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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

El Alamein, la battaglia che gli italiani sono fieri di aver perso - Ricordo ancora che nel 1985 Storia Illustrata usci con allegato alla copertina un dono per i lettori: un sacchettino di sabbia di El Alamein

El Alamein, la battaglia che gli italiani sono fieri di aver perso - Ricordo ancora che nel 1985 Storia Illustrata usci con allegato alla copertina un dono per i lettori: un sacchettino di sabbia di El Alamein. Mi affascinò pensa­re a quale immensa buca era stata scavata nel deserto per portare in Italia quella sabbia. Ma ancora di più era suggestivo considerare quale culto ci fosse, dopo 43 anni, per quella battaglia, peraltro per­duta. È un culto che sopravvive, og­gi, che di anni ne sono passati 70, e i superstiti si contano forse sul cari­catore di una pistola. L’importan­za di quello scontro, tanto più epi­co perché avvenuto per giorni e giorni, nel deserto, non basta a spiegare tanta emozione. Fino all’autunno del 1942 le for­ze­dell’Asse sembravano avere an­cora il predominio militare. Fra settembre e novembre, però, ini­zia la battaglia di Stalingrado, che segna la fine dell’avanzata italo-te­desca in Russia; in ottobre la batta­glia di El Alamein, nel deserto egi­ziano, ferma l’avanzata dell’Asse verso il Canale di Suez. In novem­bre, con l’accer­chiamento di von Paulus a Stalin­grado e la ritirata di Rommel a El Alamein, quella che doveva esse­re una morsa per conquistare il Medio Oriente e i suoi pozzi di pe­trolio diventa lo spasimo di due moncherini. Ed è inutile chiedersi cosa sarebbe accaduto “se” Rom­mel avesse vinto: sarebbe stata una guerra diversa, ma avrebbe portato lo stesso alla vittoria finale degli Alleati, perché fu una vittoria soprattutto di mezzi. Tuttavia gli italiani non lo potevano sapere. Il Nord Africa era lo scenario di guer­ra che li appassionava di più, per ragioni geografiche, storiche, sen­timentali. Ma quello libico-egizia­no era il fronte che procurava più dolori, oltre ai più gioiosi entusia­smi. Appena iniziata la guerra, il 28 giugno 1940, il maresciallo Ita­lo Balbo era stato abbattuto per er­rore dalla contraerea italiana. Il suo successore, maresciallo Ro­dolfo Graziani, non si era distinto per intraprendenza e il 19 gennaio 1941 Mussolini dovette chiedere aiuto a Hitler. Nei mesi successivi sbarcò sulla costa libica l’Afrikakorps del generale Erwin Rommel.L’offensiva continuò nel gennaio 1942 finché, in maggio, le truppe italo-tedesche arrivarono ad El Alamein,a circa 100 chilome­tri da Alessandria d’Egitto. La cam­pagna sembrava vinta, e il succes­so rese più sopportabile agli italia­ni le loro pesanti condizioni di vi­ta. Figurarsi con quale passione e sgomento seguirono le sorti dello scontro finale quando, dopo mesi di inattività italo-tedesca, furono gli inglesi a prendere l’iniziativa.Il generale Harold Alexander, co­mandante delle truppe inglesi in Egitto e Medio Oriente,affidò l’at­tacco al generale Bernard Montgo­mery, che aveva a disposizione tre divisioni corazzate e l’equivalente di sette divisioni di fanteria. Ben­ché per numero le truppe dell’As­se potessero contrastarle, gli ingle­si disponevano di una netta supe­riorità aerea, di nuovi cannoni an­ticarro e dei nuovi carri armati Sherman. La sera del 23 ottobre ’42, nel silenzio della luna piena, quasi mille pezzi di artiglieria in­glese spararono contemporanea­mente per circa venti minuti. Alla fine del 24 l’offensiva aveva aperto profonde sacche nello schiera­mento italo-tedesco, ma non era riuscita ad aprire una vera brec­cia. Nelle prime ore del 25, Mont­gomery ordinò un nuovo attacco prima dell’alba,ma dovette affron­tare violenti contrattacchi, in parti­colare della 15 ª divisione corazza­ta tedesca e dell’Ariete. E Rom­mel? Non c’era.Alla fine di settem­bre era stato ricoverato in ospeda­le in Germania e sostituito dal ge­nerale Stumme che però era mor­to d’infarto ventiquattr’ore dopo l’inizio della battaglia. Hitler non esitò a chiedere a Rommel di ri­prendere il comando, ma era già tardi. Il 27 e il 28 ottobre la 15ª e la 21ª divisioni corazzate tedesche scatenarono una violenta offensi­va, invano. A questo punto fu deci­so l’attacco finale, ovvero l’opera­zione Supercharge. L’operazione iniziò all’una antimeridiana del 2 novembre. Tutti i carri armati ita­lo­tedeschi superstiti attaccarono il saliente britannico su due fronti, ma vennero respinti. Il 3 iniziava la ritirata,nonostante Hitler l’aves­se assolutamente proibita. «Ma la decisione», commenta Winston Churchill nella sua Storia della Se­conda Guerra Mondiale , «non era più nelle mani dei tedeschi». Churchill annota anche un com­portamento tedesco che dopo El Alamein sarebbe diventato una prassi: «Rommel si trovava ormai in piena ritirata, ma vi erano mezzi di trasporto e carburante sufficien­ti soltanto per una parte delle sue truppe e i tedeschi... si arrogarono la precedenza nell’uso dei mezzi. Parecchie migliaia di uomini ap­partenenti alle sei divisioni italia­ne, furono così abbandonate nel deserto... senz’altra prospettiva che quella di essere circondati». Il campo di battaglia era dissemina­to­surrealmente di cannoni e auto­mezzi distrutti. L’aviazione ingle­se, superiore per tutta la battaglia, attaccava senza tregua e senza contrasto lunghe colonne di uomi­ni in ritirata verso ovest. Per gli ita­liani era finito, ancora una volta, il sogno d’Africa.E al nemico si apri­va la p­ossibilità di invadere l’Euro­pa dall’Italia, dalla Francia o dalla Grecia. Sarebbe toccato all’Italia. Dove, intanto, le notizie sempre più sconfortanti, invano occultate dalla propaganda, aggravavano le condizioni di vita del popolo. Oggi chi si emoziona ancora a leggere della battaglia di el Ala­mein non è necessariamente no­stalgico, né tantomeno fascista o folgorato da furore bellico. Alla memoria di un popolo, sconfitto in guerra, fa bene il ricordo di ave­re combattuto con onore, e di ave­re perso perché mancavano le ar­mi, non il coraggio.