Eugenio Occorsio, Affari & Finanza, La Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
CASA IKEA, LA BATTAGLIA PER LA ROTTAMAZIONE
Un finale di carriera più turbolento di così, Ingvar Kamprad non se lo sarebbe mai aspettato. Le ultime settimane sono state di fuoco. Il patron dell’Ikea non aveva fatto in tempo a rintuzzare gli attacchi dei tre scatenati figli Mathias, Jonas e Peter, che reclamano a spallate il loro posto al sole e sono stati messi a tacere addirittura con un comunicato aziendale che ribadisce che il padre è ben saldo in sella, quando gli è arrivato addosso il peso del più imprevedibile degli incidenti internazionali: le dimostrazioni popolari in India contro la prevista apertura del primo maxinegozio Ikea a New Delhi. Una vera e propria rivolta di piazza con tanto di feriti e cariche della polizia, che aveva come bersaglio non solo la casa svedese ma anche Starbucks e Wal-Mart, accomunati dall’accusa di voler colonizzare il Paese, e che il governo ha alla fine risolto con un decreto di via libera agli investimenti stranieri la cui attuabilità però è evidentemente precaria (Starbucks intanto ha aperto il primo store venerdì scorso a Mumbai). Ma c’è dell’altro. Passano pochi giorni e il free press svedese Metro solleva quello che in Svezia (giustamente) è il più inaccettabile degli scandali: un’umiliazione alla condizione femminile. Nei cataloghi Ikea le foto dell’allegra famigliola in cucina o sprofondata nei divani della casa è identica in tutto il mondo, ma nella versione per l’Arabia Saudita, Paese dove le donne non votano, non guidano e non possono viaggiare senza un permesso scritto del capofamiglia, gli editor aziendali hanno pensato bene (anzi male) di cancellare con il photoshop le figure femminili. Bambini, papà e nonni sono sempre lì, ma soli. Apriti cielo: il management aziendale è stato costretto a fare pubblica ammenda per l’autocensura con una lettera di scuse pubblicata dai giornali di tutta Europa. Non è ancora finita. Negli stessi giorni è arrivata la tegola probabilmente più imbarazzante di tutte: un libro della giornalista televisiva svedese Elisabeth Aasbrink ha rivelato che Kamprad non solo aveva aderito durante la seconda guerra mondiale al partito filonazista Nysvenska Roerelsen (“nuovo orgoglio di sentirsi svedesi”), circostanza che era già stata confermata anni fa dall’interessato, ma che aveva continuato a militare clandestinamente nel movimento (che non aveva affatto pensato a sciogliersi dopo la fine del conflitto) almeno fino a metà degli anni ’50, e questo non lo aveva mai saputo nessuno. Ce n’è abbastanza per mettere a dura prova le pur temprate coronarie di Kamprad, classe 1926, nato da una famiglia tedesca ad Almhult nella provincia di Smaland (Svezia meridionale), che a 19 anni con i pochi soldi che gli aveva regalato il padre per i buoni risultati negli studi aprì nel paesello natìo una bottega di falegnameria e arredamento. Il nome Ikea deriva dalle iniziali del fondatore ( Ingvar Kamprad), la fattoria dov’è cresciuto ( Elmtaryd) e la cittadina dove è nato ( Almhult). Il primo maxi-store si inaugura nel 1958 a Stoccolma, il primo all’estero nel 1963 in Norvegia, il primo fuori dalla Scandinavia in Germania nel 1973, il primo fuori dall’Europa nel 1974 in Giappone, il primo in Italia nel 1989 a Bologna. È una storia di successo con pochi precedenti. In centinaia di milioni di case in tutto il pianeta c’è almeno una libreria Billy, un divano Ektorp, un letto Oslo. Oggi l’Ikea ha 267 mega-negozi in 26 Paesi, 134mila dipendenti in totale, 25,2 miliardi di euro di fatturato 2011 con 2,9 miliardi di utile netto: se anche il 2012 si chiuderà con un aumento delle vendite come assicurano in azienda (non tanto sicuri sono però gli analisti), il gruppo si sarà tolto la soddisfazione di aver attraversato tutta la crisi economica internazionale aumentando costantemente il fatturato, sia pur di poco in alcuni anni ( vedi grafico). Il problema dell’Ikea non è però la tenuta finanziaria quanto la stabilità interna e l’immagine esterna. Sul primo punto come si diceva pesa la Dinasty familiare in corso. Quest’estate i tre figli maschi (c’è anche una ragazza, Annika, che però è fuori dal business di famiglia) si sono fatti fotografare sulla prima pagina del quotidiano finanziario di Stoccolma Dagens Industri sorridenti e smaglianti sotto il titolo “La nuova generazione arriva al top”, con tanto di compiaciute didascalie: Peter “compie 48 anni fra poco” e viene descritto come “l’economista” con grandi racconti del training presso l’Ikano, il braccio finanziario dalla famiglia con sede in Lussemburgo, Jonas “compie 46 anni fra poco” ed è il “designer creativo e lo sviluppatore dei prodotti”, Mathias “compie 43 anni fra poco” ed è “il vero businessmane trascinatore della troika”. Macché, niente di tutto questo. Un irritatissimo papà Ingvar ha dettato un algido comunicato (non parla mai per interviste ma solo per comunicazioni ufficiali) in cui ha smentito seccamente di aver ceduto alcun potere. I “ragazzi” saranno pure in possesso delle qualità e delle funzioni descritte, ma lui a farsi rottamare per ora non ci pensa neanche lontanamente. E continua a tenersi l’ultima parola su tutto. La stampa economica svedese segue con moderato entusiasmo le vicende, e qui siamo al secondo punto dolente cui si accennava. La socialdemocratica Svezia non ha mai accettato fino in fondo l’imbarazzante passato politico del patron, e semmai ha insinuato che tanto passato poi non sia, dal punto di vista delle idee politiche di fondo, viste le ricorrenti vertenze un po’ in tutto il mondo sul trattamento economico e sociale dei lavoratori. Pur essendo in qualche misura fieri del miracolo Ikea (i colori della ditta sono gli stessi della bandiera nazionale), i pur sinceramente liberisti svedesi non vedono poi di buon occhio, e come dargli torto, che Kamprad viva da tantissimi anni in Svizzera, che predichi apparentemente costumi spartani (e tale è l’insegnamento che ha dato ai figli) ma che in realtà si divida fra le sue vigne in Provenza e la villona sul lago di Zurigo, oppure ancora che dica di girare con una Volvo 240 del 1993 ma che in realtà sia stato visto al volante di una sfavillante Porsche. Ma è soprattutto la struttura proprietaria dell’Ikea a destare scetticismo: il grosso delle attività del gruppo - rigorosamente familiare “privately held” e lontano da qualsiasi quotazione - risponde attraverso una ragnatela di società all’olandese Stichting Ingka Foundation, nata ufficialmente per “promuovere l’innovazione nell’interior design” (capito l’assonanza?) ma in realtà per tenere i profitti al di fuori della pesante tassazione svedese. Per questo, Kamprad figura solo al 377° posto della lista dei 500 Paperoni mondiali di Forbes, edizione marzo 2012, con una fortuna personale ufficiale di “appena” 3 miliardi di dollari. E per questo i figli danno battaglia e hanno fretta di scalzare il padre dal posto di comando. Ma il vecchio Ingvar, come qualsiasi “uomo forte” della storia, venderà carissima la pelle.