Carlo Carena, Il Sole 24 Ore 21/10/2012, 21 ottobre 2012
IL TALLONE DI CONTINI
Della corrispondenza di Gianfranco Contini col suo editore principe, Giulio Einaudi, si può cogliere un solo passo per rendersi conto dell’attenzione e della competenza del maestro alle regole e alle perfezioni editoriali. Il 19 luglio 1954 egli scrive da San Quirico di Domodossola a Daniele Ponchiroli, già allievo della Normale di Pisa e passato anch’egli per i torchi talloniani (come si racconta nel saggio introduttivo a questo volumetto), e ora redattore a Torino, a proposito di una nuova proposta, di Giovanni Acquilecchia, per la «Nuova raccolta dei classici italiani annotati»: collana già di per sé editorialmente raffinatissima: «Veda Lei se sia il caso di dir di sì, ma mettendo bene, e con la Sua cortesia, i punti sugli i: con espressa riserva sui criterî grafici in senso largo, e ciò non meno per ragioni tecniche che per ragioni pratiche. Quello che l’Acquilecchia dice nella Nota al Testo va preso con le molle; e poi, ha visto che nelle citazioni latine del commento lascia►e v come sono nelle antiche edizioni?». Non si legge su per giù altrettanto in una «Nota al testo» quale quella del Petrarca talloniano del ’49? «Oltre la questione delle lettere, un’edizione non diplomatica scioglie le abbreviazioni, introduce gli accenti obbligatorî nella grafia moderna, usa un minimo di accenti e apostrofi diacritici, segna le dieresi, riunisce o divide i vocaboli conforme all’uso attuale».
Attenzione e competenza che dall’ambito e dall’abito filologico ed ecdotico si trasferisce a quello di tecnica editoriale. Ed è facile misurare dall’autorevolezza e anche dalla perentorietà del personaggio quale fossero gli effetti. Contini attribuì a edizioni di pregio per eccelsa bravura tipografica e di programmatica ristretta diffusione un valore aggiunto non meno sostanziale e una grandiosa possibilità evolutiva. Se si pensa che quel Petrarca, ad esempio, si radicò a quel modo nella tipografia parigino-alpignanese e di lì proliferò e prolificò presso l’altro grande editore piemontese, dove fu pensata da principio e immediatamente – la sollecitazione di Giulio Bollati all’esimio curatore, documentata in questo opuscolo, è pressoché immediata – di continuo in varie vesti e fogge; fino all’edizione monumentale di Rosanna Bettarini nei due tomi della stessa "Nuova raccolta" l’anno 2005, anch’essa con raffinatezze editoriali supreme, quale la oggi perenta, ignota e fastidiosa a chi ama divorare bestseller e far scorrere ebook, delle pagine intonse.
Credo non si possa chiedere di più e di meglio a un libro, che una lunga storia come questa. Alberto Tallone, evidentemente convinto anch’egli che l’arte della stampa, a differenza di altre, avesse già raggiunto la sua perfezione pochi anni dopo la sua nascita, se ne tornava tranquillamente indietro, se non proprio ad allora certo a pochissimi secoli dopo, e si trovava felicissimo e pago in compagnia di Garamond e del suo compaesano Bodoni, di cui ebbe forse non gli onori ma certo le soddisfazioni. Una serenità e una pacatezza che si trasmette al lettore stesso. «Il nostro occhio riceve una sensazione di gioia radiosa, che esprime quella provata dall’artefice del libro» scrisse Luigi Balsamo per e nel Manuale tipografico di Tallone del 2005.
Il contagio si comunicò a sua volta facilmente anche a Contini, già ben predisposto per conto suo a queste affezioni. Dell’amore vigile del professore per la parola come strumento di godimento e di conoscenza stessa, approfondita e serena, sempre accudita quest’ultima con tutti i crismi doverosi dinnanzi a un fenomeno, antifrasticamente, "ineffabile", qualche documento appassionato, come non di rado avveniva nella vita alla persona altrimenti severa di Gianfranco Contini, si hanno tracce anche qui, nell’epistolario con Alberto Tallone. Vi si risente il Contini "scienziato" delle lettere, e il Contini gioviale negli abbandoni alle voluttà della vita, dei suoni e del palato. Quando Alberto gli invia da Parigi la sua edizione dell’Ange di Paul Valéry, il professore risponde da Domodossola, 9 settembre 1946: «Come ringraziarLa del Suo Ange meraviglioso? che, non per indulgere al gioco di parole, ma è stata veramente una visitazione cherubica. Io i miei pochi momenti di consolazione li trovo la sera contemplando nella mia libreria quei pochi esemplari di perfezione, come certi Bodoni fra i meno appariscenti e i più segreti». E all’altro capo della sua vita, nell’89, accordando una prefazione a I Tallone di Maurizio Pallante per quell’altro geniale editore, Vanni Scheiwiller – testo anch’esso riprodotto nel Manuale tipografico, e in questo catalogo –, Contini annota: «La professione di Madino sembrerebbe fatalmente orientata verso l’estetismo, e in effetti si e ci considerava, noi suoi amici, adepti del culto della bellezza. Che il bello potesse convogliare il vero, fu un’idea che nacque in lui spontaneamente, e al limite inconsciamente. Nessun agente esterno lo spinse a cercare la collaborazione della filologia. Poiché una fortuna benevola ha voluto che il primo incontro professionale fosse con me, Madino non ebbe dubbi ad armonizzare la soddisfazione della sua forma con gli obblighi del vero».
«La soddisfazione della forma con gli obblighi del vero». Sembra di leggere qualche antico maestro di morale e di estetica, un miscere utile dulci di venerata memoria oraziana: Orazio, anch’egli un esigente bibliofilo di poche copie curate a dovere per chi se ne intende: Epistulae, I 20. 1-5. Si può andare a lezione anche guardando una mostra di libri.