Francesco Piccolo, Corriere della Sera 22/10/2012, 22 ottobre 2012
GLI INSENSATI ANNI DI PIOMBO - A
pagina 19 del libro di Giovanni Bianconi, sono saltato sulla sedia, ma non voglio spiegare subito il perché. Il titolo è Figli della notte. Gli anni di piombo raccontati ai ragazzi (Dalai editore). Bianconi si propone di riattraversare, in modo rapido, la storia del terrorismo in questo Paese, dalla strage di piazza Fontana fino all’omicidio di Ezio Tarantelli, con un epilogo rapido fino a Massimo D’Antona e Marco Biagi; si rivolge a coloro che non possono avere memoria degli anni della tensione e che guardando l’Italia di ora, così com’è, non sanno bene che cosa l’abbia davvero attraversata.
Ma Bianconi si propone qualcosa in più: gli anni di piombo sono raccontati non soltanto ai ragazzi, ma dai ragazzi, perché, al tono incalzante, si sovrappone lo sguardo del figlio di una vittima, un essere umano su cui è caduto il masso insopportabile del destino segnato da un pensiero che soltanto il terrore e le guerre hanno: non contano gli esseri umani, ma ciò che rappresentano. Per questo il terrorismo ha ucciso: perché non colpiva i singoli individui, ma l’idea che rappresentavano. E questo è diventato ancora più paradossale quando sono stati colpiti uomini per caso, come a piazza Fontana o sull’Italicus o alla stazione di Bologna. Lì, addirittura, contava un luogo, il numero delle vittime. Il modo di ragionare terroristico ha reso possibile ciò che è spaventoso. Ed è difficile da raccontare, perché vuol dire cercare di spiegare l’insensato — e il libro lo fa con dedizione.
C’è anche da dire, per capire l’importanza del punto di vista che assume Bianconi, che negli ultimi anni sono stati proprio i libri dei figli delle vittime (basti citare, a titolo di esempio, il libro molto bello di Mario Calabresi, o quello di Benedetta Tobagi) a ribilanciare la questione storico-politica con quella emotivo-umana. E questo la dice lunga sulla capacità del nostro Paese di affrontare il nodo degli anni di piombo: i figli delle vittime hanno dovuto risistemare quasi da soli le conseguenze emotive e pratiche della questione. Per questo motivo, Figli della notte è importante: perché a chi non ha memoria va raccontata tutta quella storia dei terrorismi neri e rossi e delle infiltrazioni dello Stato, con il sentimento che abbiamo oggi, che ha sguardo (abbastanza) obiettivo, e coscienza di aver superato quella stagione nel modo più faticoso e doloroso possibile.
Ma nonostante tutte queste avvertenze, che arrivano dal titolo, dal sottotitolo e dall’impianto narrativo del libro, a pagina 19, si salta sulla sedia. Bianconi sta raccontando di un governo guidato da Rumor, e dice che ministro degli Esteri è Aldo Moro; poi apre una parentesi e scrive testuale: «Ricordatevi di questo nome»; e poi chiude la parentesi.
Ora, è possibile che bisogna appuntarsi il nome di un leader che ha determinato la politica italiana per decenni e che poi è stato rapito e assassinato da presidente del maggiore partito e in un momento e in un modo che ha cambiato per sempre la storia di questo Paese? Non è, per quanto riguarda la storia d’Italia dalla fine del fascismo, l’evento più importante della seconda metà del secolo scorso?
Ecco: a chiunque non sia un ragazzo, questa parentesi toglie il fiato, davvero. Il problema però, è se Bianconi abbia ragione o no ad averla messa. Basterebbero la sua serietà e il modo in cui esercita il suo mestiere, basterebbero i libri che ha scritto in precedenza (tra i quali, forse, il migliore è proprio il libro su Moro, Eseguendo la sentenza —, mentre qui sceglie di raccontare la storia dell’appuntato Ricci, quasi vent’anni passati a proteggere il presidente, attraverso gli occhi ammirati del figlio Gianni). Ma c’è anche la nostra esperienza di genitori, parenti, professori, spettatori, lettori e quant’altro che ci dice che «i ragazzi» ai quali si rivolge il libro, è spietatamente evidente che vivano, partecipino chi più e chi meno alla vita pubblica, pensino e votino, senza sapere (o sapendolo in modo molto sfocato) chi sia Aldo Moro e cosa è successo, a lui e al Paese, nel 1978. Sembra impossibile, ma è possibile.
Dalla frase di pagina 19, quindi, Figli della notte si trasforma immediatamente da libro interessante a libro necessario.
E non si tratta di recupero della memoria, ma di rinarrazione della storia recente, realizzata in modo rapido e minuzioso — anzi, se il libro ha un difetto è nella bulimia (e nell’etica) giornalistica dell’autore di non riuscire a tralasciare nessun passaggio prima di giungere ai nodi centrali sia degli anni di piombo, sia delle singole storie dei figli di vittime.
Attraverso gli occhi di Silvia, Michele, Massimo e gli altri, Giovanni Bianconi unisce le due bibliografie sempre divise sugli anni di piombo: le ricostruzioni storiche, politiche, complottistiche; e lo sguardo doloroso, tutto emotivo, di coloro che amavano chi è stato ucciso senza colpe; cercando di tenere insieme il senso storico di quella insensatezza, e la portata umana ed emotiva delle conseguenze di ogni singolo sparo. E forse i ragazzi potranno avere gli strumenti utili per definire con la parola «insensatezza» sia il fatto che sono state rovinate le vite di coloro che hanno subito le morti; sia che il terrorismo alla fine è stato sconfitto; sia il fatto che le trame sotterranee, se non hanno vinto, non sono state mai definitivamente spazzate via dall’unica forza propulsiva di un Paese civile: la verità.
Francesco Piccolo