Roberta Scagliarini, CorrierEconomia 22/10/2012, 22 ottobre 2012
CRISI. L’ECONOMIA DELLE MONOPORZIONI
Europa ricca Europa povera? A rivelare per primo come le grandi multinazionali del largo consumo considerino il mercato del vecchio continente è stato Jan Zijderveld, ceo di Unilever Europa.«La povertà sta tornando in Europa» ha detto il manager in un intervista al Financial Times. È tempo di adottare anche qui prodotti e strategie di marketing già testati nei Paesi in via di sviluppo. «Se un consumatore in Spagna dispone di 17 euro per fare la spesa ? ha spiegato Zijderveld ? non posso vendergli detersivo per la metà del suo budget». Unilever ha deciso quindi di ridurre il formato di alcuni suoi prodotti per poter tagliare i prezzi fino al limite delle monodosi da pochi centesimi, e di lanciare nuove linee di brand a basso prezzo. L’outing di Unilever sul downgrading del Vecchio Continente da mercato ricco ad area quasi sottosviluppata ha fatto scalpore tra gli addetti ai lavori, ma anche le altre multinazionali, in silenzio, hanno cominciato a rivedere le strategie di marketing. Obiettivo: non perdere quote su un mercato in recessione dove il numero dei disoccupati (17,8 milioni) non è mai stato così alto dall’introduzione dell’euro. Downgrading «C’è una tendenza generale alla riduzione dei dosaggi ? conferma l’amministratore delegato del gruppo Selex, Maniele Tasca ?. Nelle confezioni di detersivo si mettono 20 pastiglie invece di 24 così da poter tenere più bassa la battuta di cassa ed essere più attrattivi. Le promozioni sulle grandi quantità non hanno più senso, i consumatori preferiscono lo sconto sul prodotto piuttosto che il 3x2». Il numero uno di CoopItalia, Vincenzo Tassinari, racconta che quando ha incontrato il nuovo ceo di Procter&Gamble lo ha ammonito di «non pensare di venire in Italia a fare margini». Il suo omologo a capo del gruppo inglese Tesco, Philip Clark, ha scritto invece sul Financial Times che «gli inglesi stanno facendo economie in un modo che non avevo mai visto in 30 anni di carriera nel retail». Ma considerare l’Europa alla stregua del terzo mondo ha senso? «È un mercato maturo ? ribatte Tasca ? ma è pur sempre un grande mercato. Si risparmia perché si spreca meno non perché si mangia meno». L’ultimo rapporto della Caritas ha rivelato che c’è un incremento degli interventi per fornire beni materiali (+45% nel semestre) principalmente agli italiani.E proprio il marketing dell’austerity, con la formula del menu a 1 euro, sta dietro il successo di due catene del cibo globale come McDonald e Burger King nell’Europa della disoccupazione e delle manovre di bilancio restrittive. Non è un caso se nei giorni scorsi alla chiusura del ristornate di Milano in galleria Vittorio Emanuele si sono presentate migliaia di persona per avere l’hamburger gratis.Quando il gruppo dei due archi, che ha 70 milioni di clienti in 120 Paesi, ha riportato il primo calo delle vendite in nove anni gli analisti si sono chiesti se l’economia stia sprofondando tanto giù che e c’è gente che non può permettersi neanche McDonald’s. Microdosi«L’Europa è un Paese impoverito non un Paese povero ? ribatte Daniele Cecere, direttore marketing di CoopItalia ? c’è una bella differenza. Credo che molte grandi industrie non stiano capendo quello che accade, da un lato propongono microdosi e dall’altro promozioni multiple. Si stanno muovendo in maniera tattica con il solo effetto di spostare la clientela temporaneamente». Fa parte di queste tattiche lo spostamento delle campagne promozionali dai premi ai bonus vicini ai bisogni reali. Per esempio i buoni benzina proposti da Esselunga, McDonald’s, Fiat, e persino dalla Colgate. Oppure la promozione delle coop che, in una serie di punti vendita, offrono sconti ai cassa integrati in grado di presentare un documento che attesti il loro stato sociale. O la catena ottica Randazzo che offre gli occhiali a 19 euro ai possessori di social card. Per le grandi industrie come Unilever, Danone, Nestlé o Coca Cola decidere che strategia adottare di fronte all’impoverimento di larghe fasce consumatori è più complesso che per le catene retail. Rinunciare ad innovare o razionalizzare gli assortimenti e il packaging per investire solo sul taglio dei prezzi sembra una strategia di corto respiro.
Roberta Scagliarini