Fabrizio Goria, Linkiesta 22/10/2012, 22 ottobre 2012
L’ALTRA FACCIA DELLA CRISI: IL TRASPORTO MARITTIMO
La crisi si può vedere anche tramite gli occhi dello shipping. Il trasporto marittimo infatti è una delle migliori cartine di tornasole per comprendere la solidità della ripresa economica. La crisi di liquidità delle banche mondiali e il deleveraging che queste sono costrette a fare per riequilibrarsi a seguito dalla peggiore crisi dal Secondo dopoguerra stanno mettendo in ginocchio un settore cruciale per il commercio internazionale. Lontano dai riflettori, vicino ai centri produttivi, lo shipping continuerà a contrarsi ancora per diverso tempo, come sottolineato dagli operatori del settore. E fino a quando non darà di nuovo segni di vitalità, non si potrà parlare di ripresa.
Sovracapacità di navi, debolezza della domanda globale, aumento dei rischi legati al collasso della zona euro, rallentamento dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Sono queste le principali ragioni per cui le sofferenze dello shipping mondiale sono destinate a proseguire almeno fino al 2014. O almeno questa è la previsione di Fitch. Una stima allineata con quella di Danske Bank, la banca danese partecipata da Maersk, e con quella di Nordea, il colosso bancario svedese. «La domanda è di beni commerciabili via nave è calata del 28% negli ultimi due anni, secondo i nostri calcoli», dice Nordea. E non è un caso che le principali società mondiali, come Maersk, Cosco (China ocean shipping company), Hanjin e MSC (Mediterranean Shipping Company), abbiano tutte tagliato le stime per il 2013. Più cauta è Moody’s, che non si esprime sul 2013, pur ricordando che le sofferenze del sistema bancario globale sono tanto profonde quanto intense. La stretta creditizia riguarda infatti anche gli investimenti in nuove vascelli commerciali. Con il deleveraging in corso, unito al calo della domanda, è sempre più difficile ottenere finanziamenti per lo shipping.
La crisi dello shipping è globale. Ma stanno aumentando le situazioni di criticità per l’Europa, un mercato considerato sempre più marginale dalla stessa Maersk. Secondo l’ultimo outlook dell’armatore danese, le previsioni per il 2012 vedranno una contrazione complessiva del 21% della capacità nel network Asia-Europe. In pratica, gli armatori si trovano con navi con stive sempre meno cariche e devono razionalizzare le linee. Nelle prossime settimane saranno infatti applicate delle novità alle tratte verso l’Europa: da un lato sarà cancellata la Asia - Europe (AE5) - Eastbound fra la Turchia e la Cina, dall’altro sarà ridimensionata la Asia - Europe (AE9) - Westbound fra il Belgio e la Cina. Il declino per Maersk sarà notevole. Vincent Clerc, responsabile vendite e marketing di Maersk Line, non usa mezzi termini: «Prevediamo un calo dei traffici tra Asia ed Europa del 3% nel 2012 e non crediamo che entro la fine di quest’anno ci sia una ripresa».
Analoga la visione di Cosco. Il gigante cinese, dopo un calo del 4,1% del traffico di merci fra Asia ed Europa, vede una flessione intorno al 2,5% per il prossimo anno. Tuttavia, «si tratta di cifre suscettibili di revisioni al ribasso nel corso dei prossimi mesi, complice l’incertezza della crisi globale», ha detto il presidente della società, Wei Jiafu. E le colpe arrivano da diversi versanti. Non è solo a causa dell’instabilità della zona euro o dei problemi in cui versano gli Stati Uniti, in cui l’economia è tenuta a galla dagli interventi di politica monetaria della Federal Reserve, la banca centrale. «L’economia cinese rischia di soffrire un rallentamento più veloce del previsto, dopo una capacità produttiva che ha subito un’espansione molto elevata negli ultimi dieci anni», ha detto Jiafu.
Non cambia la visione per Nils Smedegaard Andersen, numero uno di Maersk Group. La crisi dell’euro morde, ma non è la prima preoccupazione. Anzi. «Quello che ci preoccupa maggiormente è la ridotta capacità dei Brics di mantenere un ritmo di crescita in linea con quello degli ultimi anni», ha detto l’amministratore delegato di Maersk. Certo, le previsioni per l’eurozona non sono buone. La situazione economica d’emergenza della Grecia ha avuto pesanti ripercussioni sullo shipping, data l’importanza strategica dei porti ellenici nel Mediterraneo. E il timore di una secessione della Grecia dall’euro non aiuta. «Noi siamo pronti a tutto, a qualsiasi scenario, ma di una cosa siamo sicuri: i livelli visti prima del crac di Lehman Brothers non saranno mai più raggiunti», ha detto Smedegaard Andersen poche settimane fa durante un convegno a Rotterdam.
Il totale cambio di paradigma è testimoniato dal Baltic Dry Index. Questo indice, che rappresenta il trend dei costi dello shipping e dei noli delle principali classi di navi cargo, continua a essere lontanissimo dai livelli visti fino al 2008. A metà maggio 2008 il massimo livello degli ultimi cinque anni, a ridosso di 11.800 punti. A inizio giugno, quindi prima del fallimento di Lehman Brothers, il collasso. In pochi mesi, complice anche il crollo della quarta banca di Wall Street, si arriva a quota 666 punti, nel dicembre 2008. Attualmente è Baltic Dry Index è tornato sopra i 1.000 punti, ma come ha spiegato HSBC in una nota, è merito della stagione. «Un piccolo sollievo derivante anche dall’avvicinarsi delle festività natalizie», ha spiegato la banca anglo-asiatica. Se fino ad alcuni anni fa l’aumento delle merci tradate in vista della fine dell’anno iniziava a fine maggio, oggi è tutto ritardato. «Colpa della carenza di liquidità: gli ordini vengono evasi all’ultimo, molto spesso senza nemmeno le risorse in cassa per pagare la tratta», fa notare HSBC. E dire che attualmente i margini delle società di shipping sono sempre più bassi. Per fare un esempio, una nave di classe Capesize (oltre 150.000 tonnellate metriche) se nel gennaio 2008 aveva un prezzo di 160mila dollari al giorno, nella prima settimana di ottobre siamo arrivati a quota 8mila dollari, secondo i dati di Clarksons Research. Ancora peggio l’ultima settimana di agosto: la media del prezzi delle Capesize fu di 1.250 dollari al giorno. Ma come ha sottolineato Clarksons, «il peggio potrebbe ancora arrivare».