Luca Nannipieri, Libero 23/10/2012, 23 ottobre 2012
LE PROMESSE SU FIRENZE CHE RENZI HA TRADITO
Vuole cambiare l’Italia. Vuole cambiarla radicalmente. Ma da sindaco di Firenze Matteo Renzi non è riuscito finora a portare a casa nessuna delle faraoniche promesse sulla cultura che ha lanciato ai giornali di mezzo mondo. A sentirlo, Firenze doveva diventare una nuova capitale mondiale. Serviva un big bang, servivano proposte shock, inaudite, che avrebbero cambiato la direzione della città. Ciò che non aveva osato fare nessun sindaco precedente sull’arte e sulla cultura, lo avrebbe fatto lui, rompendo schemi e giochi, innovando con progetti ed iniziative senza precedenti. Sentendolo parlare, dicevi: è lui la faccia nuova, la faccia che serve. Facce nuove in Palazzo Vecchio. Dopo tre anni di attività da sindaco, mentre adesso è in giro per il Paese con il suo camper, ecco però ciò che resta: un elenco di proposte spericolate e tentativi di innovazione finiti praticamente nel nulla. Partiamo dall’ultima, la sconfitta più bruciante. Disse a tutti i giornali che in Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento, sotto l’affresco del Vasari, quasi sicuramente c’era proprio lei, la Battaglia di Anghiari, l’opera più ricercata e sfuggente di Leonardo da Vinci. Bisognava cercarla e tirarla fuori dal buio: la storia dell’arte sarebbe stata riscritta, sarebbe stato un evento di portata mondiale che avrebbe richiamato milioni di turisti. Fece mettere i ponteggi, bucare l’affresco di Vasari, penetrare delle microsonde a telecamera e analizzare i campioni. Litigò praticamente con tutti: con le Soprintendenze (ed è un bene), con il ministro Ornaghi (ed è un bene), con la comunità scientifica che gridava allo scempio (ed è davvero un bene). Ma il risultato è stato la fuffa. Ad un anno di distanza, la Battaglia non si è vista, i ponteggi sono stati tolti, i ricercatori se ne sono andati, e Renzi non ha più nominato Leonardo neanche per sbaglio. Qualche mese prima, aveva lanciato una proposta che ha fatto perdere il sonno a molti: perché non rifare la facciata della basilica di San Lorenzo proprio come l’aveva disegnata Michelangelo? Adesso è modesta, non finita, tutta a pietra grezza sporgente e rientrante, ma se la facessimo come la voleva Michelangelo su commissione di Papa Leone X, beh, sarebbe tutta un’altra cosa. Diceva di voler chiamare i fiorentini ad un referendum: la nuova facciata sarebbe stata pronta per il 2015, proprio per i 500 anni del prototipo di Michelangelo. Apriti cielo. Valanghe di giudizi contro di lui. E il progetto non è neanche partito. A stretto giro di posta tirò fuori un’altra proposta shock: rifare il look a Piazza della Signoria, dove c’è Palazzo Vecchio. Rimettere il cotto rosso sul pavimento, come nel Quattrocento, in modo che la piazza potesse cambiare il suo colore dominante e ritornare al rosso passione dei secoli del Rinascimento. Il cuore di Firenze non poteva continuare ad avere il grigio ospedaliero lastricato in pietra voluto da Ferdinando III Asburgo Lorena nel 1795. Meglio il rosso passione. Ma anche stavolta, le grida e gli strepiti contro l’annunciato scempio ebbero la meglio. E l’idea è finita nel nulla. Aveva iniziato anche una battaglia inaudita, che finora nessuno aveva tentato. Aveva detto: il David di Michelangelo è di Firenze, non dello Stato, per cui i soldi dei biglietti e del merchandising (quasi 8 milioni di euro l’anno) sono del Comune, non del Ministero. Forse neanche lo sapeva di stare compiendo una battaglia contro la Costituzione, il Codice dei Beni culturali e tutto l’apparato affogante di leggi che affidano tutela e gestione del patrimonio alle mani rovinose dello Stato. Neanche sapeva l’audacia di ciò che stava dicendo. La battaglia, se vinta, avrebbe cambiato lo scenario su scala europea. L’opera d’arte più fotografata al mondo non più di proprietà dello Stato, ma di qualche altro ente: sarebbe stato un cambiamento epocale. Ma anche questa battaglia si conclude in due settimane, e il David è sempre lì, sotto la proprietà dello Stato. Altra promessa finita in un bicchier d’acqua è sopraggiunta poco dopo. Per i 500 anni dalla morte di Amerigo Vespucci, nato a Firenze prima di esplorare il Nuovo Mondo, Renzi voleva realizzare una grande mostra di respiro internazionale, con un jolly nella manica: convincere Barack Obama a venire in città. È passato però il tempo, Obama non si è visto e la mostra su Vespucci, causa tagli e sponsor fuggiti, è divenuta poco più che una mostra di quartiere. Dopo Leonardo, il David, la facciata di Michelangelo e Vespucci, il karaoke delle promesse sgonfiate ha infilato un’altra chicca: assieme all’assessore alla cultura Giuliano Da Empoli (così bravo e determinato che dopo due anni se ne è andato e ora promuove il tour nazionale del rottamatore) voleva fare una battaglia contro le Soprintendenze perché bloccavano tutto, anche se spostavi un candelabro. Battaglia sacrosanta e doverosa. Inutile dire che nessuna rivoluzione però è avvenuta e Da Empoli è stato piazzato a presiedere il Gabinetto Vieussuex, ovvero una delle istituzioni culturali più paludose che l’Italia possegga. Firenze in pratica è la stessa di quando il rottamatore è arrivato: il Louvre di Parigi ha 8,8 milioni di visitatori l’anno, ovvero molti di più della somma di tutti i musei fiorentini, gli Uffizi (1 milione e 700 mila), la Galleria dell’Accademia (1 milione e 200 mila), Palazzo Pitti e Giardino di Boboli (700 mila), Cappelle Medicee (300 mila), Museo del Bargello (250 mila). In città ci sono più di 50 musei, in gran parte neanche visitati dagli stessi fiorentini. L’Università di Firenze si colloca mestamente tra il 400° e il 450° posto nella classifica dei migliori atenei al mondo. Dunque la rivoluzione è ben lungi dall’arrivare. Per diventare sindaco, Renzi ha regalato in campagna elettorale migliaia di chiavette USB da computer, con sopra scritto «Prima di tutto Firenze». Dopo neanche un anno, aveva già cambiato idea e voleva correre per il governo della nazione. A conti fatti, queste chiavette USB, sparpagliate per la città, sono il suo lascito culturale più importante.