Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 22/10/2012, 22 ottobre 2012
LA SCELTA DIFFICILE DELL’EGITTO IL TURISMO O L’ORTODOSSIA
Apprendo che l’articolo 2 della (nuova) Costituzione egiziana recita: «L’Islam è la religione di Stato e l’arabo è la sua lingua ufficiale. I principi della legge islamica sono la principale fonte della legislazione». Bicchiere mezzo pieno per i Fratelli musulmani (il cui leader Mohamed Morsi è il presidente della Repubblica) o bicchiere mezzo vuoto per i salafiti/wahabiti, che volevano imporre il Corano come «unica» fonte?
Lucio Flaiano
dinilu@hotmail.it
Caro Flaiano, anche nell’epoca di Mubarak la costituzione proclamava l’Islam «religione dello Stato»; e anche allora la sharia era considerata la cartina di tornasole con cui pesare e misurare la bontà delle leggi emanate dagli organi dello Stato. La persona cui spettava il compito di certificare la loro conformità all’ortodossia islamica era il Gran Mufti, vale a dire il capo di una agenzia statale a cui è attribuito il compito di formulare pareri al tempo stesso giuridici e religiosi. Per molti anni l’incarico è stato ricoperto da Ali Goma’a, grande giurista, uomo affabile, il corpo avvolto in una elegante tunica nera, il viso appena velato da una corta barba, la testa coperta dalla berretta bianca che è il copricapo degli imam di alto rango.
Quando gli feci visita, qualche anno fa, gli dissi che ero stato sorpreso, tornando in Egitto dopo una lunga assenza, dalla evidente islamizzazione dei costumi in città, come il Cairo e Alessandria, che erano state, con Algeri, Tunisi e Beirut, fra le più europee dell’Africa del nord. Mi rispose che le donne velate e le pubbliche preghiere intorno alle moschee non avrebbero cambiato i caratteri dello Stato: «Siamo una democrazia e intendiamo garantire parità di diritti a tutti i cittadini egiziani, siano essi musulmani, cristiani o ebrei. Ma non siamo l’Europa, dove la Chiesa è stata confinata in un ruolo strettamente religioso. Noi siamo in grado di distinguere fra religione e civiltà, ma sappiamo che l’Islam è al tempo stesso religione e civiltà». Più tardi seppi che i suoi pareri erano attenti alla modernizzazione del Paese. Quando il Parlamento gli chiese se fosse lecito allungare il periodo durante il quale la madre divorziata avrebbe potuto esercitare la potestà sui figli, dette un parere favorevole. La legge non cambiò la condizione femminile e la potestà resta comunque, in ultima analisi, paterna, quale che sia la causa del divorzio. Ma la posizione di Ali Goma’a era allora molto più avanzata di quella sostenuta da una buona parte dei Fratelli musulmani. Qualche tempo dopo il Mufti aveva statuito che le vendite a rate, anche se ogni rata è aumentata dagli interessi, non sono usura e possono quindi essere considerate «halal», vale a dire conformi alle prescrizioni del Corano.
Ali Goma’a non è uscito di scena. Ha incontrato i giovani di piazza Tahrir, è apparso spesso alla televisione, ha continuato ad ammorbidire con le sue dichiarazioni gli atteggiamenti dell’islamismo radicale. Quale sarà il ruolo di questi moderati nell’Egitto di Mohamed Morsi? Riusciranno a impedire la deriva integralista di una parte della Fratellanza e della fazione salafita? Non so rispondere a queste domande, ma le consiglio, caro Flaiano, di tenere d’occhio il giro d’affari delle agenzie che organizzano viaggi nelle maggiori località turistiche egiziane. Il turismo è stato per molto tempo una delle maggiori fonti di reddito del bilancio egiziano. Prima o dopo Morsi dovrà decidere se consentire i bikini, i calzoncini corti, il vino nei ristoranti e negli alberghi, la vendita della stampa straniera con le sue foto licenziose, o perdere una delle principali fonti di valuta straniera per l’economia egiziana. Capiremo allora sino a che punto può spingersi il pragmatismo della Fratellanza musulmana.
Sergio Romano