Paolo Griseri, Affari & Finanza, La Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
IL RISIKO DELLE ALLEANZE L’ASSE FRANCO-TEDESCO BLOCCA LA STRATEGIA DI MARCHIONNE
L’ ultima scena (ma sarà presto la penultima) è quella di Sergio Marchionne e Martin Winterkorn che escono sorridenti dallo stand Fiat al Salone di Parigi. Si stringono la mano e si spendono in dichiarazioni di grande e reciproca ammirazione, ad uso dei fotografi e dei cronisti presenti. Poi lo show finisce e i problemi rimangono esattamente quelli che avevano preceduto l’incontro. Problemi che sono solo in parte riconducibili al braccio di ferro tra Torino e la Volkswagen, uno dei molti ingaggiati in questo periodo in Europa dall’ad del Lingotto. Il nodo da sciogliere è però più intricato, la questione più profonda: se ci sia posto nella sala dei bottoni dell’auto europea, oggi monopolizzata da tedeschi e francesi, per un terzo incomodo italiano. Da quando, all’inizio di quest’anno, l’ad del Lingotto è diventato leader dell’Acea, l’associazione dei costruttori europei, la questione è diventata di stretta attualità. Marchionne ha cercato di trasformare la crisi delle quattro ruote su questa sponda dell’Atlantico in opportunità per creare una sorta di direttorio dei costruttori. Questo, in fondo, è uno dei significati del tentativo, fallito, di «fare come per la siderurgia » ottenendo da Bruxelles incentivi e sconti per chi chiude stabilimenti. La proposta di Marchionne avrebbe consentito a Torino di distribuire anche sui concorrenti il peso sociale della riduzione degli addetti e delle linee. Ma la risposta
che è venuta soprattutto dalla Germania è stata un secco no. E quella risposta, condita dalle punzecchiature sulla vendita dell’Alfa, è stato uno dei detonatori delle ultime polemiche. Il no tedesco ha una seria motivazione tecnica: si calcola che gli stabilimenti europei dell’auto oggi siano sovradimensionati rispetto alle richieste del mercato. La capacità produttiva in eccesso sarebbe superiore ai 2 milioni di unità. Ma non sarebbe equamente distribuita. Quella delle fabbriche italiane oggi sfiora il milione di auto ed è dunque vicina alla metà del problema da risolvere. Chiusure di stabilimenti le dovranno fare nei prossimi anni anche tedeschi e francesi (che in parte le hanno già annunciate). Ma il sospetto è che il problema più grande (in base ai dati di mercato di oggi) sia proprio quello italiano. Condividerlo a livello continentale vorrebbe dire alleviare il problema italiano ed aggravare quelli dei costruttori degli altri paesi. E’ plausibile che questi ultimi cerchino di evitare uno scenario del genere. La seconda strada tentata da Marchionne all’inizio dell’anno era quella di realizzare un’alleanza industriale e finanziaria che dividesse almeno sui governi di due paesi il peso e i costi necessari a sostenere economicamente la crisi dell’industria dell’auto. Così, all’inizio di gennaio, si erano avuti i contatti tra Torino e i francesi della Psa per far nascere in Europa un colosso delle utilitarie in grado di bilanciare i costruttori tedeschi. Un colosso dai piedi d’argilla perché, come si è visto negli ultimi mesi, Psa ha almeno 8.000 lavoratori in esubero e si prepara a chiudere lo stabilimento di Aulnay. Inoltre, un’alleanza con un costruttore di utilitarie avrebbe avuto pesanti ripercussioni sulla Fiat per i rischi di sovrapposizione della gamma. Ma l’azzardo avrebbe avuto il vantaggio di dividere i costi di ristrutturazione tra Italia e Francia e di creare un polo mediterraneo dei costruttori in grado di dialogare alla pari con quelli dell’Europa centrale. Anche questo secondo progetto è fallito. Perché avrebbe finito per rafforzare le attività europee di Chrysler ed era dunque visto con sospetto dal gruppo Gm-Opel. Come accade non di rado nel mondo globalizzato, una battaglia tra Auburn Hills e il Renaissance Center di Detroit, sede della Gm, ha finito per giocarsi sullo scacchiere europeo, lontano migliaia di chilometri. Così Gm ha accettato in fretta l’offerta di un’alleanza tra Opel e gli stessi francesi della Psa, soffiando l’alleato alla Fiat e ricreando quell’asse franco-tedesco che, non solo nel mondo dell’auto, detta legge in Europa. La conseguenza è che il costruttore italiano è rimasto ancora una volta fuori dalla stanza dei bottoni anche se proprio Marchionne continuerà ad avere la leadership dell’Acea fino a dicembre del 2014. A patto, ed è questo il senso dell’incontro chiarificatore di Parigi, che non entri in rotta di collisione con i costruttori tedeschi. I quali, per parte loro, continuano a minacciare di scendere in Italia a fare shopping. Dopo Lamborghini, Ducati, Giugiaro, potrebbe toccare all’Alfa, oggetto del desiderio della Volkswagen di Winterkorn. Ipotesi che comincia a mietere consensi anche in Italia, tanto che in un’occasione è stato proprio Marchionne a indicare l’esistenza in Italia di gruppi d’opinione filotedeschi. Tagliata fuori dall’asse Parigi-Berlino e minacciata dallo shopping germanico, che cosa farà la Fiat in Europa? A quali alleanze alternative sta pensando il Lingotto per fronteggiare il problema della sua sovracapacità produttiva? Recentemente l’ad della Fiat ha risposto che «stiamo lavorando ad alleanze fuori dall’Europa », e molti hanno pensato che si riferisca ai giapponesi della Mazda o alla Suzuki. Questi ultimi continuano ad avere rapporti difficili con Volkswagen (che ha il 20 per cento della società nipponica) e potrebbero rinsaldare la loro collaborazione con Fiat sui motori e sui modelli (oggi le due case producono insieme il Sedici). In ogni caso il rischio è che la Fiat sia costretta ad abbandonare la battaglia europea rinchiudendosi nel fortino italiano e intrecciando da questo alleanze anche industriali con aree esterne al Vecchio Continente. Una strategia che potrebbe avere ripercussioni anche sulle vendite. A settembre la Fiat è scesa sotto la soglia del 6 per cento del mercato continentale e ormai vende nel resto d’Europa la stessa quantità di auto che immatricola in Italia: circa mille auto al giorno da Lisbona a Kiev. Una parte di questi interrogativi potranno essere sciolti a fine mese quando al Lingotto si riunirà il cda per esaminare i conti del terzo trimestre. Nell’occasione Marchionne dovrebbe fornire qualche elemento di chiarezza sull’attività degli stabilimenti italiani. Ma non sarà un vero e proprio piano: ormai l’ad di Torino conosce le insidie dei progetti troppo precisi che rischiano di essere smentiti dalla realtà.