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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA COMMISSIONE GRANDI RISCHI SI DIMETTE


REPUBBLICA.IT - CRONACA
ROMA - L’attività di previsione e prevenzione dei grandi rischi è a un passo dalla paralisi. La denuncia arriva dal Dipartimento della protezione civile dopo che il presidente della Commissione Grandi rischi, il fisico Luciamo Maiani, ha annunciato le sue dimissioni come conseguenza della sentenza del tribunale dell’Aquila 1. Si arriverà alla paralisi, nota il Dipartimento, "poiché è facile immaginare l’impatto di questa vicenda su tutti coloro che sono chiamati ad assumersi delle responsabilità in questi settori considerati i pilastri di una moderna Protezione civile".

Il rischio, si sottolinea ancora, "è che si regredisca a oltre vent’anni fa, quando la Protezione civile era solo soccorso e assistenza a emergenza avvenuta. Oppure che chi è incaricato di valutare finisca per alzare l’allerta al massimo livello ogni qualvolta i modelli previsionali forniscano scenari diversificati, generando una crescita esponenziale di allarmi che provocheranno assoluta sfiducia nei confronti di chi li emette o situazioni di panico diffuso tra la popolazione". "In entrambi i casi - prosegue la Protezione civile - le Istituzioni, primi fra tutti i sindaci, che per legge hanno l’obbligo di pianificare e prendere decisioni a tutela dei propri cittadini, lo dovranno fare senza il fondamentale supporto di coloro che fino a ieri, avendo le necessarie competenze ed esperienze, fornivano valutazioni
e interpretazioni sui molteplici rischi che interessano il territorio italiano e che da oggi non si sentono più tutelati dal Paese per cui prestano servizio".

"Non vedo le condizioni per lavorare serenamente", ha spiegato Maiani annunciando il suo passo indietro. "Va chiarito che le nostre consulenze sono gratuite - ha detto ancora Maiani - Il governo - ha aggiunto il fisico ed ex presidente del Cnr ed ex Dg del Cern - dovrà ora affrontare il problema dell’allontanamento degli scienziati dalle istituzioni pubbliche". Poi ha concluso: "Al momento non conosciamo le motivazioni della sentenza né il percorso concettuale del giudice, però conosciamo quello del pm e da qui non vedo le condizioni necessarie per continuare".

Dopo di lui si è dimesso l’intero ufficio di presidenza della Commissione nazionale, composto oltre che dal presidente Maiani, dal presidente emerito Giuseppe Zamberletti e dal vicepresidente, Mauro Rosi. Le dimissioni, si legge in una nota del Dipartimento della Protezione Civile, sono state rassegnate questa mattina al presidente del Consiglio dei ministri.

’’Il nostro gesto è a difesa della comunità scientifica e delle garanzie per il modo della ricerca’’, ha detto Giuseppe Zamberletti, ’padre’ della Protezione civile italiana. ’’Il rischio - spiega il presidente emerito della commissione Grandi Rischi- è che gli scienziati non se la sentano più di esprimere liberamente il risultato delle proprie conoscenze. Che garanzie hanno che gli studi fatti non possano diventare oggetto di una responsabilità penale? Questo non avviene in nessuna parte del mondo...Il problema -ha rimarcato Zamberletti - è riuscire a dare una normativa che, salvo i casi di dolo o di grave negligenza o colpa, tuteli la ricerca. Adesso si è creato il terrore: se gli esperti esprimono un parere e c’è la minaccia di un procedimento penale, si perde serenità nel giudizio. Ci sono restrizioni che possono frenare la libera ricerca’’.

E, dopo le dimissioni dei vertici, lasciano altri membri della commissione Grandi Rischi. Fra i primi ad averle rassegnate c’è Roberto Vinci, direttore dell’Istituto per le tecnologie della costruzione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), che oggi ha scritto al presidente del Consiglio, Mario Monti. ’’Al momento - ha detto Vinci - alcuni membri si sono dimessi, mentre altri si vogliono autosospendere’’. La decisione di dimettersi, ha detto Vinci, si devono a due motivi: il primo, spiega, è una sorta di ’’autodifesa’’: ’’ho visto che cosa è successo e ho pensato alla mia famiglia, conosco le persone condannate e sono persone per bene. Scatta l’autodifesa quando si è sotto attacco per un fraintendimento totale delle responsabilità. Il tipo di accusa e di pena mi hanno fatto pensare ai tempi dei Giacobini’’. Il secondo motivo delle dimissioni è voler ’’dare un segnale, per quanto valga in questo Paese, di un appoggio al persone che, forse per aver agito con una certa ingenuità e certamente sotto il peso di una grande pressione , sono state accusate di omicidio multiplo’’.
Il Dipartimento, inoltre, ha informato che il professor Mauro Dolce ha presentato le sue dimissioni da direttore dell’Ufficio III - Rischio sismico e vulcanico.
(23 ottobre 2012)

LETTERA DI GIUSTINO PARISSE
Ho saputo della sentenza di condanna per i componenti della commissione Grandi Rischi poco dopo le 17 di ieri dal sito internet del mio giornale. Ero nella stanzetta di legno della redazione aquilana del Centro. Solo. Poche ore prima avevo deciso di non andare ad assistere al momento conclusivo del processo. Ho avuto lo stesso rifiuto che ebbi quando non volli vedere i miei due figli senza vita. Per me tutto è finito alle 3.32 del sei aprile del 2009. Quello che è accaduto (e accade) dopo non ha contorni precisi e ne afferro a fatica il senso. Ho pianto anche ieri, in silenzio. Non erano lacrime di soddisfazione.
Era il dolore che esplodeva nello stomaco quasi a togliere il fiato. Ho rivisto attimo per attimo i momenti in cui le macerie si sono portate via i miei ragazzi e quell’urlo «Papà , Papà» è tornato a incidere la carne. Eppure anche di fronte a una condanna tanto dura non riesco a immaginare quegli uomini, che ora potrebbero rischiare il carcere, come gli assassini dei miei figli. Nei mesi scorsi, anche durante il processo, ho stretto la mano ad alcuni di loro e non le ho trovate sporche di sangue. Ho visto uomini fragili forse consapevoli di aver sbagliato e per questo caduti nel vortice di una tragedia che ha finito per travolgere anche loro. No. Non me la sento di gridargli contro la mia rabbia. Quella continuo a gridarla a me stesso. Sono io la causa prima della morte di Domenico e Maria Paola e non me lo perdonerò mai. Certo fra le tante colpe che ho c’è anche quella di essermi fidato della commissione Grandi Rischi credendo a una scienza che in quella riunione del 31 marzo del 2009 rinunciò a essere scienza. Questa è una condanna in un processo di primo grado. Credo di essere facile profeta a ipotizzare che nei vari gradi di giudizio tutto potrebbe sciogliersi come neve al sole. Non sarò io a dolermene. Oggi a fronte di una sentenza presto destinata alla polvere degli archivi, non provo nulla: né soddisfazione, né amarezza, né voglia di vendetta. Quando dentro si ha un dolore così lancinante gli altri sentimenti si inabissano.
Questo processo è stata una sconfitta per tutti. E’ lo Stato che ha condannato se stesso. Uno Stato che in quel 31 marzo 2009 aveva rinunciato al suo ruolo: quello di proteggere i cittadini per piegarsi alla volontà della politica che doveva mettere a tacere i disturbatori. E’ per questo che quello che si è svolto nel tribunale dell’Aquila non è stato un processo alla scienza. E’ stato piuttosto un processo a scienziati che di fronte al volere dei potenti dell’epoca hanno "staccato" il cervello e obbedito agli ordini. Oggi condannarli al rogo non serve. Io non lo faccio e spero che anche il loro tormento interiore _ che pure non ha nulla a che spartire con chi ha perso tutto _ venga compreso e rispettato. Le sentenze vanno sempre accettate e lo avrei fatto anche in caso di assoluzione. Per me dopo questa condanna che suona obiettivamente molto pesante, non cambia nulla. Ora assisterò a dibattiti senza fine sulla scienza condannata per non aver previsto il terremoto.
Io sono fra quelli che ha sollecitato l’avvio dell’indagine con un esposto. L’ho fatto perché volevo che quella vicenda (la riunione della Grandi Rischi) venisse scandagliata e approfondita in un’aula di tribunale: oggi, 2012, basta leggere i comunicati della Protezione civile per scorgere persino un eccesso di zelo come quando pochi giorni fa su Roma era stato previsto il diluvio universale. Ma è meglio così. Quando si tratta di fenomeni della natura soprattutto quelli che non sono prevedibili con certezza meglio allarmare che rassicurare. Se fosse accaduto anche all’Aquila che so, avrei passato qualche notte all’addiaccio ma la vita dei miei figli non si sarebbe fermata per sempre. Ho visto che nella sentenza si parla di risarcimenti. Sin dal primo momento ho detto che per la morte dei miei figli non voglio nemmeno un euro. Ci sarebbe un solo modo per essere risarcito per ciò che è accaduto: avere la possibilità di abbracciare di nuovo i miei ragazzi. E’ successo una settimana fa. Sognavo. Poi mi sono svegliato.

REPUBBLICA.IT - ODIFREDDI
Il tribunale dell’Aquila ha condannato a sei anni sette componenti della Commissione Grandi Rischi, rei di non aver previsto e annunciato il terremoto dell’Aquila. Sia l’accusa che la sentenza nei confronti degli esperti sono tipiche espressioni dell’atteggiamento distorto e contradditorio che si ha in Italia nei confronti della scienza.
Da un lato, la si ritiene onnisciente, al punto da considerare un miracolo tutto ciò che essa non è in grado (ancora) di prevedere o spiegare. Dunque, da essa si pretende che sia in grado di prevedere e spiegare qualunque cosa, senza capire che i veri miracoli sono appunto le previsioni e le spiegazioni che la scienza riesce (già) a dare, nonostante il mondo sia per sua natura largamente imprevedibile e inspiegabile.
Dall’altro lato, si ritiene che l’ignoto e l’inaccessibile esistano soltanto per coloro che si limitano alle spiegazioni scientifiche. E che diventino invece noti e accessibili attraverso gli strumenti irrazionali e ineffabili del pensiero magico e religioso. Di qui il disinvolto uso complementare che viene fatto della scienza e della religione, che per loro natura sono invece contrapposte e incompatibili.
Il risultato di questa schizofrenia intellettuale, è testimoniato dall’atteggiamento popolare di fronte alle malattie. La guarigione, soprattutto nei casi più gravi e disperati, viene infatti più volentieri attribuita alle preghiere, che all’efficacia delle cure mediche somministrate. La mancata guarigione, al contrario, viene invece imputata più al fallimento delle cure mediche, che all’inutilità delle preghiere.
La sentenza dell’Aquila rientra in questo paradigma comodo e demenziale. La ragione, o anche solo il buon senso, dovrebbero portare a ringraziare gli scienziati per ciò che sanno e riescono a fare, e non a condannarli per ciò che non sanno e non possono fare: come le previsioni dei terremoti, appunto, che ancora non sono sicure neppure in Giappone, figuriamoci in Italia.
Ma se proprio vogliamo prendercela con qualcuno, perché non condannare per il mancato avvertimento del terremoto il vescovo e i parroci della città? In fondo, essi pretendono di essere alle dipendenza di qualcuno che del terremoto, secondo la loro visione del mondo, dovrebbe essere il primo responsabile. Invece di preoccuparsi di restaurare le chiese, perché non maledire il perverso principale, arrestarne gli inutili accoliti, e smettere di molestare la povera gente che fa onestamente il suo umano, e dunque imperfetto, lavoro?

E’ la fine di marzo 2009, la città abruzzese da quattro mesi è ostaggio di uno sciame sismico e una nuova scossa di magnitudo 4.1 Richter ha appena fatto crescere la paura. Il responsabile della Protezione Civile racconta al telefono che sta organizzando una riunione di tecnici (la Commissione Grandi Rischi) al solo scopo di tranquillizzare la popolazione. Gli esperti vennero, dissero che non c’era da preoccuparsi. Sette giorni dopo, la tragedia

CORRIERE.IT
La prima conseguenza della sentenza di condanna emessa lunedì nei confronti dei componenti della ex commissione Grandi rischi è «la paralisi delle attività di previsione e prevenzione». Lo afferma il Dipartimento della Protezione civile.
« A RISCHIO ALTRE PROFESSIONALITA’»- Secondo la Protezione civile «tocca invece pesantemente altre realtà e professionalità cardine del servizio nazionale della protezione civile: a partire dalle centinaia di tecnici dei centri funzionali e dei centri di competenza che ogni giorno si occupano di monitorare, sorvegliare e valutare i fenomeni naturali al fine dell’allertamento delle amministrazioni e delle strutture operative». Ma, secondo la Protezione civile, «anche i moltissimi professionisti dei numerosi Ordini che gratuitamente e volontariamente mettono a disposizione il proprio tempo e la propria esperienza in emergenza. Ultimo esempio, in tal senso - conclude il dipartimento - è stato il lavoro svolto nella fase post-sisma in Emilia, dove hanno contribuito allo svolgimento di decine di migliaia di verifiche di agibilità degli edifici danneggiati».
LE DIMISSIONI DI MAIANI - Lo aveva annunciato lunedì, martedì il fisico Luciano Maiani ha agito di conseguenza e si è dimesso da presidente della commissione Grandi Rischi:«Non è possibile fornire allo Stato una consulenza in termini sereni, professionali e disinteressati sotto questa folle pressione giudiziaria e mediatica». E non ha lasciato solo Maiani. Dopo di lui, a quanto pare, arriveranno le dimissioni di tutti i vertici della commissione Grandi Rischi: dal vicepresidente Mauro Rosi e quelle del presidente emerito, on. Giuseppe Zamberletti. Intanto è una levata di scudi generale da parte dei sismologi americani a difesa dei colleghi italiani: i commenti sulla sentenza variano da «assurda» a «vergognosa».

FARKAS SUL CORRIERE
NEW YORK – “La sentenza dell’Aquila contro i sette scienziati della Commissione Grandi Rischi è una vergogna”, dichiara Thomas Jordan, il più famoso sismologo americano, responsabile del Centro terremoti per il Sud della California, che nel 2009 presiedette il panel di esperti nominato dal Governo Italiano dopo il sisma abruzzese. «E’ incredibile», spiega al Corriere.it, «che si possa accusare di omicidio colposo scienziati che, dietro incarico di un’agenzia governativa, stavano cercando di fare al meglio il loro lavoro in circostanze molto ostiche. Il tribunale non ha attributo la responsabilità al vero colpevole».

Che cosa intende dire?

«La gestione delle iniziative e mobilitazioni pubbliche, in casi di crescente pericolo, è responsabilità dei politici, non certo degli scienziati, la cui condanna non è giustificata dalle prove presentate al processo. Gli esperti non potevano, e non possono ancora oggi, prevedere i terremoti».

Neppure quelli più imminenti?

«Non ci sono tecniche per la previsione di breve termine di forti terremoti. La Commissione internazionale sul sisma voluta dal Governo Italiano che io ho presieduto ha rivisto tutti i metodi pubblicati su come anticipare i terremoti ed io stesso sono stato d’accordo con le conclusioni del rapporto finale».

Secondo alcuni, le scosse iniziali erano il campanello d’allarme che gli scienziati hanno scelto di ignorare.

«Quest’affermazione è errata. Le scosse che precedettero il sisma dell’Aquila indicavano un aumento nel rischio di movimenti tellurici, ma storicamente tali tremori sono in grado di prevenire solo l’1% dei terremoti in un arco di tre giorni. Solo uno sciame sismico su 30 è seguito da un forte terremoto».

I sismologi americani cambieranno i loro modelli statistici di previsione dopo questa sentenza?

«No, i modelli statistici si basano su prove scientifiche, non su opinioni giudiziarie. Gli standard scientifici sono molto più rigorosi di quelli legali».

Che effetto avrà questo verdetto tra la comunità scientifica internazionale?

«Tutti sanno che in Italia, prima del terremoto dell’Aquila, il sistema di allerta dei pericoli sismici era difettoso. Eppure questo verdetto fermerà ogni tentativo di riforma. Temo che molti scienziati da oggi preferiranno tenere la bocca chiusa. Ciò non aiuterà chi si batte da anni per migliorare la comunicazione tra scienziati e cittadini durante un disastro naturale».

Una sentenza del genere sarebbe stata possibile in Usa?

«No, il processo è stato celebrato all’Aquila da un pubblico ministero e un giudice entrambi di quella città: un chiaro conflitto d’interessi. Il sistema giudiziario americano non avrebbe mai consentito a scienziati che lavorano per il bene pubblico di essere processati e giudicati da individui coinvolti personalmente nella tragedia e quindi prevenuti. Spero che questa condanna sarà revocata in appello in una corte meno parziale».
Alessandra Farkas

APPELLO DEGLI SCIENZIATI USA
Gli scienziati americani della Union of Concerned Scientists, una influente Ong statunitense, si schierano contro la sentenza di condanna dei sette membri della Grandi Rischi per il terremoto dell’Aquila. Si tratta di una decisione «assurda e pericolosa», si legge nel comunicato emesso dall’associazione: «Il presidente Napolitano dovrebbe» intervenire.
INDIGNAZIONE - Secondo i professori americani condanne di questo genere rischiano di «scoraggiare scienziati e funzionari dal consigliare i loro governi o persino dal lavorare nel campo della sismologia o della valutazione del rischio sismico». Indignato Tom Jordan, il responsabile del Centro terremoti per il sud della California e che aveva fatto parte di una commissione internazionale riunitasi dopo il sisma abruzzese del 2009. «Per me è incredibile - ha detto - che scienziati che stavano solo tentando di fare il loro lavoro siano stati condannati per omicidio colposo. Il sistema aveva delle falle ma il verdetto seppellisce qualsiasi tentativo di migliorare le cose».
L’ASSOCIAZIONE - Critica anche l’Associazione americana per l’avanzamento della Scienza (AAAS) per la quale anni di ricerche hanno dimostrato che «non c’è un metodo scientifico accettato per la previsione dei terremoti che possa essere usata in modo affidabile per avvertire i cittadini del disastro imminente». Di qui il pericolo che le condanne «rallentino le ricerche e blocchino il libero scambio di idee necessario per il progresso scientifico».
Redazione Online

CORRIERE.IT - SERGIO RIZZO
Abbiamo capito perché la commissione Grandi rischi si chiama così. I Grandi rischi sono quelli che corrono i suoi componenti, come si deduce dalla sentenza che li ha condannati a sei anni di prigione per non aver previsto il devastante terremoto dell’Abruzzo. Qui non è in discussione il merito della decisione dei giudici, a proposito della quale va comunque ricordato che non esiste alcun precedente a livello mondiale. Ma le conseguenze di una tanto singolare interpretazione del concetto di giustizia non possono essere taciute.
La più immediata è la delegittimazione della stessa commissione Grandi rischi, che stando a quella sentenza sarebbe formata da incompetenti assoluti. La più evidente è invece lo sconcerto planetario suscitato dalla notizia che in Italia esperti considerati responsabili della mancata previsione di un terremoto, a differenza dei loro colleghi giapponesi o americani che a casa loro non hanno evidentemente saputo fare di meglio, vengono spediti in galera per omicidio. La più preoccupante, tuttavia, è che d’ora in poi non ci sarà uno scienziato disposto a far parte di quella commissione, sapendo di poter andare incontro a pesantissime condanne penali per non aver indovinato il verificarsi di una scossa catastrofica.
Sanzioni che invece non hanno mai neppure sfiorato i veri responsabili dei disastri. Per esempio, certi amministratori che non si sono accorti di palazzine spuntate come funghi nei letti dei fiumi. Per esempio, i politici nazionali che pensando soltanto al consenso hanno approvato tre condoni edilizi, e quelli locali che ne hanno promessi decine, alimentando così la piaga dell’abusivismo: ben sapendo come in un Paese fragilissimo si sarebbero condonate milioni di costruzioni prive di qualunque precauzione asismica. Per esempio, gli autori di piani regolatori sconsiderati che hanno consentito all’Italia di conseguire il deprecabile record nel consumo del suolo, in molti casi senza nemmeno verifiche geologiche accurate né prescrizioni di elementari prudenze costruttive. Non ci dice forse questo l’ultimo terribile, e già dimenticato, terremoto dell’Emilia-Romagna e della Lombardia con la strage dei capannoni industriali?
Per riparare ai danni di tutti gli eventi sismici che si sono susseguiti dal 1968 al 2003, non considerando quindi le tragedie dell’ultimo decennio, abbiamo speso l’equivalente di 162 miliardi di euro. Senza calcolare ovviamente le vite umane: quelle non hanno prezzo. Avendo più cura per l’ambiente e il modo di costruire, forse, non si sarebbe potuto evitare tutto questo. Ma buona parte sì. Secondo i tecnici sarebbero stati sufficienti fra i 25 e i 41 miliardi per mettere in sicurezza sismica il patrimonio edilizio. Risparmiando tanto dolore.
E di una cosa almeno siamo sicuri. Se non è stato fatto, non è per colpa di scienziati incapaci di prevedere i terremoti.

DAL CORRIERE DI OGGI
Non se l’aspettava nessuno una condanna a due anni più di quelli chiesti dal pm, per scienziati ed esperti che 5 giorni prima del terremoto si riunirono all’Aquila per valutare quelle scosse sempre più frequenti, su richiesta dell’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso. «In modo da zittire qualsiasi imbecille», «li faccio venire all’Aquila da te» «in modo che è più un’operazione mediatica», disse Bertolaso all’assessore alla protezione civile Daniela Stati in una telefonata intercettata.

Nella requisitoria il pm ha analizzato le posizioni dei vertici amministrativi ma ha ritenuto di non poterli considerare responsabili «perché non avevano competenze tecniche». «Ora chiediamo giustizia anche per il dopo» ha detto Cialente.

DAL CORRIERE DI OGGI ANNA MELDOLESI
A l Tribunale dell’Aquila, ieri, c’erano inviati da tutto il mondo, da Al Jazeera alla tv giapponese. La notizia del verdetto ha meritato l’occhiello delle occasioni importanti sui media stranieri, breaking news, e i commenti sono stati ovunque all’insegna dello sconcerto. Sembra un paradosso ma non lo è: sin dall’inizio la comunità internazionale ha compreso meglio di noi la posta in gioco di questo processo kafkiano. Degli scienziati accusati di omicidio colposo plurimo per aver preso parte alla riunione di una commissione e aver rassicurato la popolazione locale, pochi giorni prima che una scossa distruttiva facesse il suo sporco lavoro. E adesso c’è anche una pena severa, che forse placherà il dolore dei parenti delle vittime (forse), ma non rende giustizia e potrebbe complicare la gestione delle future emergenze.
La rivista New Scientist ha rilanciato un commento scritto da Thomas Jordan prima del verdetto. Lo studioso di scienze della Terra ha presieduto il panel di esperti nominato dal Governo italiano dopo il disastro dell’Aquila e afferma: «Non vedo che senso abbia processare dei servitori dello Stato che cercavano in buona fede di proteggere la cittadinanza in circostanze caotiche. Con il senno di poi la mancata capacità di comunicare l’entità del pericolo appare incresciosa, ma le inazioni di una commissione sotto stress non possono essere rappresentate come atti criminali dei singoli membri». La lezione da imparare, secondo Jordan, è che il ruolo dei consulenti scientifici va separato da quello dei decisori politici. I primi hanno il compito di fornire informazioni obiettive sui rischi naturali, i secondi devono controbilanciare i benefici delle misure precauzionali e il costo dei falsi allarmi.
Ma queste due anime, nel policy-making italiano, sono da sempre maldestramente intrecciate. Quando arriverà il prossimo sciame sismico o la prossima minaccia di alluvione, che effetto avrà sugli esperti il precedente dell’Aquila? Se lo chiedono anche fuori dai nostri confini e così rispondono. «Spero che gli italiani si rendano conto di quanto sono arretrati questo processo e questo verdetto» (Erik Klemetti, professore di scienze della Terra in Ohio). «È fondamentale che gli scienziati siano capaci di suggerire i modi per mitigare e valutare i rischi senza essere ritenuti penalmente responsabili» (Ted Nield della rivista Geoscientist). Parole simili a quelle, pesanti come pietre, pronunciate dall’attuale presidente della Commissione grandi rischi Luciano Maiani. Bill McGuire, geofisico britannico, ci manda a dire che «ogni scienziato che lavora nel campo dei disastri naturali ci penserà due volte prima di fare una previsione, anche se pensa di avere abbastanza dati per fornirne una affidabile. Nella peggiore delle ipotesi si potrebbe arrivare a una moratoria delle previsioni di ogni tipo e allora il bilancio di morti e devastazioni sarebbe ben più grave di quello dell’Aquila». L’organizzazione britannica «Sense about Science» parla per bocca della direttrice Tracey Brown: «Invece di criminalizzare gli scienziati, i governi dovrebbero lavorare per comprendere e comunicare l’incertezza quando ricevono una consulenza scientifica». Giustissimo, ma ancora più importante è il messaggio che consegna all’Italia Ian Main, sismologo di Edimburgo. Smettiamola di perdere tempo con i capri espiatori. «Prima il focus sarà spostato sul miglioramento degli standard di costruzione sull’esempio di California e Giappone, meno vittime vedremo negli anni a venire».