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 2012  ottobre 24 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Gastone Breccia, I figli di Marte – L’arte della guerra nella Roma antica, Mondadori Milano 2012, pp

Notizie tratte da: Gastone Breccia, I figli di Marte – L’arte della guerra nella Roma antica, Mondadori Milano 2012, pp. 426, 22 euro.

Primi colpi di lancia e spada delle guerre di Roma: tra gli abitanti del villaggio che si trovava sull’altura del Palatino e la comunità di pastori sabini che aveva occupato il colle del Quirinale. Quello del Palatino – gruppo etnico latino-falisco, indoeuropei giunti nella penisola intorno al XII secolo avanti Cristo – era il primo insediamento romano, più antico della data tradizionale della fondazione della città, fissata da Marco Terenzio Varrone al 21 aprile di un anno corrispondente al 753 a. C.

All’inizio i Romani sono guerrieri occasionali che poi tornano alle loro occupazioni, incursori incapaci di agire in formazioni complesse. Narra Tito Livio che l’assalto leggendario di Romolo alla reggia di Amulio, ad Alba Longa, fu organizzato «non con una schiera compatta di giovani – non aveva, infatti, forze sufficienti per un attacco aperto – ma ordinando ai pastori di affluire per vie diverse alla reggia nel momento fissato». [14]

Il termine «guerrilleros», nato all’inizio del XIX secolo per indicare i combattenti irregolari spagnoli che si opponevano alle truppe d’occupazione napoleoniche. Da «guerrilla», la «piccola guerra» di chi evita gli scontri in campo aperto e ricorre soprattutto a imboscate e attacchi di sorpresa.

Il «bellum iustum», lo scontro in campo aperto su cui si fonda la gloria delle armi romane.

Verso la fine del VII secolo avanti Cristo Roma viene a trovarsi sulla direttrice d’espansione meridionale degli Etruschi. I Romani vengono sconfitti, gli Etruschi vanno a fondare la città di Capua. Ma lasciano tracce della loro cultura, della loro abilità nell’arte delle costruzioni e della loro organizzazione militare. [16]

Roma intorno al 600 avanti Cristo: in sostanza una città etrusca abitata da Latini, aperta, vivace, etnicamente complessa, favorita dal trovarsi all’incrocio tra due grandi strade: la Salaria (dal mare all’entroterra appenninico) e la via che dall’Etruria meridionale portava alla Campania in parte grecizzata.

Servio Tullio, sesto re di Roma. La tradizione gli attribuisce la riforma costituzionale basata sulla divisione del populus (i maschi in grado di portare le armi) in diverse classi di censo, destinate ad armarsi secondo le proprie possibilità economiche nei ranghi della legio, la leva cittadina. [19]

Roma adotta lentamente armamento e tattica della fanteria pesante tipica delle città-stato greche. Nel V secolo esiste già una falange oplitica (oplita era il fante greco con elmo, armatura, lancia, spada corta e scudo rotondo). Il codice di comportamento privilegia la coesione del gruppo rispetto al coraggio del singolo.

La virtus militare: la capacità di restare al posto assegnato, rispettando gli ordini ricevuti, senza mai far mancare appoggio ai propri compagni e concittadini. La disciplina militaris valore assoluto, irrinunciabile, perché su di essa si fonda la potenza di Roma.

Tito Manlio Torquato, console e comandante, che condannò a morte davanti all’esercito schierato il figlio Tito Manlio, colpevole di aver accettato contro i suoi ordini una sfida a duello con un nemico. Durante una guerra contro i Latini, 340 a. C. [20]

Nel 406 a. C. la repubblica romana comincia a fornire una paga regolare (stipendium) ai propri legionari.

Gli uomini nuovi dell’esercito repubblicano: plebei di una certa agiatezza che rischiano la vita per ottenere, in prospettiva, parità di diritti negli organi di potere della res publica.

Durante la seconda guerra punica, dopo le sconfitte subite per mano di Annibale, il Senato vota una riforma delle classi serviane: il limite minimo di censo necessario per essere iscritti nelle centurie dell’exercitus scende da 11.000 a 4.000 asses (214 a. C.). La quota cala nuovamente da 4.000 a 1.500 asses (129 a. C.). Una legge impone quindi alla res publica di farsi carico dell’acquisto di armi ed equipaggiamento per i legionari (123 a. C.). Il console Gaio Mario, infine, decide di ammettere nell’exercitus tutti i cittadini, senza più distinzioni di classe o limite minimo di reddito.
L’esercito romano si proletarizza e si professionalizza.

I centurioni, celebrati come militari perfetti: coraggiosi, responsabili, durissimi nell’imporre la disciplina ma pronti a sacrificarsi per la salvezza dei propri uomini. A pieni effettivi sessanta per ogni legione, meno di duemila in tutto l’impero: erano la vera struttura portante dell’esercito romano. [34]

Primus pilus, il «primo giavellotto»: il grado più ambito, quello del più anziano centurione della legione. [33]

Scientia e usus, ovvero conoscenza teorica ed esperienza pratica: sono le qualità che Giulio Cesare vede nei suoi soldati e che consentono loro di decidere da soli quale sia il comportamento migliore da seguire: Capaci di iniziativa individuale, anche se sempre nel contesto di un’azione collettiva.

Auxilia (aiuti): erano i reparti composti da guerrieri reclutati tra le popolazioni sottomesse o venute a contatto con l’impero. Accanto ai soldati professionisti delle legioni, ne furono chiamati a migliaia per secoli. Tra i compiti loro affidati: pattugliamento, ricognizione, controguerriglia.

La battaglia del monte Graupio, nel nord della Britannia, vinta da Giulio Agricola nell’83 d. C. Il peso dello scontro ricadde quasi interamente sugli auxilia. La fanteria legionaria era stata lasciata in riserva «per testimoniare quanto fosse grande e onorevole una vittoria per cui non fosse sparso sangue romano» (Tacito). «Morirono circa diecimila nemici e trecentosessanta dei nostri» (in gran parte ausiliari gemanici). [42]

Le guerre daciche di Traiano dei primi anni del II secolo: i legionari costruiscono, gli ausiliari combattono. [274]

Gli eserciti, da sempre organizzati sulla base di una cellula fondamentale costituita da un gruppo di una dozzina di uomini o poco meno. Motivo pratico: un singolo uomo non può esercitare un controllo diretto ed efficace su un numero superiore di combattenti. [45]

Il rapido incremento dei conflitti e il difficile terreno montuoso dell’Italia centrale inducono alla metà del IV secolo l’esercito romano al passaggio dalla falange oplitica alla legione manipolare: la nuova organizzazione prevede la suddivisione della massiccia falange in unità più piccole e semi-indipendenti, i manipoli.

Lo schieramento descritto da Tito Livio: una prima linea di 15 manipoli di hastati (in genere soldati giovani) di sessanta uomini ciascuno (novecento in tutto); una seconda di 15 manipoli di principes (soldati più anziani ed esperti) con altrettanti uomini; alle loro spalle, quindici manipoli di forza tripla, costituiti ciascuno da sessanta soldati scelti, sessanta rincalzi armati alla leggera e sessanta soprannumerari (la schiera meno affidabile). [57]

Lo schieramento descritto da Polibio: prima linea di dieci manipoli raddoppiati (con 1.200 hastati); una seconda di altrettanti principes; una terza di dieci manipoli semplici con 600 triarii.

Gli hastati entravano per primi in combattimento: «Se non riuscivano a mettere in fuga il nemico, allora ripiegavano a passo cadenzato, e i principes li accoglievano tra i loro manipoli. Allora su questi ultimi ricadeva il peso della battaglia, mentre gli hastati li sostenevano da dietro; i triarii, invece, restavano fermi sotto i loro stendardi. […] Se la mischia non veniva risolta favorevolmente nemmeno dai principes, anch’essi dalla prima linea retrocedevano a poco a poco fra i triarii» (da Tito Livio).

La coorte, unità più numerosa e robusta, al centro del nuovo ordinamento dei reparti che, a cavallo del 100 a. C., sostituisce i manipoli. Conta circa 480 uomini, nasce dall’unione verticale, dalla prima linea alla riserva dei triarii, di un manipolo per ogni schiera. Unità tattica fondamentale sul campo di battaglia dall’età cesariana in poi. [72]

«La vera anima dell’esercito romano, la sede misteriosa dello spirito di corpo, della lealtà, della devozione degli uomini non stava nella coorte ma nella legio e nella centuria». Non esisteva un vessillo della coorte, mentre ogni legione aveva la sua aquila, ogni centuria il suo signum.

La centuria, raggruppamento di tre manipoli della coorte, unità di 80 uomini, divisa in 10 contubernia di otto uomini ciascuno, ovvero le “squadre” che dividevano la stessa tenda nell’accampamento.

La tenda del contubernium: quadrata, di dieci piedi (3 metri) di lato, con un’altezza massima centrale di cinque piedi. Il centurione aveva diritto a una tenda propria, delle stesse dimensioni ma più alta. A ogni contubernium erano assegnati un mulo e un servo per trasportare la tenda, gli attrezzi, una piccola macina per il grano e provviste supplementari. [363]

Le 27 legioni (circa 130.000 uomini, senza contare le truppe ausiliarie) schierate sotto l’imperatore Augusto nel 27 a. C., al termine delle guerre civili: 5 in Gallia, 8 in Spagna, 4 in Macedonia, 5 nell’Illirio, 2 in Siria, 2 in Egitto, 1 in Africa.

La legio V Macedonica: creata nel 43 a. C. da Augusto, combatté con Ottaviano ad Azio, venne inviata a presidiare la Macedonia per più di trent’anni (da cui il nome), partecipò alla spedizione contro i Parti, fu assegnata a Tito Flavio Vespasiano per reprimere la rivolta in Giudea, partecipò con Marco Aurelio alle durissime campagne contro i Marcomanni e i loro alleati, fu divisa in due mezze legioni impegnate a costruire ponti, a presidiare il confine e a combattere i Goti sul Danubio, lasciò le ultime tracce intorno al 636 d. C., quando alcuni suoi commilitoni fortificarono Heliopolis, nel Delta del Nilo. [98]

«Prima di tutto c’è lo scudo, la cui superficie convessa è ampia due piedi e mezzo e alta quattro [75x120 cm circa). Sul margine è spesso un quarto di piede; è fatto con due tavole saldamente incollate insieme […] Il bordo superiore e quello inferiore sono protetti da un rinforzo in ferro, che serve sia a parare i colpi di taglio delle spade che ad appoggiare lo scudo a terra. […] Oltre allo scudo c’è poi la spada: la si porta al fianco destro, ha una punta efficace, ma la si può usare anche per colpire di taglio da entrambi i lati, perché ha una lama robusta e resistente. Hanno a disposizione anche due giavellotti, un elmo di bronzo e gli schinieri» (da Polibio). [108]

Il modo di combattere romano classico era basato sull’uso integrato di scudo ampio e oblungo, giavellotto e spada corta. Il legionario in battaglia si muoveva così: giunto a una ventina di passi dal nemico, scagliava in successione i due giavellotti, poi sullo slancio estraeva il gladio e andava a urtare con tutta la forza contro l’avversario che aveva davanti, usando lo scudo per proteggersi e per colpire.

Roma, perfettamente in grado di combattere su più fronti contemporaneamente fin dall’età repubblicana. Tra il 218 e il 202 a. C. le operazioni si estesero dalla penisola iberica all’Epiro e dalle Alpi all’Africa settentrionale. [135]

Il campo di battaglia di Canne all’indomani della disfatta: «Alcuni [cadaveri romani] furono ritrovati col capo sprofondato in una buca: era chiaro che se l’erano scavata da soli, e avevano reso l’anima soffocati dalla terra con cui si erano ricoperti» (Tito Livio).

Nel 107 a. C. una colonna di fanteria marciava in media a una velocità di due chilometri all’ora. L’anno dopo, con l’addestramento di Gaio Mario (che sconfisse i Teutoni ad Aquae Sextiae), la velocità era più che raddoppiata. [164]

Battaglia di Nisibi (attuale Turchia sud-orientale) contro i Parti, 217 d. C.: «Uomini e animali erano caduti in così gran quantità che l’intera pianura era coperta di morti; i corpi giacevano ammassati l’uno sull’altro, e specialmente i dromedari abbattuti formavano dei veri e propri mucchi. Per questo i soldati erano ostacolati nel condurre altri attacchi: non potevano nemmeno vedersi […] Dal momento che questa barriera rendeva impossibile ogni contatto, i due eserciti tornarono ai loro accampamenti» (Erodiano). [199]

Cesare contro gli Edui (58 a. C: a Bibracte): scontro durissimo, a lungo incerto, terminò con una carneficina: di 368.000 individui, di cui 92.000 uomini atti alle armi, ne sopravvissero solo 132.000.

Sulla Colonna traiana i soldati romani appaiono costantemente occupati a svellere alberi e alzare palizzate, mura, torri. «La guerra di conquista procede con la metodica sottomissione del territorio, in attesa che si mostri il nemico». [274]

La disfatta di Canne: perdite spaventose: 70.000 tra legionari romani e socii italici. Secondo Polibio si salvarono solo 10.000 uomini rimasti al di fuori della tenaglia cartaginese. [332]

«I Romani combatterono con inaudita durezza, massacrarono senza remore intere popolazioni, imposero il loro dominio talvolta con la semplice manifestazione di superiorità sul campo di battaglia […] La guerra non era considerata ultima ratio regum, ma il principale strumento per accrescere le fortune della res publica; la minima minaccia esterna era vista come un atto ostile da punire con severità implacabile, e il conflitto si concludeva solo alle condizioni decise in partenza dal Senato o dall’imperatore». [340]