Barbara Bisazza, Il Sole 24 Ore 22/10/2012, 22 ottobre 2012
LO SHOPPING SUL WEB ACCELERA LA CORSA - I
prodotti inseguono i servizi, ma la distanza da colmare è ancora lunga. Nel 2012, comunque, per la prima volta la vendita online di prodotti da siti internet operativi in Italia cresce in valore più di quella dei servizi, "mangiandole" tre punti percentuali (37% e 63% il rispettivo peso sul totale delle vendite). Nel 2012, infatti, il fatturato online del B2c (Business to consumer) nell’abbigliamento, informatica ed elettronica, editoria, grocery e altri prodotti raggiungerà i 3,542 miliardi, in crescita di circa 800 milioni sul 2011 (+29%), mentre per turismo, assicurazioni e altri servizi i ricavi arriveranno a 6,079 miliardi (+14%), 750 milioni in più dell’anno scorso.
Le stime sono contenute nell’undicesimo rapporto annuale dell’Osservatorio eCommerce B2c che la School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con il consorzio del commercio elettronico italiano Netcomm, presenterà giovedì 25 ottobre e che Il Sole 24 Ore può anticipare.
Il trend di vendite e acquisti
Complessivamente, continua nel 2012 la crescita a due cifre delle vendite online da siti italiani: +19%, per un valore delle vendite di 9,621 miliardi (si veda il trend nella grafica). Se poi si considera il fenomeno dello shopping online dal punto di vista del consumatore italiano, i numeri sono anche più ampi: il valore degli acquisti nel 2012 sfiorerà gli 11 miliardi, in crescita del 18% rispetto al 2011. Tutt’altra situazione, insomma, rispetto alla crisi dei consumi registrata nei negozi tradizionali, in calo del 2 per cento.
I primi 50 operatori di e-commerce in Italia coprono una quota di mercato dell’88 per cento. Nella dinamica delle vendite crescono tutti i principali comparti. L’aumento maggiore in valore riguarda l’abbigliamento (+33%), grazie alla buona crescita di Yoox.com, dei club online e all’ingresso di nuovi player. Ottimi risultati anche per l’informatica e l’elettronica di consumo (+27%), trainata da Amazon e dai grandi retailer. Il turismo continua a fare la parte del leone (4,389 miliardi, il 46% dell’ecommerce in Italia, in aumento del 14%), grazie alla crescita degli operatori del trasporto aereo e ferroviario, dei portali di hotel e dei club online. Quasi un altro miliardo è in capo alle assicurazioni (+14%). Sulla bilancia commerciale, il saldo dell’e-commerce italiano resta ampiamente negativo e peggiora nel 2012, passando da 1,27 a 1,37 miliardi di euro. Nonostante i tassi di crescita siano più elevati nell’export (+29%) che nell’import (+19%), in valore assoluto le vendite realizzate all’estero raggiungono i 1,68 miliardi, contro i 3,05 miliardi degli acquisti fatti da italiani su siti stranieri.
L’anomalia italiana
Nel paniere della spesa dei consumatori la dominanza dei servizi (68%) rispetto ai prodotti è un’anomalia tutta italiana, almeno nel confronto con Paesi occidentali come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, dove le proporzioni sono quasi invertite. Inoltre, il tasso di penetrazione degli acquisti online in Italia si ferma al 2,6% (anche se in crescita rispetto al 2,2% del 2011); considerando solo i prodotti, il rapporto tra gli acquisti online e il totale delle vendite retail scende all’1,2%, quando, per esempio, nel Regno Unito il tasso è del 10,8% e in Germania del 7,4% (si veda la grafica). Ma perché si vendono così pochi prodotti online? «C’è una carenza di offerta – commenta Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c – che significa anche meno concorrenza e minori possibilità di trovare convenienza online: in molti settori, infatti, a partire dall’arredamento e dall’alimentare, ma anche nell’abbigliamento di massa o nel fai-da-te, sono pochi i retailer tradizionali scesi online con la loro offerta qualificata».
Gli ostacoli per le aziende
Perché molti grandi retailer fanno fatica a scendere in campo online? «Per molti operatori gli ostacoli più menzionati sono quelli legati alla logistica distributiva per la consegna a domicilio; servizi che in Italia costano un po’ di più, anche per motivi di orografia del territorio, e sono un po’ più lenti. Ma il vero limite – prosegue Perego – secondo me è culturale. Del resto, la costruzione di una propria presenza online di vendita può significare un investimento importante e una progettualità difficile da portare avanti; a ciò si aggiunge di solito la resistenza dei punti vendita sul territorio alla concorrenza online. Eppure, tutti i grandi operatori presenti nell’e-commerce, nonostante le remore, alla fine hanno dimostrato che si possono fare iniziative di successo. E hanno capito che il sito di commercio elettronico è uno strumento fondamentale a supporto della relazione multicanale con i clienti».