Filippo Manfredini, Libero 23/10/2012, 23 ottobre 2012
ERA IL CICLISTA L’OBIETTIVO DEL KILLER DELL’ALTA SAVOIA
[Svolta nell’inchiesta sulla strage: l’uomo, all’inizio indicato come vittima casuale, è stato colpito per primo e per sette volte. Era tecnico nucleare] –
Il killer l’ha colpito addirittura con sette colpi di pistola, di cui due a bruciapelo e alla testa. E l’ha colpito per primo, lasciando che si accasciasse senza vita di fianco alla sua amata bicicletta con cui era uscito per una delle sue frequenti sgambate. Soltanto in un secondo tempo l’omicida ha rivolto l’arma verso quella famiglia che, da poco lasciato il campeggio in cui stava trascorrendo la vacanza, proprio da quello spiazzo montano stava passando: il 50 enne Saad al Hilli, ingegnere di origine irachena residente a Londra, e poi sua moglie, e l’anziana madre di lui. Tutti uccisi. E poi le due bambine, quella di sette anni malmenata e ferita alla spalla, e quella di quattro trovata dopo otto ore nascosta in automobile sotto cadaveri e bagagli. Era il 5 settembre scorso: “la strage dell’Alta Savoia”, così era stata ribattezzata dalla stampa di tutto il mondo per via del dipartimento francese in cui s’è consumata, località Chevaline, fra boschi e camminate per amanti della montagna. E s’era subito pensato a una questione di soldi riguardante proprio l’ingegnere - fra lui e il fratello c’era in effetti in ballo una questione d’eredità contesa. Semplici sospetti, elementi comunque non sufficientemente riscontrati.
Adesso sono arrivati i risultati della perizia balistica, anticipata dal quotidiano Le Parisien. E l’intera scena viene illuminata da nuova luce. Perché quel ciclista, Sylvain Mollier, è stato per l’appunto il primo a essere colpito, e per giunta con un numero di colpi che fa vacillare l’ipotesi iniziale, vale a dire che - come lo aveva definito il procuratore transalpino - si trattasse dell’«uomo che si è trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato», dunque considerandolo alla stregua d’un testimone da eliminare. E invece, analizzata la dinamica, gli investigatori sembrano orientare a ribaltare completamente la ricostruzione: sarebbero stati invece i componenti di quella famiglia a trasformarsi in pericolosi (per l’assassino) testimoni da uccidere. Senz’alcuna pietà.
L’analisi delle tracce lasciate sul terreno smentirebbe anche la convinzione di trovarsi di fronte a un killer professionista. L’assassino, infatti, appare tutt’altro che freddo e risoluto: cammina avanti e indietro sulla scena del crimine, prima colpendo il ciclista con una pistola automatica calibro 7,65 e poi sparando verso l’ingegnere iracheno. Il quale però, ancora in vita, sarebbe risalito sull’auto per fuggire, e qui raggiunto dalla furia omicida. Poi il killer sarebbe tornato ancora verso il ciclista, ancora sparandogli alla testa. Il colpo di grazia. Il corpo sarebbe poi stato trascinato vicino alla macchina, dov’è stato trovato con le braccia lungo i fianchi. «Un comportamento disordinato», così viene definito dai periti.
Peraltro, l’ipotesi che l’obiettivo dell’agguato fosse per l’appunto Sylvain Mollier, francese di 45 anni e padre di tre figli, può in qualche modo essere avvalorata anche dalla professione di quest’ultimo. Lavorava come impiegato alla Cezus, una società facente parte dell’Areva Group - società leader nella costruzione di centrali nucleari - e specializzata nella lavorazione dello zirconio, materiale utilizzato per i contenitori del combustibile atomico. In effetti, allo stato attuale non sono emersi particolari segreti a cui Mollier avrebbe potuto aver accesso.
Gli inquirenti assicurano, come da copione, che tutte le piste restano aperte. Proseguono gli accertamenti sulla famiglia anglo-irachena. E però il fatto che la soluzione dell’enigma possa esser trovata nella vita o nel lavoro di Mollier è più d’una semplice impressione.