Oscar Giannino, Il Messaggero 23/10/2012, 23 ottobre 2012
LA TASSA CORRUZIONE E IL VALORE DELLA LEGGE
Il premier Mario Monti e il ministro Paola Severino fanno molto bene a intestarsi la legge anticorruzione. Perché è inutile girarci intorno. Le statistiche giudiziarie riportano una diminuzione dei delitti di corruzione e concussione, dai 311 casi del 2009 ai 223 del 2010, e dei denunciati, da 1821 del 2009 a 1226 del 2010, e dei condannati con sentenza definitiva per questi reati, dai 341 del 2007 ai 295 del 2008. Ma la realtà è che le cronache italiane e la percezione netta dei mercati e dei partners internazionali propongono una verità del tutto opposta. Sono le norme italiane che non sono adeguate, semmai, ed è la accettazione purtroppo estesa in Italia verso la corruzione a spiegare questi numeri declinanti, pensano all’estero. Altro che calo, in realtà il fenomeno è più che mai galoppante.
Una conferma è venuta dallo spaventevole rapporto di 400 pagine presentato ieri a palazzo Chigi, redatto dal gruppo di lavoro ad hoc istituito presso il ministero della Pubblica amministrazione. Se infatti consideriamo tutti gli indicatori comparati internazionali di come venga percepita la corruzione in Italia, essa continua a salire e siamo relegati nel gruppo di Paesi di infima legalità. Se si passa alla percezione del fenomeno corruttivo da parte dei cittadini con riferimento ai diversi settori della vita nazionale, nel 2010-2011 in Italia è aumentata di più la corruzione politica, seguita da quella del settore privato e della pubblica amministrazione. Se la Corte dei Conti ha recentemente stimato in 60 miliardi di euro all’anno i costi diretti della corruzione italiana, il rapporto governativo di ieri aggiunge stime paurose di ciò che la corruzione significa per le imprese: a seconda dei settori e delle dimensioni, una riduzione dei tassi di crescita dal 25 al 40%. E attenzione che a subire il freno peggiore sono le imprese piccole e medie e quelle appena nate. Sono loro, a essere gettate fuori dal ring non potendo contare su risorse adeguate per reggere la concorrenza sleale di chi unge e paga mazzette. È per questo che il costo medio delle opere pubbliche italiane supera a volte del 40% quello medio europeo. Ed è per questo, infine, oltre che per le altissime tasse e per l’inefficienza della giustizia civile insieme all’elevato costo dell’energia, che i grandi gruppi multinazionali abbandonano il nostro mercato. E che non riusciamo a scalare le ultime posizioni europee in termini di attrattività di investimenti diretti esteri.
Di qui nasce l’emergenza della legge anticorruzione. Va ripetuto: Quirinale e governo Monti hanno fatto benissimo a sottoporre i partiti della maggioranza a reiterate e energiche tirate d’orecchi per il ritardo, la diluzione e talora il vero e proprio ostruzionismo dedicato al provvedimento. Purtroppo, su queste materie la politica continua a sentirci da un orecchio solo. Non fosse così, non ci sarebbero stati i soliti tentativi di infilare nel testo norme ad personam per procedimenti in corso. Né si motiva la resistenza all’introduzione di fattispecie come l’autoriciclaggio, chiesto giustamente da anni dai magistrati secondo quanto previsto in molti altri ordinamenti. E tanto meno il fatto che per alcuni nuovi reati, come il traffico d’influenze e cioè lo scambio di voti per interessi alle elezioni, la pena prevista possa essere inferiore a quella per esempio del millantato credito già prevista nel codice penale.
Personalmente, mi lascia freddissimo l’ipotesi di istituire invece un responsabile anti corruzione in ogni impresa, che finirebbe per pagare personalmente, civilmente e penalmente, per reati commessi a sua insaputa. E dubito molto che la corruzione tra privati, con effetti tali da procurare nocumento all’impresa, possa non offrire il destro per interventi giudiziari anche molto discutibili. Ma quel che conta è che la politica italiana avrebbe dovuto aderire di scatto alla nuova urgenza posta da Napolitano e Monti a questo tema. Mentre invece l’impressione data è ancora una volta di arrancare alla ricerca di distinguo, attenuazioni e furbizie. Siamo lontanissimi dall’avere codici di comportamento, livelli di trasparenza e di responsabilità disciplinare nella pubblica amministrazione capaci di scoraggiare davvero sistematiche violazioni di un’idea anche solo elementare dell’etica civile. Ma bisogna pur cominciare. È una battaglia essenziale economica e occupazionale, di crescita e di sviluppo, prima ancora che di rifondazione morale dell’Italia e della sua vituperata immagine internazionale.