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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

Mentre procede il contestato cammino del decreto che modifica le norme sulla diffamazione a mezzo stampa, vengono rese note le motivazioni della sentenza della cassazione con la quale Sandro Sallusti, direttore de il Giornale, è stato condannato al carcere

Mentre procede il contestato cammino del decreto che modifica le norme sulla diffamazione a mezzo stampa, vengono rese note le motivazioni della sentenza della cassazione con la quale Sandro Sallusti, direttore de il Giornale, è stato condannato al carcere. La reazione di Sallusti è stata durissima: «Ho depositato la rinuncia all’affidamento ai servizi sociali, quindi la procura se non è vigliacca deve avere il coraggio di venirmi ad arrestare e può farlo anche subito». Proprio il «caso Sallusti», per un articolo pubblicato su Libero all’epoca in cui ne era direttore, ha messo in moto l’intervento legislativo, ma d’altra parte il testo, con emendamenti e integrazioni, pur cancellando il carcere per i giornalisti, introduceva una serie di norme che apparivano come una nuova minaccia , soprattutto per le snazioni economiche, alla libertà di stampa. Di qui il rallentamento dell’iter. LA CASSAZIONE - È legittimo il carcere nei confronti del direttore del Giornale Alessandro Sallusti per diffamazione a mezzo stampa del giudice Giuseppe Cocilovo. Lo sottolinea la quinta sezione penale della Cassazione, rilevandonelle motivazioni della sentenza n.41249 depositata oggi che «la storia e la razionale valutazione di questa vicenda hanno configurato i fatti e la personalità del loro autore, in maniera incontrovertibile, come un’ipotesi eccezionale, legittimante l’inflizione della pena detentiva». Aggiunge la Cassazione: «Il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza si confrontano da tempo» sul tema della «concezione pluridimensionale della finalità della pena», ma «senza raggiungere una condivisa scelta e una razionale e coerente riforma». «NOTIZIA FALSA E DIFFAMATORIA» - Al magistrato, si legge ancora nella sentenza, è stato accreditato, nell’articolo a firma Dreyfus, «un inesistente ruolo di protagonista nella procedura dell’aborto, rappresentata come cerimonia sacrificale di una vita umana, in nome della legge» e attribuito una «funzione e un’immagine di crudele e disumano ’giustiziere’, meritevole di esser posto nella gogna mediatica con la qualifica di ’assassino’». Correttamente, secondo la Suprema Corte, «risulta provata la partecipazione del direttore» nella condotta di diffamazione, anche perchè «il dolo risulta ulteriormente rafforzato sia dalla mancata rettifica della notizia palesemente falsa e diffamatoria, sia dal ritorno sulla medesima vicenda, che traspare dalla pubblicazione di un altro articolo di un avvocato, il successivo 23 febbraio, in cui si prospettano dubbi e perplessità sullo svolgimento corretto dei fatti, ma non si accenna assolutamente alla volontà di restituire credito al magistrato». SALLUSTI - «Non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio» ha dichiarato Sallusti a proposito delle motivazioni della sentenza di condanna. «Il mio non è uno sfogo ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura. Non si può giocare con la vita delle persone. Non si dà del delinquente ad un giornalista che non ha mai avuto condanna penale - aggiunge Sallusti -. Non c’è nessuna reiterazione del reato, c’è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perchè non si cita nessuno e si parla per assurdo».Non si può dare del delinquente - conclude - a un giornalista che non ha mai subito altre condanne». COMMISSIONE - La commissione Giustizia del Senato ha approvato il disegno di legge sulla diffamazione, dando all’unanimità mandato al relatore per la presentazione in Aula. Le multe restano da 5 mila a 100 mila euro, ma è stato approvato un emendamento secondo cui sono commisurate alla gravità dell’offesa e alla diffusione della testata. I DANNI - È stato approvato inoltre un emendamento che affida al giudice il compito di decidere la multa in base alla gravità del danno e alla diffusione del periodico. Ritirata, invece, la norma cosiddetta «anti-Gabanelli» che mirava a rendere nulle le clausole contrattuali che addebitano all’editore il risarcimento sollevando il giornalista dalla responsabilità civile. Felice Casson (Pd) ha spiegato che Giacomo Caliendo (Pdl) ha ritirato tale norma perché in commissione ci sarebbe stato un voto contrario. Ma Caliendo potrebbe ripresentare l’emendamento in aula. È stata tolta dal ddl anche la riparazione pecuniaria. Confermata invece l’interdizione dalla professione da 1 a 6 mesi, che può essere prolungata fino a 3 anni in caso di recidiva. Inserita anche l’aggravante per la diffamazione organizzata, che la relatrice Della Monica battezza «anti-macchina del fango», che subentra quando la diffamazione viene attuata in modo doloso da più attori, oltre che dall’autore dell’articolo. Per i siti internet, le pene si applicheranno solo alle testate giornalistiche diffuse anche online. Redazione Online