Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 23/10/2012, 23 ottobre 2012
I VOLI DI CROCETTA «TRAPEZISTA» DELLE DUE SICILIE
«Diciamocelo: che cosa funziona davvero bene in Sicilia? La manciugghia! La mazzetta! Lu guadagnu illècitu! La corruzione!». Venisse a dire cose del genere un polentone settentrionale, in queste piazze della Sicilia profonda, apriti cielo! Rosario Crocetta, invece, ci sta facendo la campagna elettorale.
Mica facile, l’offensiva dell’ex sindaco di Gela, obbligato a dare battaglia in nome del Pd e dell’Udc su tutte le cose che sull’isola vengono rinfacciate anche ai partiti che lo sostengono. Un esercizio da spericolato trapezista. Da una parte lo attacca la destra rinfacciandogli di rappresentare i partiti che si sono compromessi con Raffaele Lombardo. Dall’altra Beppe Grillo lo accusa di essere una foglia di fico scelta da Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini per coprire pudicamente l’imbarazzo dei loro movimenti per l’alleanza con l’ex governatore. E lui lì, una Marlboro in una mano e l’accendino nell’altra, a camminare sul filo. E a martellare là dove il suo partito pensosamente invita da anni a non insistere per «non eccitare l’antipolitica».
Ed eccolo arringare i compagni di Marineo, sulla strada per Corleone: «Esiste una Regione al mondo che ha avuto otto presidenti presto o tardi finiti in carcere? La nostra!». Boato. «Esiste una Regione dove gli ultimi due presidenti sono finiti nei guai per i rapporti con la mafia? La nostra!». Boato bis. «Possiamo sopportarla ancora una Regione così?». E la folla: «Nooooo!».
Ma certo, vecchia volpe della politica dai tempi in cui era un figiciotto, Crocetta sa bene di dovere anche lisciare il pelo ai compatrioti. Cita proverbi: «Dissi lu surgi a la nuci: dunimi tempu ca ti spirtusu!», disse il topo alla noce: dammi tempo che prima o poi riuscirò ad aprirti. Risveglia antiche fierezze: «Quando il Medioevo per l’Europa era fame, buio e miseria Palermo con Bisanzio era il faro del Mediterraneo!». Titilla vecchie vanità: «La metà delle bellezze del mondo riconosciuta dall’Unesco è nella nostra isola! Nessuno può offrire ciò che offriamo noi!».
E via così. Una sigaretta e un punto esclamativo, una sigaretta e un punto esclamativo... E attacca «le cricche degli amici e degli amici degli amici che si sono mangiate i soldi dei siciliani!». Minaccia: «Con le difficoltà finanziarie di oggi abbiamo due sole alternative: essere cattivi con i poveri o essere cattivi con le caste. Io voglio colpire le caste!». Randella contro i maxi stipendi: «Non possiamo accettare che ci siano dirigenti che guadagnano 600 mila euro l’anno e appena insediato chiuderò quell’ente inutile dove c’è un solo dipendente e un dirigente da 260 mila euro!». Giura che, se dovesse vincere, non tollererà certi andazzi: «È inaccettabile che un deputato e quattro funzionari regionali, dopo essere stati arrestati per corruzione, siano ancora lì al loro posto». Denuncia gli sprechi della sanità: «In Belgio e in Olanda costa meno che qua ma tutto funziona a meraviglia e se ti mancano i denti te li mettono e invece da noi anche i medici e gli infermieri vengono usati come galoppini della politica!».
Sferza quelli che lo invitano a non parlar troppo di mafia in campagna elettorale: «Io invece ne parlo per dire ai mafiosi: non li voglio i vostri voti, teneteveli». Tuona contro la criminalità che assedia l’agricoltura: «I trasporti all’andata sono in mano al clan Santapaola e al ritorno ai Casalesi e intanto i nostri contadini non vivono più». Sfida: «A me la mafia, che per quattro volte ha cercato di ammazzarmi, mi dovrebbe denunciare per mobbing perché da sindaco a Gela le ho fatto la guerra totale, facendo arrestare in tutto 850 mafiosi. Compagni e amici, per la prima volta la Sicilia può avere un presidente al 100 percento nemico della mafia!». Un torrente in piena. Fino alla raccomandazione finale: «Mettete una crocetta su Crocetta».
Se gli chiedete che rapporto abbia con l’establishment, dopo settimane di sparate contro un mondo che, se anche cambiasse tutto, pretende di essere comunque garantito, si accende l’ennesima sigaretta e soffia: «Mi odiano. Tutti». E chi non lo odia fatica a sopportarlo. Anche dentro il partito e tra gli alleati. Dove solo la necessità di arginare i danni causati dall’abbraccio con Lombardo (prima bollato da Anna Finocchiaro come un uomo «temibilissimo perché ha costruito un sistema di potere clientelare spaventoso che ha riportato la Sicilia al Medioevo» e poi sostenuto dopo il ribaltone) ha fatto digerire ai vecchi satrapi la candidatura di questo sessantenne prodigiosamente senza un capello bianco che i più volgari chiamavano con una risatina «il compagno puppo», omosessuale. «Se vinco», spiega, «è una svolta non solo politica ma culturale enorme».
Ma certo, assicura, lo sa benissimo di fare nelle piazze discorsi che non piacciono a una parte di quanti lo sostengono: «Ma io voglio parlare anche a quelli del non-voto, a quelli dell’antipolitica, a quelli schifati da tante cose, agli indignati...». Dice che la frattura a sinistra, dove Sel, Idv, Verdi e Federazione della sinistra hanno deciso di puntare sulla sindacalista della Fiom Giovanna Marano dopo la caduta della candidatura di Claudio Fava dovuta al pasticcio di non aver cambiato in tempo la residenza, lo ha ferito: «È sempre la vecchia storia della sinistra che si fa male da sola. Si sa come vanno queste cose. Per l’Italia dei valori e per Sel io, che ho scelto il Pd, sono un "traditore". E poi Fava è sempre il più puro, sempre il più santo, sempre il più antimafia... Peccato che le elezioni, in democrazia, bisogna poi vincerle. E lui non ha vinto mai».
Dice che certo, sa di non poter contare più di tanto su padroni dei voti come il compagno Vladimiro Crisafulli, che nonostante le polemiche per i suoi rapporti con personaggi impresentabili è da decenni potentissimo nella roccaforte di Enna: «Già alle Europee ce l’avevo contro: "Votate chiunque meno Crocetta". Poi, però, le elezioni le ho vinte io. Non credo che anche stavolta, anche se non voleva certi candidati, possa giocarmi contro. Il suo popolo stesso non lo perdonerebbe». A farla corta, con l’aria che tira in Sicilia «si può vincere solo rompendo con il passato».
Racconta di aver visitato la settimana scorsa il quartiere di Librino, a Catania: «Lì vedi il degrado, la devianza, il malessere, la miseria economica e culturale. Vedi la mancanza di bellezza. Vedi il fallimento di chi ha governato. A un certo punto arriva una signora e mi fa: "È qui che date i pacchi di pasta?". Le dico: "Signora, questa è una manifestazione politica". E lei: "Appunto"...».
Gian Antonio Stella