Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  ottobre 21 Domenica calendario

I NEURONI DELLA COSCIENZA

Paul Thagard, filosofo del l’Università di Waterloo in Canada, racconta che un suo insegnante era solito fumare in classe e gettare i fiammiferi appena usati nel cestino della carta, che una volta prese fuoco. Il piede, col quale l’insegnante cercava di spegnerlo, rimase incastrato nel cestino, fra l’orrore e l’ilarità degli studenti. Qualcosa di analogo, dice Thagard, succede spesso ai filosofi, che accendono fuochi polemici che non sanno poi come spegnere. Si giustificano con errori e insufficienze di logica e di linguaggio, mentre la difficoltà sta nel fatto che i problemi della conoscenza possono essere affrontati solo coinvolgendo nella riflessione scienza e tecnologia. Anche il filosofo Daniel Dennett non si stanca di ammonire che, senza la scienza, la cultura rischia di essere un vaniloquio. Ragionare della coscienza, del tempo e dello spazio, dell’arbitrio, del rapporto con la realtà ignorando i meccanismi nervosi dei contenuti dell’autocoscienza potrebbe non essere buona filosofia.
La letteratura filosofica sul libero arbitrio, ad esempio, non tiene conto, tranne poche eccezioni, che i meccanismi nervosi delle scelte morali, della decisione di fare un movimento, di votare per un partito, di acquistare una casa, di andare al cinema, sono diversi. Essa poi non considera quanto casuali siano i meccanismi nervosi, e quindi anche quelli delle decisioni. La scienza non fornisce verità, ma dati da verificare: si può contrastare il dato che la libera volontà è un’illusione, perchè controlliamo le azioni ma non i pensieri coscienti che le determinano, solamente con altri dati, e non con riflessioni e speculazioni. La buona filosofia riflette sui dati della realtà che la scienza fornisce. In caso contrario, potrebbe aver ragione il fisico Richard Feynman a motteggiare che i fisici hanno bisogno della filosofia come gli uccelli dell’ornitologia, della quale hanno fatto a meno per milioni di anni.
Le neuroscienze, dice uno scienziato contemporaneo, hanno svuotato il cielo, trasferendo gli attributi dell’anima e dello spirito ai miliardi di neuroni e sinapsi della corteccia del cervello. Lo hard problem della riflessione dell’uomo su sé stesso, sostiene il filosofo Owen Flanagan, non è più l’antico dilemma del rapporto mente-corpo, ma quello del significato della vita in un mondo materiale. Un volta che la mente è stata identificata con i meccanismi nervosi che la producono, che cosa dobbiamo e possiamo pensare della nostra umanità? La domanda riflette la difficoltà dell’autocoscienza, che indaga sulla propria natura, ad accettare che essa è un evento delle reti neurali (per il filosofo Colin McGinn, un «crampo esistenziale»). Il passo dai circuiti nervosi al comportamento umano, scrive Matteo Carandini, è troppo lungo per poter essere accettato senza passaggi intermedi.
La riduzione dello spirito alla materia del cervello è istintivamente sentita come una minaccia al significato della vita. In realtà, le scienze non minacciano nulla. Se l’umanità, da quando è autocosciente, ha sentito il significato della vita come la forza decisiva dell’esistenza, non si vede perché dovrebbero smarrirlo ora che i meccanismi della conoscenza del cervello hanno mostrato che la coscienza è un evento naturale.
Ha senso, si chiede Thagard, cercare il significato della vita e il nostro posto nel mondo in concezioni estranee alla scienza? Il significato della vita e della storia va cercato nel cervello, perché altro non c’è. L’approssimazione graduale alla verità propria della ricerca naturalistica procura una conoscenza che si dimostra più congruente con la realtà di qualunque altra metodologia. Dal momento che l’autocoscienza esiste, essa deve avere una funzione evolutiva. Thagard, basandosi più di Flanagan su dati scientifici, considera che il fine evolutivo dei meccanismi nervosi è di fornire all’autocoscienza il significato della vita. Esso consiste nell’amore, nel lavoro e in quello che egli chiama play, che è ciò che procura piacere senza profitto: il gioco e l’incanto della bellezza naturale e artistica. Amore, lavoro e gioco sono eventi del cervello selezionati durante l’evoluzione perché, dando significato alla vita, salvaguardano la specie. Thagard analizza la fenomenologia della razionalità e delle emozioni, la base razionale ed emotiva del comportamento, dello stimolo psicologico del lavoro, del piacere fisico e intellettuale, delle convinzioni e delle decisioni morali, con i relativi correlati nervosi. L’autocoscienza ha il senso che la vita non è solo subìta, ma anche pensata.