Marco Sabella, CorrierEconomia 22/10/2012, 22 ottobre 2012
BORSA. IL GRAN PASTICCIO DELLA TOBIN TAX
Il risparmio degli italiani continua ad essere al centro delle attenzioni, non proprio disinteressate, del legislatore e del governo. La nuova Tobin Tax ? l’imposta che colpisce le transazioni sui titoli azionari ? va infatti ad aggiungersi alla piccola patrimoniale decisa a inizio 2012, l’uno per mille sui rendiconti annuali di tutti gli investimenti che diventerà l’1,5 dal 2103. A differenza dell’imposta di bollo, la Tobin Tax dovrebbe avere ambizioni ben più alte che non il semplice far cassa (vedi interviste). Il dibattito prosegue ormai da decenni ma solo in questi mesi, allo scopo di dare una risposta «organizzata» alla speculazione che ha colpito i paesi periferici dell’euro, si è arrivati alle prime azioni concrete da parte dei governi. Molto distanti, per ora, dagli obiettivi ideali dichiarati.La Tobin Tax made in Italy, che segue di pochi mesi la variante introdotta in Francia e che probabilmente si adeguerà in futuro alle linee-guida che verranno decise in sede di Unione europea, prevede infatti una tassazione dello 0,05 per mille sugli scambi di titoli azionari di società quotate e non, a partire dal 2013. Anche i derivati verranno tassati, con una aliquota più bassa, ma al valore «nozionale» del contratto, vale a dire all’ammontare movimentato in via teorica che, a causa dell’effetto di leva di questi strumenti, è un multiplo rispetto al valore «reale» del contratto. E già questo è un motivo di polemica tra gli operatori che denunciano di fatto lo strangolamento della funzione dei derivati utilizzati come strumento di copertura del rischio. E di conseguenza un aggravio dei costi per le aziende che fanno un uso «fisiologico» di questi prodotti finanziari.C’è poi, ancora più sostanziosa, l’obiezione di chi vede nella Tobin Tax all’italiana il rischio di uno strangolamento di Piazza Affari. Lo stesso governo ha stimato le previsioni di gettito, calcolando un calo delle transazioni sul listino milanese del 30% in seguito all’introduzione del bollo, vale a dire una diminuzione analoga a quella che si è già registrata alla Borsa di Parigi in questi primi mesi di applicazione. Il fatto che siano esclusi dalla Tobin Tax italiana i titoli di Stato e le obbligazioni dei paesi dell’Unione europea rappresenta, secondo gli operatori di Borsa (vedi interviste) un trattamento di sfavore nei confronti del capitale di rischio, che in epoca di restrizione del credito alle imprese dovrebbe invece essere valorizzato. In particolare viene contestata l’estensione della Tobin Tax a tutti i titoli azionari, compresi quelli delle piccole società e delle società non quotate. Il modello francese prevede, di contro, la tassazione unicamente delle blue chip, le sole su cui si realizzano importanti volumi di scambi, e lascia fuori le piccole e le medie imprese.E mentre gli operatori del trading online si preparano a scendere in piazza per protestare contro un’imposta che, se applicata sulle singole operazioni e non sui saldi netti di fine giornata, avrebbe l’effetto di stroncare i privati (non le istituzioni, capaci di operare anche dall’estero) che praticano il trading, il confronto si allarga anche alla definizione dei soggetti di imposta. La legge italiana in gestazione prevede infatti che la Tobin Tax sia dovuta quando almeno uno dei due contraenti sia residente su suolo italiano e l’oggetto dello scambio sia un titolo italiano. Il rischio, se passasse questa impostazione (rifiutata invece in Francia, dove conta la nazionalità del titolo e non quella dei contraenti) sarebbe quello di tassare soltanto il risparmio, il piccolo trading e gli intermediari nazionali. Lasciando fuori i grandi operatori esteri, che sono in realtà i principali protagonisti della speculazione internazionale.
Marco Sabella