Sergio Romano, Corriere della Sera 24/10/2012, 24 ottobre 2012
Non ho mai capito il significato dell’articolo 1 della nostra Costituzione. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Che cosa vuol dire? Io credo sia fuorviante
Non ho mai capito il significato dell’articolo 1 della nostra Costituzione. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Che cosa vuol dire? Io credo sia fuorviante. Non sarebbe meglio affermare: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sull’operosità»? Così ognuno saprebbe che deve darsi da fare, impegnarsi a fare qualcosa per se stesso e per il suo Paese. Ci sono moltissime persone che «pretendono» un lavoro a prescindere dal loro impegno! Benedetto Altieri benedetto.altieri@ gmail.com Caro Altieri, I membri comunisti dell’Assemblea costituente e alcuni socialisti proposero che l’Italia fosse definita «Repubblica dei lavoratori». Era la formula utilizzata nelle Costituzioni delle democrazie popolari, create nei Paesi occupati dall’Armata Rossa alla fine della Seconda guerra mondiale, e non piacque ai democristiani, ai socialisti riformisti, ai repubblicani, ai liberali. «Fondata sul lavoro», quindi, fu il risultato di un compromesso, un minor male rispetto alla formula proposta dal partito di Togliatti. Ma occorre riconoscere che l’omaggio al lavoro era gradito anche al cattolicesimo sociale che ispirava allora una parte importante della Democrazia cristiana. Fu spiegato che nella sua redazione definitiva l’articolo 1 avrebbe sepolto, una volta per tutte, i privilegi sociali dello Stato monarchico. Sarebbe scomparso lo Stato «feudatario» dei baroni, dei padroni, dei «galantuomini», delle persone che davano del tu agli umili ma esigevano per sé il lei o il voi. I cittadini lavoratori sarebbero stati tutti eguali di fronte alla legge e l’unico «titolo di dignità», come scrisse un grande giurista, Costantino Mortati, sarebbe stato il lavoro. In questa scelta ideologica, per la verità, vi fu più continuità che rottura. Anche il fascismo, negli anni precedenti, aveva concepito uno «Stato dei produttori» in cui l’industriale e l’operaio, il proprietario terriero e il contadino, il direttore e l’impiegato sarebbero stati uniti da una stessa funzione nazionale nell’ambito dello Stato corporativo. In realtà la sostanziale parità dei diritti fu un processo graduale, non ancora compiuto e dovuto soprattutto all’evoluzione della società piuttosto che a una grida retorica collocata all’inizio di un testo costituzionale. Le Costituzioni sono tanto più utili quanto più si concentrano sulle istituzioni, sui loro compiti e sul loro funzionamento. Oggi, per di più, quell’articolo è diventato involontariamente ironico. Il lavoro continua a essere la migliore misura della dignità della persona, ma esiste una parte importante della classe politica del Paese che al lavoro preferisce il vitalizio, la sinecura, la poltrona, la tangente, il malaffare, lo scambio di favori e quella pioggia di benefici che molti eletti, per esempio, hanno distribuito a sé stessi. Non giova alla credibilità di una Costituzione, ormai invecchiata, cominciare con parole che suscitano nel lettore un amaro sorriso.