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 2012  ottobre 23 Martedì calendario

CHE COSA È LA TOBIN TAX?


Oggi la Commissione europea avvia il cammino verso l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie Tobin Tax per dirla colloquialmente - in undici Paesi dell’Ue. Di che si tratta?

La Tobin Tax è un’imposta alla Robin Hood. Nell’accezione più comune, punta a colpire in modo leggero le transazioni finanziarie con due obiettivi precisi: stabilizzare i loro flussi e favorire un gettito alternativo per le casse pubbliche. In pratica è pensata per togliere ai ricchi e dare a chi a meno.

A cosa deve il nome?

A James Tobin, l’economista americano (1918-2002) che vinse il premio Nobel nel 1981. Fu il primo a lanciare, nel 1972, l’idea di una tassa sui movimenti di capitale. Fu durante una conferenza a Princeton. Disse che poteva essere dello 0,5%, ma sottolineò che era una misura puramente discrezionale.

C’è qualche Paese che ha adottato questa imposta?

Gli svedesi hanno provato nel 1994, con un prelievo dello 0,5% applicato a tutti gli acquisti di titoli azionari e alle stock option. L’imposta venne raddoppiata nel 1986 e allargata sino a comprendere le obbligazioni. Il gettito fu alla fine piuttosto scarso, anche a causa di una massiccia fuga degli operatori dal Paese. È stata abolita nel 1992.

Vuol dire che non funziona?

È chiaro che una Tobin Tax in un solo Paese è destinata a rivelarsi fallimentare. Può avere un effetto sicuro solo se sostenuta a livello globale. È un provvedimento possibile, anche se più rischioso, se c’è una pesante massa critica di stati rilevanti dal punto di vista finanziario.

Qualcun altro ha provato?

A fine 2001 l’assemblea francese ha adottato un’imposta sulle transazioni che nel marzo successivo è stata bocciata dal Senato. Nel 2004 il parlamento belga ha votato una norma che farà entrare automaticamente il vigore la Tobin se essa sarà adottata a livello globale: era un segno di buona volontà. Nel 2005, quando era presidente di turno Ue, l’Austria ha invitato i partner a procedere su questa strada e la Commissione Ue ha rifiutato l’idea. Poi ha cambiato idea. Traendo la lezione della crisi, in ottobre ha messo sul tavolo una proposta per la Tobin Tax.

L’Europa ora varerà la Tobin?

Non tutta l’Unione. Certificata l’impossibilità di procedere a 27 (non c’è l’unanimità, causa inglesi, olandesi e altri), 11 Paesi hanno deciso di ricorrere alla procedura di cooperazione rafforzata. È una possibilità offerta dal Trattato di Lisbona per aggirare i veti. Se almeno nove sono d’accordo, possono legiferare insieme.

Chi sono gli undici?

Germania e Francia, anzitutto. La cancelliera Merkel la vuole per mediare coi socialisti, il presidente Hollande la vuole perché è socialista. Seguono: Spagna, Austria, Belgio, Grecia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia. Attesa la richiesta estone. L’Italia avuto dubbi sino all’ultimo ma è entrata, anche perché non poteva proprio farne a meno».

Adesso che succede?

Oggi la Commissione, braccio esecutivo dell’Ue, presenta la proposta di intesa. Dovrà essere approvata dal Consiglio (cioè dagli stati membri) a maggioranza qualificata (si attende in novembre), quindi dal parlamento europeo. A quel punto, gli undici paesi potranno accordarsi sui dettagli del progetto legislativo.

Quanto vale la tassa?

Si lavora sullo schema varato dalla Commissione lo scorso anno: aliquota possibile dello 0,01 per cento sui derivarti e dello 0,1 per cento su azioni e obbligazioni. Non è deciso dove andrà il ricavato, ma l’Italia lo ha già messo nella legge di bilancio per il 2013.

Quando sarà in vigore?

L’auspicio è al più presto nel 2013. Con la speranza che altri Paesi seguano l’esempio. Più si è, meno instabile è la mossa.

Perché l’Italia non era convinta?

I tecnici delle Finanze temono gli effetti dannosi, come l’aumento delle transazione ombra, una fuga delle banche d’affari e dei loro clienti, persino ripercussioni negative per il collocamento dei titoli di stato. Il governo Berlusconi era contrario, a meno di intesa planetaria, dunque mai. Monti ha capito che l’Italia non poteva lasciare da sole Francia e Germania. E ha corso il rischio.

Ma c’è davvero il rischio di un esodo?

La Commissione europea dice di no. L’argomento è che una banca italiana, per sfuggire alla tassa, dovrebbe chiudere la sede nazionale e rinunciare ai rapporti diretti coi suoi clienti in loco. Dovrebbe lavorare, ad esempio, a Londra su Londra, con clienti residenti fiscalmente nel Regno Unito. A loro avviso, è un’opzione che non vale la candela.



A Cura Di Marco Zatterin