Ottavio Cappellani, Libero 20/10/2012, 20 ottobre 2012
IN SICILIA CON LA COCAINA SI TIRA A CAMPARE
[Le famiglie vivono di stipendi statali che reinvestono in droga, ossia l’ultima microeconomia rimasta sull’isola] –
La notizia è di oggi: a Catania è stato arrestato un intero nucleo familiare (mamma, tre figli e un parente) dedito allo spaccio della droga. Questa famiglia, in realtà, ha compiuto un passo ulteriore rispetto alla normale gestione economica domestica, così come si va profilando in Sicilia. Secondo i dati Censis, infatti, un italiano su tre vive in famiglia. È ovvio dedurne che gli altri due sono i genitori. In questo la Sicilia si conferma ancora una volta non solo laboratorio politico, ma anche economico e sociale. La ricetta per sopravvivere ai tempi della crisi è la seguente: i genitori guadagnano grazie al posto statale o regionale, fisso o precario, o si arrabattano con consulenze di vario genere, e il figlio o i figli o spacciano o sono consumatori. Questa è di fatto l’economia reale sulla quale si regge oggi la Sicilia. In rete girano parecchi video sui tanti supermercati della droga che si trovano a Catania, dove preferiamo fare meno sceneggiate rispetto a quei cafoni dei napoletani in tute acetate, pistole, messe in scene e roberti saviano. In Sicilia ci droghiamo apertamente alla luce del sole, al punto che, come è noto, persino uno dei candidati alla presidenza della Regione ha ammesso tranquillamente di avere pippato cocaina, secondo me attirando parecchi consensi.
Intendiamoci, le forze di polizia fanno il loro dovere: se compito di queste è mantenere l’ordine sociale sarebbe infatti disastroso arrestare gli spacciatori di strada, o quelli a domicilio, o quelli dei locali notturni, o quelli delle salumerie, ristoranti, negozi di abbigliamento studi di avvocati, medici e dentisti, impresari, imprenditori, o addirittura, si diceva, sindaci. Significherebbe fare implodere l’isola e destinarla o alla guerra civile (cosa piuttosto improbabile, dato il clima, che renderebbe il ricorso alle armi faticoso) o all’anarchia totale (che al siciliano viene bene). L’economia della Sicilia si regge esclusivamente sullo spaccio della cocaina, e chi dice che non è vero spara cazzate sapendo di spararle. Così come sparano cazzate i roberti saviani quando massacrano le palle con la storia dei soldi della cocaina che andrebbero ripuliti: i soldi della cocaina sono soldi contanti, e il denaro contante è, per eccellenza, il denaro che «non olet». Minime transazioni in contanti, capillari, che sfuggono a qualsiasi controllo e a qualsiasi invasione della privacy. La riduzione della «velocità della moneta» causata dall’impossibilità di «girare» gli assegni, più la chiusura dei rubinetti delle banche, ha, di fatto, azzerato l’impresa siciliana, e se volete giro col telefonino il video di tutti i negozi chiusi in via Etnea, fino a qualche anno fa il «salotto dello shopping» catanese. Le uniche risorse delle famiglie sono i soldi «pubblici», con i quali fare «impresa» grazie alla cocaina. Il rendimento è del cento per cento a brevissimo termine: se un operaio guadagna novecento euro al mese ne investe quattrocento comprando una quota di una partita di cocaina, raddoppia in pochi giorni l’investimento e a fine mese ne ha milletrecento: novecento in banca, e quattrocento in tasca.
L’errore che fanno i magistrati, gli inquirenti, i roberti saviani, è continuare a credere (in buona fede?) che con la cocaina si costruiscano imperi economici, quando invece i soldi della cocaina si redistribuiscono all’istante in una microeconomia che salva l’ordine pubblico siciliano.
Per quanto riguarda il riciclaggio delle grosse somme poi, basta un casinò (e allora chiudete tutti i casinò del mondo) o quei semplici negozi automatizzati, dal noleggio videocassette ai porno-shop, in cui non ti chiedono la carta d’identità quando noleggi un film o quando compri un vibratore. Apri una società di questa, ti auto compri tir di vibratori, e poi li rimetti in vetrina. Pago le tasse sugli introiti e i soldi sono magnifici. L’unica sarebbe inserire una legge che rendesse obbligatorio presentare un documento anche quando acquisti un caffè al bar.
Ma con la cocaina non si fanno grosse ricchezze, i guadagni vengono immediatamente reinvestiti nel traffico internazionale, in questo i trafficanti si comportano da imprenditori illuminati: reinvestono il capitale e danno lavoro. Soprattutto da quando si è capito che chiedere il pizzo è impresa faticosa: si chiedeva il pizzo per mettere il commerciante alle strette e obbligarlo a cedere quote dell’esercizio, ma oggi, con i controlli che ci sono, il pizzo è diventato controproducente. Mentre dalla cocaina viene fuori denaro contante, e fino a quando non ti obbligheranno a spenderlo solo dietro presentazione di documento di identità, i roberti saviani possono sbraitare quanto vogliono, ma è denaro pulito.
La storia è tutta qui, il resto è semplicemente andare in televisione e pestare l’acqua nel mortaio.