Gianni Romeo, La Stampa 23/10/2012, 23 ottobre 2012
ARMSTRONG E LA FINE DEL CICLISMO
Ieri è morto il grande ciclismo. Forse anche il piccolo ciclismo perché, ci chiediamo, quanti genitori favoriranno ancora le vocazioni che i loro figlioli maturano esaltandosi alle epiche imprese sulle montagne proposte dalle tivù? Ma è morto anche l’antidoping, a pensarci bene.
Lance Armstrong aveva subìto qualcosa come 500 controlli. Tutti superati.
Per incastrarlo ci sono volute le delazioni, le confessioni di ex compagni invidiosi o rancorosi, perché le provette analizzate nei laboratori più sofisticati davano sempre lo stesso esito: Amstrong era pulito.
L’uomo che aveva sconfitto il cancro, l’Imbattibile dei 7 Tour, immagine forte anche del buonismo nello sport, impegnato in una fondazione per battere la malattia del secolo era un ladro come tanti altri. Peggio di altri, perché a quanto pare la sua era un’impresa criminale, se ci passate il termine forte, studiata da sempre nei minimi dettagli. Ci pare di tornare indietro di 13 anni, quando il Grande Colpevole venne individuato in Marco Pantani. Sembra per assurdo di scorgere un sottile disegno: quando i controllori si rendono conto di essere impotenti, tagliano la testa al re per intimorire dando l’esempio massimo. Ma Armstrong era più di un re.
È stato per anni un personaggio simbolo a tutto campo, scavalcando i confini del ciclismo e anzi del pianeta sport. Per chi ha buona memoria, un effetto dirompente lo causò a Seul 1988 Ben Johnson, canadese dei 100 metri inchiodato dopo il record mondiale nella finale olimpica. Ma Armstrong è peggio. Ha innescato una valanga che non si sa chi e cosa travolgerà.
Restando al ciclismo: abbiamo già detto di tanti giovani perplessi nell’imboccare quella strada; verranno messe in crisi molte società benemerite; tanti sponsor si sganceranno; le tivù e i giornali non investiranno più per raccontare imprese avvolte nel sospetto; e quanti giornalisti che hanno dedicato una vita a questo sport avranno la forza di continuare a ingannare se stessi e i lettori? E il pubblico, quel meraviglioso pubblico di appassionati che mai ha abbandonato questo sport per applaudire e vedere nei corridori una metafora della vita, dove chi sa più soffrire alla fine vince, salirà ancora sulle montagne?
Restano un paio di domande, ma non è facile dare risposte. Si risolleverà il ciclismo dalla bomba atomica che gli è caduta addosso? Forse sì, ce la farà. Ma soltanto se sarà proprio l’ambiente al suo interno a cacciare i mercanti dal tempio. Il gruppo sa dove sta il marcio. E poi chi e in che modo avrà il coraggio di proporre un azzeramento di 25 anni di storia? Doping più o meno a buon mercato ne è sempre esistito, ma è da metà degli Anni Novanta che metodi scientifici e sofisticati hanno falsato ogni corsa. Sono disposti, quelli del ciclismo, a cancellare gli albi d’oro, a ripartire? Se non ci si attrezza per vincere questa scommessa nell’unico modo possibile, vuol dire che ieri non è caduta soltanto la testa di Armstrong, ma si è conclusa la storia di un nobilissimo sport.