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 2012  ottobre 20 Sabato calendario

Se anche l’Unità frequenta i paradisi fiscali di Renzi - Questa è la storia di un ca­ne miliardario, Gunther, di editoria, l’Unità, di due politici, Bersani& Renzi, di paradisi fiscali e soprat­tutto di somma ipocrisia

Se anche l’Unità frequenta i paradisi fiscali di Renzi - Questa è la storia di un ca­ne miliardario, Gunther, di editoria, l’Unità, di due politici, Bersani& Renzi, di paradisi fiscali e soprat­tutto di somma ipocrisia. Tutto na­sce dalla sventurata idea avuta dal sindaco di Firenze e candidato al­le primarie di farsi organizzare un pranzo elettorale dal giovane ge­store di hedge funds, Davide Ser­ra. In una chiesa sconsacrata nel centro di Milano, il fondatore di Al­gebris (il fondo speculativo, così si chiama) mette insieme duecento bei figli della finan­za milano-internazionale. Serra, che gode di uno status fiscale su­perprivilegiato a Londra, fa da pre­sentatore e soprattutto da morali­sta. Ci spiega che razza di popolo siamo: una pattuglia di indomiti evasori. Ma ne riparleremo tra po­co, poiché la storia è complicata. Il giorno dopo l’Unità, il quoti­diano vicino al partito democrati­co (ben condotto, detto senza al­cuna ironia, dal nuovo direttore), prende la palla al balzo e titola: «Le primarie in paradiso (fisca­le)». L’allusione è all’ospite di Ren­zi, quel Davide Serra che gestisce appunto una serie di fondi specu­lativi. Una delle sue società è infat­ti basata alle isole Cayman: non esattamente uno dei luoghi più trasparenti della finanza interna­zionale e per questo motivo molto utilizzata da chiunque voglia fare molti quattrini senza dare molte spiegazioni. Anche il Corriere del­la Sera non si era fatto sfuggire il gustoso accostamento: il Kenne­dy dell’Arno con il Gordon Gekko de noantri. Se avrete pazienza, tra poco sco­prirete che la vicenda è ancora più ipocrita e non riguarda tanto i no­stri politici, ma gli uomini della fi­nanza, che fanno legittimamente un mucchio di quattrini all’estero e nel mezzo del cammin della loro vista vengono qua a farci la lezion­cina. Dicevamo che nella nostra sto­ria c’entra anche Gunther. Dove­te sapere c­he quattro anni fa fu sco­perta una lista di illustri sconosciu­ti italiani con un mucchio di soldo­ni depositati in Liechtenstein: non si tratta delle Cayman, giusto per il mare. Per il resto sempre di paradiso fiscale parliamo. Tra co­storo c’è il pisano Maurizio Mian, figlio di una storica dinastia di im­prenditori del farmaceutico. Bec­cato con le mani nel sacco, Mian, con spirito toscanaccio, dice due cose. La prima è che quei soldi ap­partengono al suo cane: sì avete capito bene, al suo adorato Gun­ther. E soprattutto che non gli si de­vono più rompere le scatole, poi­ché il cane, o chi per lui, ha fatto lo scudo fiscale e dunque quella gran massa di euro è stata bonifi­cata. È oramai pulita. Il cane ritor­na un mito, perché già una volta era stato celebre: qualche tempo prima i suoi emissari, cioè Mauri­zio Mian, avevano gestito la squa­dra di calcio del Pisa. Vi chiedere­te cosa centri questa folle storia di cani scudati e miliardari con l’Uni­tà . C’entra: solo pochi mesi fa, il medesimo Mian con una parte dei suoi ingenti quattrini diventa il primo azionista della società edi­trice del quotidiano fondato da Gramsci ed editato dunque dal mi­gliore amico di un cane. E c’è di più: la titolarità delle quote della società dovrebbe appartenere a una società delle Bahamas, la Gunther Reform Holding, di cui è sempre beneficiario Gunther. Per rimanere in campo animale­sco, in casa Pd, il bue dà del cornu­to all’asino. L’Unità , il cui azioni­sta principale aveva nascosto 200 milioni in Liechtenstein, poi scu­dati e infine attribuiti al suo cane Gunther, si lamenta che Renzi si faccia fare la raccolta di fondi da un hedge fund. Roba da pazzi. Sce­gliete voi, cari commensali, cosa vi stupisce di meno. Ma se la politica ha le sue colpe, la società civile non è che viaggi meglio. Davide Serra sostiene che il problema numero uno sia l’eva­sione fiscale. Benissimo. Poi dice che vive a Londra da vent’anni. Fortunato lui. E che in Italia torna per le vacanze. Come dargli torto, poverino. E qui incrocia professio­nisti, commercialisti e avvocati con la barca frutto spesso dell’eva­sione fiscale. Slides a corredo del­la tesi. Allora ci viene voglia di chie­dere al nostro maître-à-penser che ci spiega quanto siamo stron­zi: scusi Serra mi fa vedere le di­chiarazioni dei suoi redditi negli ultimi dieci anni? E il suo tax rate (si dice così Serra?). E andiamo oltre. Gli italiani (co­me tutti gli stranieri) che vivono a Londra possono godere di un trat­tamento fiscale, che dire agevola­to è dire poco, dei «resident not do­miciliated ». Motivo per il quale quando andate in un club di Lon­dra sembra di stare nel bar di guer­re stellari, con gli alieni che hanno tutti un tratto in comune: sono mi­liardari. Grazie a questo regime un italiano con famiglia a Londra e che ci passi più di 186 giorni l’an­no (caso Serra) non paga le tasse in Italia. E se dovesse fare ad esem­pio utili in un società residente non in Inghilterra non li paghereb­be neanche a Londra. Ci sono cer­to altri motivi per i quali una delle società di Serra è domiciliata alle Cayman. Sempre per pura ipote­si, se detta società delle Cayman dovesse bonificare i suoi dividen­di o parte di essi al socio Serra, per esempio su un suo conto in Svizze­ra o in Liechtenstein, non com­metterebbe alcun illecito, e Serra non pagherebbe, su quei dividen­di, neanche un euro di tasse. Non male. Tanto bene che perfino gli inglesi qualche anno fa hanno ca­pito di aver esagerato. I resident not domicilied sono ora costretti a pagare una tassa fissa di 50mila sterline l’anno (70mila euro) a for­fait di tutti i redditi prodotti al­l’estero. Peanuts , nevvero Serra? Gli uffici di Davide Serra dicono che: «riceve i proventi della sua at­tività di Algebris Investments in Inghilterra, in qualità di partner dell’entità UK e conseguentemen­te paga tutte le tasse dovute in In­ghilterra. L’essere resident not do­micilied non fa alcuna differenza proprio perché i proventi fanno capo alla partnership inglese e so­no quindi tassati in Inghilterra». Dunque sembra di capire che Serra è un «resident not domici­lied » e che per quanto riguarda i di­videndi di una delle sue società è sottoposto alle aliquote ordinarie inglesi. Gode comunque di uno status di privilegio fiscale che noi ci sogniamo. Tanto che uno degli ospiti nella platea dell’altra sera ha chiesto a Renzi cosa ne pensas­se di questo trattamento agevola­to. Vi facciamo la sintesi. Un finanziere italiano residen­te da decenni a Londra convoca un gruppetto di uomini della fi­nanza milanese per presentare lo­ro un candidato alle primarie del Pd. Il medesimo finanziere ci dice che siamo una banda di evasori fi­scali e dal pubblico uno si alza e chiede a Renzi se gli happy few (si scrive così, Serra?) possono conti­nuare a godere dei privilegi fiscali vigenti a Londra. Noi siamo evaso­ri e loro resident not domicilied. Sembra un film di Risi; è invece una buona parte della borghesia il­luminata e cosmopolita di Mila­no. Ps: Una tenace giornalista di Piazza Pulita chiede al finanziare di lungo corso Guido Roberto Vita­le quanto sarà il suo contributo al­la campagna di Renzi (ops scusa­te la cena di Serra era per raccoglie­re quattrini, tanto che chiede di non fare offerte inferiori ai mille euro). E il finanziere lo guarda co­me per mangiarselo: «Non fate do­mande indiscrete» e poi «Siate educati». Scusi Marchese. Del Grillo.