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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

QUELL’INTRECCIO MALDESTRO TRA SCIENZA E POLITICA

Al Tribunale dell’Aquila, ieri, c’erano inviati da tutto il mondo, da Al Jazeera alla tv giapponese. La notizia del verdetto ha meritato l’occhiello delle occasioni importanti sui media stranieri, breaking news, e i commenti sono stati ovunque all’insegna dello sconcerto. Sembra un paradosso ma non lo è: sin dall’inizio la comunità internazionale ha compreso meglio di noi la posta in gioco di questo processo kafkiano. Degli scienziati accusati di omicidio colposo plurimo per aver preso parte alla riunione di una commissione e aver rassicurato la popolazione locale, pochi giorni prima che una scossa distruttiva facesse il suo sporco lavoro. E adesso c’è anche una pena severa, che forse placherà il dolore dei parenti delle vittime (forse), ma non rende giustizia e potrebbe complicare la gestione delle future emergenze.
La rivista New Scientist ha rilanciato un commento scritto da Thomas Jordan prima del verdetto. Lo studioso di scienze della Terra ha presieduto il panel di esperti nominato dal Governo italiano dopo il disastro dell’Aquila e afferma: «Non vedo che senso abbia processare dei servitori dello Stato che cercavano in buona fede di proteggere la cittadinanza in circostanze caotiche. Con il senno di poi la mancata capacità di comunicare l’entità del pericolo appare incresciosa, ma le inazioni di una commissione sotto stress non possono essere rappresentate come atti criminali dei singoli membri». La lezione da imparare, secondo Jordan, è che il ruolo dei consulenti scientifici va separato da quello dei decisori politici. I primi hanno il compito di fornire informazioni obiettive sui rischi naturali, i secondi devono controbilanciare i benefici delle misure precauzionali e il costo dei falsi allarmi.
Ma queste due anime, nel policy-making italiano, sono da sempre maldestramente intrecciate. Quando arriverà il prossimo sciame sismico o la prossima minaccia di alluvione, che effetto avrà sugli esperti il precedente dell’Aquila? Se lo chiedono anche fuori dai nostri confini e così rispondono. «Spero che gli italiani si rendano conto di quanto sono arretrati questo processo e questo verdetto» (Erik Klemetti, professore di scienze della Terra in Ohio). «È fondamentale che gli scienziati siano capaci di suggerire i modi per mitigare e valutare i rischi senza essere ritenuti penalmente responsabili» (Ted Nield della rivista Geoscientist). Parole simili a quelle, pesanti come pietre, pronunciate dall’attuale presidente della Commissione grandi rischi Luciano Maiani. Bill McGuire, geofisico britannico, ci manda a dire che «ogni scienziato che lavora nel campo dei disastri naturali ci penserà due volte prima di fare una previsione, anche se pensa di avere abbastanza dati per fornirne una affidabile. Nella peggiore delle ipotesi si potrebbe arrivare a una moratoria delle previsioni di ogni tipo e allora il bilancio di morti e devastazioni sarebbe ben più grave di quello dell’Aquila». L’organizzazione britannica «Sense about Science» parla per bocca della direttrice Tracey Brown: «Invece di criminalizzare gli scienziati, i governi dovrebbero lavorare per comprendere e comunicare l’incertezza quando ricevono una consulenza scientifica». Giustissimo, ma ancora più importante è il messaggio che consegna all’Italia Ian Main, sismologo di Edimburgo. Smettiamola di perdere tempo con i capri espiatori. «Prima il focus sarà spostato sul miglioramento degli standard di costruzione sull’esempio di California e Giappone, meno vittime vedremo negli anni a venire».
Anna Meldolesi