Giampaolo Visetti, Affari & Finanza, La Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
LA PICCOLA BORSA DELLA GRANDE CINA DECOLLO MANCATO PER SHANGHAI
Negli ultimi dieci anni il Pil della Cina, in termini nominali, è quadruplicato. I rendimenti della Borsa di Shanghai però sono scesi al livello di tredici anni fa. Per le grandi economie di mercato, è un caso senza precedenti. Oltre un decennio di crescita economica a doppia cifra non è stato accompagnato da una crescita finanziaria normale. Gli analisti si chiedono perché l’economia più dinamica del mondo abbia un mercato azionario da Paese sottosviluppato. La domanda è interessata: Pechino ha aumentato la quantità di denaro che gli stranieri possono investire in Cina, portandola da 30 a 80 miliardi di dollari e semplificando le operazioni. Gli investitori esteri sono convinti delle potenzialità del mercato cinese, ma i risultati degli ultimi anni continuano a dirottare capitali su Hong Kong e su Singapore, piuttosto che su Shanghai e Shenzhen. La disponibilità di 80 miliardi non è del resto rassicurante: il mercato cinese offre 2600 miliardi di azioni negoziabili, l’impatto estero resta marginale e tutto continua a dipendere dagli operatori interni. A spaventare di più è però il sistema economico cinese, dove a comandare non sono i soldi privati, ma il potere pubblico. E i risultati si vedono. I mercati azionari, nel 2011, hanno fornito alle aziende solo il 3,4% del capitale guadagnato. Un valore troppo modesto, per ingolosire gli investimenti. Nel 2012 gli indici hanno perso oltre il 14%, mentre il Pil, pur fortemente rallentato, chiuderà
l’anno con una crescita di poco inferiore all’8%. Pechino sa che nel medio periodo, e con l’avvio di un’epoca a crescita economica «slow», ha bisogno di Borse che affianchino le banche per far crescere imprese e mercato interno. Qualcosa così sembra muoversi. L’autunno scorso ha nominato Guo Shuqing a capo della Csrc, la commissione che regola i mercati azionari, avviando un giro di vite contro la piaga dell’insider trading. La situazione resta però critica. Migliaia di aziende faticano a pagare i dividendi, altre non avrebbero i requisiti per essere quotate, altre lo fanno a prezzi che non rispecchiano i fondamentali. La Csrc ha dovuto ammettere per quasi vent’anni società sostenute politicamente si sono quotate a prezzi gonfiati, hanno raccolto soldi di risparmiatori interni e investitori stranieri, per poi ridistribuirli agli insider. Nei primi sei mesi del 2012 gli investigatori hanno avviato 180 indagini per insider trading e truffa, il 70% in più rispetto a un anno fa. Il punto centrale resta però il prezzo delle offerte pubbliche iniziali. Nel 2011 le imprese che si sono quotate, hanno fissato il prezzo a 47 volte gli utili. Il risultato è stato che oltre la metà degli investitori del primo giorno, entro tre mesi hanno registrato forti perdite. Nuovi regolamenti impongono ora a chi ricorre al mercato di spiegare come si è valutato e di presentare un rapporto prezzoutili superiore del 25% a quello di imprese simili. Ovviamente non basta, per ricostruire la fiducia. Le autorità dichiarano così di essere decise a espellere dai listini, entro tre anni, le società tossiche: a partire da quelle che presentano attività nette negative, o con risultati operativi inferiori a 1,6 milioni di dollari. Una campagna cerca inoltre di educare gli investitori cinesi, spingendoli verso investimenti a lungo termine in azioni ad alto valore, scese la metà rispetto alle altre. La domanda è perché puntare denaro su un mercato che continua a calare e viziato da limiti strutturali. La risposta è che questo mercato si chiama Cina: nazione che nei prossimi cinque anni raddoppierà per ricchezza, supererà il Giappone anche per miliardari e diventerà la seconda economia più prospera del pianeta.