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 2012  ottobre 21 Domenica calendario

I SEGRETI DI COCHI

& RENATO [«Mai cabaret politico e vietato guardare la tv»] –
Zelig sembra stia così così, Colorado pure, la comicità in generale non vive momenti esaltanti e, al cinema, una sana risata equivale alla ricerca di un quadrifoglio in un grande prato. Logico, quindi, e doveroso riaprire i vecchi armadi e tuffarsi nel mare della nostalgia per cercare il cuore antico di un cabaret che non tradisca mai.
Come è quello di Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, due che, negli anni Sessanta, hanno seminato un tipo di umorismo così surreale e innovativo, da diventare, nei decenni a venire, un must. Tutti i comici passati per la televisione e il cinema, in un modo o nell’altro, hanno dovuto fare i conti con la premiata ditta Cochi& Renato. «Nel 1963, senza saperlo, abbiamo inventato il cabaret moderno». È Pozzetto che lo dice, e il segreto di una comicità che oltrepassa le mode e riempie ancora i teatri è uno solo: «Non siamo mai cambiati, siamo un po’ invecchiati - soprattutto Cochi, eh - ma il pubblico continua ad amarci perché sa che non sarà mai tradito da noi. La realtà è che non siamo ancora da rottamazione!». L’occasione è il grande rientro dei due nella pièce teatrale Quelli del cabaret, titolo che fa il verso a una storica canzone di Enzo Jannacci: Quelli che. Dopo le date bolognesi, i due saranno in scena da martedì al Sistina di Roma (dal 23 al Nuovo di Milano). «Dobbiamo parecchio a Enzo perché fu lui a portarci, negli anni ’60, al Derby, il locale dove tutto è iniziato. E che, all’epoca, era frequentato anche da Gaber e Dario Fo. E da Beppe Viola».
Cochi, di un anno più giovane di Renato (71 contro 72), va ancora più in profondità. Il loro rapporto dura da 50 anni e non si è mai interrotto del tutto anche se, per lungo tempo, hanno lavorato da solisti. Con lunghi silenzi tra loro e qualche baruffa tipo marito e moglie: «Io e Renato siamo diversi ma non abbiamo mai litigato, lui ha fatto più cinema, io teatro. Siamo amici da bambini, veniamo entrambi dal varesotto, da Gemonio, terra di Umberto Bossi. Da ragazzi abbiamo cominciato a esibirci a Milano, prima all’osteria dell’Oca d’Oro e poi in una galleria d’arte dove facevamo sketch con Dino Buzzati, Lucio Fontana, Piero Manzoni. Al Cab 64 noi, Jannacci, Toffolo e Andreasi eravamo soprannominati Il Gruppo Motore. Poi con Enzo siamo andati al Derby e, dopo, è arrivata la televisione».
Era il 1968 e Cochi e Renato, il loro ’68, lo hanno vissuto negli studi Rai di Milano dove registravano Quelli della domenica, mentre i loro coetanei occupavano le università e scendevano nelle piazze. «In Quelli che il cabaret facciamo qualche cenno ai casi più eclatanti dell’attualità, dal processo Berlusconi a Formigoni, da Fiorito alla sinistra in crisi, ma a modo nostro», dice Pozzetto, «non abbiamo mai fatto cabaret politico e mai lo faremo». Altro anno epico per i due fu il 1974 quando, dopo i successi de Il Poeta e il Contadino (1973), presentarono il programma di punta della Rai, Canzonissima, assieme a Raffaella Carrà e Massimo Boldi.
Il risultato? 22 milioni di italiani incollati davanti alla tv con Cochi e Renato che spopolarono grazie a canzoni come La Gallina, E la vita o Canzone intelligente: «Eravamo una novità assoluta e la nostra comicità bucò il video. La Carrà, al top della sua popolarità, ci sopportava con pazienza e si sfogava col povero Boldi che era meno conosciuto. Non lo voleva proprio, in realtà». Lì nacque la celeberrima mossa alla Cochi e Renato: apertura a 90 gradi della gamba verso l’esterno, flessione del corpo verso il basso, rientro in posizione eretta: «L’ispirazione fu mia», svela Pozzetto, «mi ispirai ai balletti di Dario Fo». E i comici di oggi? «Guardiamo poco la televisione. Stimiamo Paolo Rossi e ci rivediamo un po’ negli sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo. Albanese è uno che punta in alto. Ma noi siamo nati e cresciuti con Gaber, Fo e Jannacci».
Piace ancora, oggi, la loro comicità? L’altra sera, a Bologna, quando hanno cantato «Come porti i capelli bela biondaaaa…» è venuto giù il teatro, come accadeva negli anni ’60-’70. Non male per due ragazzi che senza saperlo, mezzo secolo fa, hanno davvero inventato il cabaret moderno.