano pronte all’uso per colpire gli Stati Uniti. I vertici militari facero pressioni su Kennedy perché autorizzasse il bombardamento delle postazioni e la successiva invasione dell’isola, ma il presidente prese tempo.
La stessa cosa, paradossalmente, avvenne sul fronte opposto dove Kruscev credeva, informato erroneamente da Castro, che gli Usa avessero deciso di attaccare Cuba. Il leader cubano premeva affinché i missili fossero lanciati verso l’America. Ma anche qui il presidente sovietico tergiversò.
Eppure il pericolo non era ancora scongiurato. E stavolta veniva dalle profondità marine. Nelle acque dei Caraibi si trovavano, in gran segreto, quattro sommergibili sovietici armati di testate atomiche. Uno di loro, il B-59, venne circondato dalle navi americane e non riusciva a emergere. Le condizioni di vita a bordo erano diventate proibitive, con una temperatura superiore a 50 gradi e diversi marinai che accusavano malessere. All’improvviso vennero lanciate dagli americani granate di avvertimento per far risalire i nemici e il comandante del sottomarino, Valentin Savitsky, non sapeva cosa fare: le comunicazioni con Mosca erano interrotte, nessuno sapeva se fosse scoppiata una guerra. Savitsky, per ragioni ignote, non era al corrente del fatto che il Cremlino era stato avvisato che bombe di questo tipo non avrebbero creato danni alle navi. Fu così che il comandante, preso dal panico, propose di lanciare l’arma segreta, di cui gli americani non sapevano nulla, in grado di distruggere l’intera flotta avversaria. Sulla sua strada, però, Savitsky trovò il comandante in seconda, Vasili Arkhipov, che avrebbe dovuto convalidare la decisione del primo ufficiale. Egli si rifiutò e convinse, pur a fatica, Savitsky ad attendere ordini da Mosca.
Un altro fatto si svolse invece nei cieli sovietici. Il pilota di un aereo spia americano si spinse per sbaglio nello spazio aereo nemico. Intercettato da sei Mig sovietici, riuscì a rientrare in Alaska prima che due caccia di rinforzo, armati di missili nucleari, rischiassero di scontrarsi con i velivoli sovietici. In caso di attacco, è probabile che il pilota di almeno uno degli F-102, in una frazione di secondo, reagisse istintivamente. Ciò avrebbe portato a una degenerazione del conflitto su ampia scala.
Infine, il caso Guantanamo. La base americana di Cuba, salita prepotentemente alla ribalta per la detenzione dei terroristi catturati negli ultimi anni dalle forze americane, proprio quel 27 ottobre 1962 era al centro di un atto ostile sovietico. A poca distanza era stata installata una batteria di missili nucleari a corto raggio, con l’obiettivo di annientare Guantanamo. La Casa Bianca ignorava che, in caso di bombardamenti su Cuba, i sovietici avrebbero risposto con quelle testate atomiche. Un’estensione delle ostilità sarebbe stata inevitabile. In seguito i sovietici impedirono a Fidel Castro di conservare quei missili sul suo territorio. A ragion veduta: Ernesto Che Guevara, che combattè a fianco di Castro, non avrebbe esitato a colpire New York. Sembra impossibile, ma 50 anni fa il mondo si salvò più volte per circostanze fortunose. O provvidenziali.