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 2012  ottobre 22 Lunedì calendario

Ecco come le banche tedesche fanno pagare la crisi all’Italia - Da bravo scolaro, il presi­dente Monti si è sempre presentato alle riunioni del Consiglio europeo con i compi­ti­a casa fatti, nella linea sangue, su­dore e lacrime imposta dalla mae­stra Angela Merkel

Ecco come le banche tedesche fanno pagare la crisi all’Italia - Da bravo scolaro, il presi­dente Monti si è sempre presentato alle riunioni del Consiglio europeo con i compi­ti­a casa fatti, nella linea sangue, su­dore e lacrime imposta dalla mae­stra Angela Merkel. In questo mo­do cercando di acquisire credibili­tà nei confronti della Germania, dell’Europa e dei mitici mercati. Non sempre siffatto atteggiamento è stato premiato, ha avuto, cioè, un riscontro in termini di spread. Facciamo la pagella dell’anno scolastico del presidente Monti. In 11 mesi, il premier ha partecipato a 4 riunioni (per lo più inconcluden­ti) del Consiglio europeo: quella dell’8-9 dicembre nel 2011, e quel­le dell’1-2 marzo, del 28-29 giugno e del 18-19 ottobre 2012. Partiamo dalla prima. Al suo de­butto in Europa, lo scolaro profes­sor Monti si è presentato forte del­l’approvazione in Cdm del decreto cosiddetto «salva Italia», con lo spread che, però, schizzava da 368 punti base a 444 in due giorni. Il pri­mo marzo il Senato approvava il de­creto cosiddetto «cresci Italia»,que­sta volta con lo spread in discesa fi­no a sotto quota 300; ma, guarda guarda, solo perché il 29 febbraio la Bce aveva immesso nel sistema ol­tre 500 miliardi di liquidità. Il 27 giu­gno la Camera approvava, con tan­to di fiducia, la riforma del mercato del lavoro. Un successone: lo spread è passato da 410 punti a 478 in pochi giorni. Ma la pur cattiva ri­forma Fornero c’entrava poco, ri­spettoall’opacitàdelledecisionieu­ropee. Giovedì scorso, il presiden­te Monti si è presentato al Consiglio europeo a mani vuote: una legge di Stabilità per il 2013 modificata di­verse volte nel passaggio dal Consi­glio dei ministri al Parlamento e su cui si è scatenata la polemica politi­ca. Una manovra (all’apparenza) minimalista, piena di inutili cattive­rie e senza alcuna visione forte. Mani vuote, dunque, quelle del presidente Monti all’ultimo Consi­glio europeo. Ma qui viene il colpo di scena: venerdì sera lo spread ha chiuso a 318 punti, come non si ve­deva dal 26 marzo scorso. Questo a conferma che tra i fondamentali de­gli Stati, le loro politiche economi­che e l’andamento degli spread non c’è nessuna correlazione. Lo spread si compone di 3 variabili: merito di credito dei Paesi (100-150 punti base); premio di re­versibilità dell’euro, cioè il rischio di implosione della moneta unica (150-200 punti) e effetto fuga degli investitori verso il Bund tedesco (100-150 punti). Se così stanno le cose, inutile ac­canirsi con il sangue, sudore e lacri­me, perché quello che conta vera­mente sono le decisioni, o le non de­cisioni, in sede europea, in partico­lare Bce e Meccanismo europeo di stabilità. Nell’ultima settimana i mercati hanno giudicato positiva­mente, la road map definitadaipre­sidenti di Consiglio europeo, Com­missione europea, Eurogruppo e Bce verso l’unione bancaria,econo­mica, fiscale e politica, anche se gio­vedì e venerdì la Germania, ha ri­messo per l’ennesima volta tutto in gioco, come se il vertice preceden­te che aveva avviato il percorso vir­tuoso delineato nel documento dei quattro presidenti, non ci fosse mai stato. Quindi effetto positivo, ma bloccato. Tema del contendere è stata la vigilanza bancaria. Ma non la vigilanza sulle banche spagnole o su quelle italiane, che sono le più solide dell’eurozona,ma sulle ban­che tedesche, su cui si gioca tutta la partita. Se andiamo ad analizzare l’ini­zio della bufera finanziaria, vedia­mo come in Italia la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato (n.b.: i rendimenti, che si formano sul mercato primario delle aste e de­terminano il servizio del debito e non gli spread, che si formano sul mercato secondario) sia comincia­ta a giugno 2011, ma in realtà la tem­pesta perfetta si stava preparando già qualche mese prima. In effetti, tra febbraio e maggio 2011,c’è stata calma piatta sui mercati, che han­no visto i rendimenti dei titoli de­cennali tedeschi stabili attorno al 3,28% e i rendimenti dei Btp italiani ugualmente stabili, tra il 4,73% e il 4,84%, con 150 punti circa di diffe­renza ( spread). Con una sola avver­tenza: i rendimenti dei titoli del de­bito pubblico della Germania era­no su una curva ascendente, in ra­gione non tanto dei problemi della finanza pubblica, quanto di quelli della finanza privata: le banche, og­gettivamente a rischio. Le banche tedesche, infatti, hanno al loro in­terno rilevanti componenti di de­bol­ezza che derivano dai loro com­portamenti spericolati e dai loro in­vestimenti sbagliati. Ricordiamo come la finanza privata tedesca ab­bia reagito male agli stress test cui è stata sottoposta dall’Autorità ban­caria europea (Eba) nell’aprile 2011 e ai vincoli di ricapitalizzazio­ne previsti da Basilea 3. Alto rendi­mento dei Bund significava, dun­que, deprezzamento del loro valo­re e conseguente prospettiva di ri­capitalizzazione per gli istituti di credito tedeschi. Il combinato disposto dell’au­mento dei rendimenti dei titoli pub­blici, del dubbio valore dei titoli tos­sici e delle perdite sui titoli greci nei portafogli delle banche da una par­te e le regole­stringenti di Eba e Basi­lea 3 dall’altra hanno, quindi, gene­rato una situazione di forte tensio­ne nel sistema finanziario privato tedesco. La reazione è stata geniale e cinica: la finanza privata tedesca, con l’appoggio implicito del pro­prio governo, ha trasferito la crisi potenziale del suo sistema banca­rio sui paesi più deboli dell’eurozo­na. Come? Vendendo e dando indi­cazioni gen­eralizzate di vendere i ti­toli del debito sovrano, prevalente­mente greci e italiani, sul mercato secondario, al fine di aumentarne i rendimenti sul mercato primario. A un anno e mezzo di distanza, il disaccordoèunicamentesull’unio­ne bancaria, che la Germania vuo­le costruire a propria immagine e somiglianza. Immagine niente af­fatto virtuosa. Al riguardo, la posi­zione di Angela Merkel è chiara: vi­gilanza unica affidata alla Bce, ma solo sulle banche di rilevanza siste­mica, assolutamente no sugli istitu­ti regionali - le Landesbanken - o sulle casse di risparmio- le Sparkas­se- dove si annida la più alta opaci­tà. E non da subito, ma dopo le ele­zioni tedesche. Bell’esempio di ri­gore e trasparenza. Ed è così che la riunione del Consiglio europeo del­la scorsa settimana è servita solo per festeggiare il Nobel per la pace e i 20 anni di mercato unico europeo dei beni e dei servizi. La boutade , inoltre, del super commissario con poteri di veto sui bilanci nazionali ha fatto concen­trare gli sforzi dei leader europei su una trappola escogitata per disto­gliere l’attenzione dal tema che sta­va veramente a cuore alla Cancel­liera: rendere operativo il nuovo su­pervisore unico bancario non pri­ma del 2014. Peccato. Proprio in una fase in cui erano stati individuati gli stru­me­nti e i percorsi per uscire dal tun­nel e proprio in un momento in cui i mercati hanno cominciato a guar­da­re positivamente all’Europa e al­le regole che si è data. Ma di questo alla Germania interessa poco. Ven­gono prima i suoi fini politici. Co­me l’annuncio di Mario Draghi di acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico dei paesi sotto attacco speculativo con vita residua fino a 3 anni aveva fatto di­minuire in un giorno, dal 2 al 3 ago­sto, lo spread di oltre 50 punti in Ita­lia e in Spagna, se giovedì e venerdì, invece di litigare si fossero definite date rapide di realizzazione del­l’unione bancaria e si fosse dato il via libera alla ricapitalizzazione di­retta delle banche spagnole, come previsto dall’accordo di giugno, probabilmente lo spread sarebbe sceso ancora, fino ad azzerare la componente riconducibile al ri­schio di break up dell’euro, che, al contrario, dati gli esiti del vertice, continua a valere ancora da 150 a 200 punti. Se l’Europa avesse fatto fino il suo dovere, si sarebbe messo fine a questa crisi. Purtroppo,invece,l’ impasse du­rerà fino a settembre 2013, data del­le elezioni tedesche. Che fare? Biso­gna chiudere la partita con la Ger­mania al più presto. Senza più ac­cettare, da parte dei paesi sotto at­tacco speculativo, le solite colpevo­lizzazioni. Questa triste storia deve finire. Ma il problema non si risolve­rà con summit romani primaverili, solo perché a Angela Merkel piace la nostra capitale senza Berlusco­ni, bensì affrontando la crisi alla ra­dice. Approfittando, in Italia come negli altri paesi dell’Unione, delle scadenze del Semestre europeo e, quindi, della legge di Stabilità per il 2013. Per quanto ci riguarda, occor­re sì confermare gli impegni di rigo­re, ma allo stesso tempo imboccare definitivamente la strada dello svi­luppo, a partire dalla riduzione del­la p­ressione fiscale su famiglie e im­prese, in maniera seria. L’imbroglio dello spread,è chia­ro chi ne ha approfittato, è chiaro chi ne è stato vittima, chi lo ha inne­scato e chi non vuole risolverlo. Sa­rebbe ora di dire basta! Bravo François Hollande, che ha fatto il duro con Angela Merkel. Se il pro­fessor Monti non era d’accordo con i paletti posti dalla Germania, perché l’ha detto in conferenza stampa e non ha battuto i pugni sul tavolo quando la riunione del Con­siglio europeo era ancora in corso? È così che si riconquista un ruolo centrale in Europa. Non continuan­do a chinare la testa, ancorché in buona fede.