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 2012  ottobre 21 Domenica calendario

PIN, MIR, MODERATI, PARTITE IVA. QUELLI CHE «SONO IL NUOVO CAV»

[Mentre infuria la guerra tra Berlusconi e quel che resta del Pdl, a destra si moltiplicano gli uomini pronti a tentare la nuova discesa in campo] –
«Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono/ mi scusi presidente non è per colpa mia/ma questa nostra patria non so che cosa sia…». È un tappeto musicale che odora d’ossimoro -un Giorgio Gaber d’annata, che odiava i partiti- quello che apre il sito del M.I.R., ossia i Moderati Italiani in Rivoluzione. Ossimoro anche questo, dato che «Rivoluzione» e «Moderati» erano termini inaccostabili dai tempi di Erasmo da Rotterdam. Eppure, oggi, il Mir è solo una delle tante nuove formazioni che stanno sbocciando nell’idea stancamente rivoluzionaria di occupare uno spazio, mentre infuria la guerra tra Berlusconi e quel che rimane del Pdl. Il Mir è stato fondato da Gianpiero Samorì, «avvocato e imprenditore di successo». Samorì possiede l’approccio di un personaggio di Guareschi, però pensa alla berlusconiana maniera: «Ho imparato da Silvio, ora voglio provarci io...». Fatto salvo l’onere della prova, il suo Mir avrebbe 20 sedi in tutte le regioni italiane e vanterebbe 42 mila iscritti sparpagliati fra le campagne di Modena e Bologna pronti a sbucare agguerriti dalla loro personale foresta di Sherwood, brandendo al posto delle balestre una spending review da mille miliardi. Mille. L’uomo ha confessato a Stefano Zurlo del Giornale: «La Banca d’Italia dispone di 250 miliardi di euro di riserve disponibili. E di queste 125 miliardi, dico miliardi, sono allocati a garanzia dei fondi pensionistici integrativi dei dipendenti. Perché questa ingente riserva non dev’essere messa a disposizione della comunità in un momento drammatico?». Già perché? Secondo Il Fatto Quotidiano Samorì sarebbe una della tante nuove identità di Silvio Berlusconi che, come Arsenio Lupin, gira la penisola truccato rubando voti al Pdl. E l’ipotesi è suggestiva. Ma Samorì non è solo.
I SONDAGGI
Conferma il re dei sondaggisti Renato Mannheimer a capo dell’Ispo: «Oramai il 50% degli italiani, soprattutto tra i moderati non sa più per chi votare, è indeciso. Si tratta di un mercato enorme che aspetta di essere riempito, chi prima arriva meglio alloggia. E arrivano da noi politici, e soprattutto imprenditori, che ci chiedono di fare sondaggi su di loro, per testare un’eventuale discesa in campo…».
E, per rimanere nell’orto del centrodestra, di discese in campo se ne prevedono parecchie. A cominciare da quella dell’esule Giulio Tremonti. L’ex Quintino Sella del berlusconismo, mollato dal padre e dalla Lega maroniana ha presentato la sua lista «Lista lavoro e libertà» nella rossa Riccione: «Sarà un partito lontano dai notabili. Mi rivolgo alle grandi aree politiche che hanno sostenuto questo Paese per decenni, la socialista e la cattolica». L’idea non è nuova. Ma la sua realizzazione è un esprit creativo, Tremonti alle elezioni del 2013 intende candidare una «maggioranza di giovani perché la politica va messa in quarantena: per nessun incarico politico si potrà guadagnare più di un precario…». E noi immaginiamo già la Crociata dei fanciulli, che da Sondrio e da ogni dove, partono alla volta di Giulio, il fiscalista milionario ma francescano che dormiva dagli amici in nero e mangiava alle mensa della Guardia di Finanza. Tremonti ha un programma politico ecumenico: sostiene che il debito pubblico italiano può e deve tornare nelle mani italiane per bloccare il ricatto speculativo esterno; che l’Imu sulla prima casa non di lusso deve essere cancellata parallelamente introducendo «la copertura, un’aliquota di imposizione bancaria e finanziaria sui profitti da attività speculative e sulle attività fatte nei paradisi fiscali»; che occorre più che mai un referendum sull’Europa. Insomma un mix tra Colbert, Keynes, Bossi e Homer Simpson.
Il centrodestra vive una parcellizzazione inconsueta. E non parliamo solo di «Fermare il declino» di Oscar Giannino o dell’«Italia Futura» di (forse) Montezemolo, cioè dei movimenti più noti che spingono al centro da destra. Qua si disvela quella che Jacopo Jacoboni in un indimenticato saggio di antropologia politica -Votantonio- Viaggio nell’Italia elettorale, Donzelli- chiamava «la competizione elettorale permanente arcitaliana», roba che produce una mutazione surreale, estetica, perfino psicosociale dei candidati. Prima era tutt’un tripudio di «candidature eccentriche, metafore, neopopulismi, manifesti a base di cavalli alati, gatti cagneschi, ibridazioni», ripreso oggi solo in provincia di Agrigento dove un bulldog francese di nome Renzo, autentico cane azzannatore diventa il candidato d’un fantomatico «Partito della Rabbia».
La politica è lo specchio del Paese. Ma, se poco è mutato nelle dinamiche propagandistiche dai tempi del mitico Antonio LaTrippa candidato nel film Gli Onorevoli -era il ’63, ma a guardarlo ora la sua attualità impressiona-, molto è cambiato nella struttura dei «nuovi partiti» pronti alle elezioni. Dal tempo delle Leghe (dai vari Indipendentisti Veneti e lombardi alla federazione delle Leghe Sud di Poli Bortone e Miccichè che dovevano essere «la terza gamba del centrodestra») si è passati al fenomeno delle «Listone Civiche»: si pescano uomini che travalicano l’ideologia per il bene comune, spesso «tecnici». Sostiene Gianfranco Librandi, fondatore e leader di Unione Italiana, già candidato sindaco di Milano e imprenditore leader nella progettazione e realizzazione di sistemi elettronici nel mondo: «In questa fase l’economia è liquida come la politica. Quindi prima di schierarci abbiamo già organizzato le liste di circoscrizione in tutt’Italia. Candidato alla presidenza della regione Lombardia sarà Gianfranco Librandi, cioè io; a livello di coalizione sono amico di Albertini e se sarà lui il candidato del centrodestra appoggerò lui, non Maroni, la Lega divide. Noi siamo Unione». Librandi ostenta idee chiare sulla ripresa economica: distretti sul modello tedesco («per cui sindacati, imprenditori e banche dovranno operare insieme»); l’istituzione di «buoni aziendali del Tesoro»; la lotta contro le angherie di Equitalia. E, pur avendo «il cuore a centrodestra», potrebbe infilarsi, per le Politiche, un rassemblement «di persone perbene». Quel che tecnicamente viene oggi indicato come «il modello Verona», dal vincente progetto territoriale del sindaco leghista Flavio Tosi.
LOBBY E TASSE
Poi c’è anche chi forza un po’ la mano. Armando Siri già candidato sindaco al comune di Genova 2012 ha fondato il P.I.N., Partito Italia Nuova, e cavalca una proposta eversiva in tema di tasse contro «lo Stato parassita»: «Io non sono più disposto ad accettare uno Stato con una Costituzione che ci considera tutti uguali, perché è un falso. I calcoli sono precisi ed efficaci: se tutti pagassimo le tasse, calmierate in 3 mila euro per ogni cittadino, si raggiungerebbe la quota minima per la sussistenza economica del Bel Paese, 180 miliardi di euro». Aliquota fissa per tutti. Qualcuno dovrebbe avvertire Mario Monti. E l’elenco potrebbe continuare slalomando tra l’Unione Nazionale delle Partite Iva e i semplici «Moderati», movimento registrato che secondo i fondatori Aldo Zubani e Diego Gatta potrebbe attingere al mitico «elettorato fluttuante». Ma cosa spinge l’elettore di destra a fondare un partito? L’incertezza della legge elettorale, la smaterializzazione del rapporto eletti/elettori, le leggi pasticciate, il potere delle lobby e le debolezze dei partiti, la crisi della rappresentanza dove i Lusi, i Fiorito, i Maruccio rappresentano gli untori del nostro tempo. Poi, certo, c’è la questione dello sbarramento dei voti. Ma questo è un altro paio di maniche…