Salvatore Tropea, Affari & Finanza, La Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
FIAT, GLI AGNELLI E IL BIENNIO PIÙ DIFFICILE LE SCELTE DELLA FAMIGLIA SULL’AUTO IN CRISI
«L’ anno peggiore dell’ultimo quarantennio». Sergio Marchionne continua a ripeterlo, aggiungendo che «il mercato italiano dell’auto non si riprenderà nel 2013 se non in misura marginale». Gli esperti hanno già coniato il termine «demotorizzazione » per dire una disaffezione indotta dalla recessione e che la Fiat, in Italia e in Europa, sta pagando più dei concorrenti con i quali condivide questa caduta dei mercati che pare inarrestabile e che ha cominciato a intaccare anche le sicurezze della stessa Germania. La previsione di chiudere il 2012 con una produzione di poco più di 400 mila vetture in Italia e una perdita di 700 milioni di euro a livello europeo fotografa lo stato di salute del Lingotto, gli impone di rivedere i target, ma non dice tutto. «La Fiat, nel suo insieme, è sana e in ottima forma», ha assicurato Marchionne, riferendosi ai risultati della prima metà dell’anno da lui definiti «in linea con i nostri obiettivi». Potrà confermarlo al board di fine ottobre sul terzo trimestre? Se lo si chiede al Lingotto la risposta è sì. I numeri non sono sostanzialmente cambiati rispetto a tre mesi fa e indicano ricavi superiori ai 77 miliardi di euro, un utile della gestione ordinaria compreso tra 3,8 e 4,5 miliardi (il più alto nei 113 anni di storia di una società che pure includeva Fiat Industrial), un utile netto tra 1,2 e 1,5 miliardi, un indebitamento netto industriale tra 5,5 e 6 miliardi, una liquidità largamente oltre la soglia di 20 miliardi. Se le cose stanno effettivamente così i ritocchi al ribasso riguarderanno soltanto le attese per una produzione che dovrà essere commisurata a una caduta del mercato che fa apparire un miraggio persino i 2 milioni e mezzo di vetture vendute in Italia nel 2011 che pure non era stato certo tra gli anni migliori, anzi era stato il punto più basso dal 2007.
«Ci sarà una revisione del piano industriale sulla base del mercato che è cambiato», dice il numero uno di Fiat e Chrysler e fin qui non ci sono grandi novità rispetto a quello che va sostenendo da tempo. Che cosa intenda per «revisione » lo si saprà meglio il 30 ottobre anche se è assai improbabile che egli scopra le carte. L’unica cosa certa è che riproporrà la versione della Fiat «bifronte» che guadagna nelle Americhe, dal Canada al Brasile, e perde in Italia e in Europa. Una realtà, questa, di cui sembra essere più che convinto il giovane presidente John Elkann per il quale «è meglio far parte di un gruppo che c’è e fa profitti piuttosto che di un gruppo che non c’è più». E se poi, come lui ha detto, la Fiat conta di chiudere il 2012 con un risultato economico aggregato che sarà il migliore della sua storia, con l’aria che tira, questo all’azionista di controllo può bastare, eccome.
Finchè si rivedono le previsioni industriali la famiglia Agnelli non ha motivo di preoccuparsi. «Essa non è stata mai tanto garantita e tranquillizzata dal punto di vista finanziario come lo è adesso», assicura un analista che segue da tempo le vicende Fiat.
«Marchionne deve preoccuparsi soltanto di mantenere questo stato di cose. Che poi i soldi arrivino dall’America piuttosto che dall’Europa conta poco». Dopo tutto, il ceo di Fiat e Chrysler sa che il suo rapporto con gli eredi dell’Avvocato si regge su questa garanzia e lavora affinché essa non subisca incrinature. Tanto più in un momento in cui gli affari di Exor, la società di investimenti attraverso la quale gli Agnelli controllano Fiat, non sembrano dare molte soddisfazioni. Il piano di investimenti di Exor, dal Giappone agli Stati Uniti, passando per l’Europa, procede infatti al rallentatore. La crisi internazionale morde e non aiuta a trovare grandi opportunità. E anche l’avere affidato in giugno la responsabilità degli investimenti all’avvocato di affari e banchiere elvetico-iraniano, Shahariar Tadjbakhsh, ha prodotto sinora poche novità. La sua esperienza in America, Europa e Asia, gli 800 milioni di euro in cassa, e il miliardo di bond emessi a più riprese (l’ultimo da 150 milioni è della settimana scorsa) non sono bastati a piazzare il «colpaccio ».
Una ragione di più perché gli Agnelli guardino con sempre maggiore interesse all’asset Fiat che rappresenta la parte preponderante di Exor assieme a Fiat Industrial (60 per cento del portafoglio di cui 20 è auto e 40 camion e trattori). «I conti sono buoni ma i soldi vengono dall’altra parte dell’Atlantico », dicono in Fiat per tranquillizzarsi e anche per dare un senso alla strategia attendista di Marchionne. Il quale ha scelto di aspettare la fine della bufera, compensando con i profitti americani la famiglia Agnelli e sperando che Roma e Bruxelles, per strade diverse, lo aiutino a risolvere il rebus della Fiat italiana. Ma è su questo percorso che gli analisti hanno qualche dubbio e perciò lo tengono d’occhio, seguendo tutte le sue mosse e anche le reazioni dei suoi avversari che da qualche tempo sono più numerosi di quanto lui potesse immaginare. Nel suo dossier i problemi sono più d’uno.
La difficoltà più immediata con la quale deve fare i conti è quella del ritardo di nuovi modelli. Lui continua a sostenere che, nel perdurare di un mercato in caduta libera, non è saggio produrre automobili «che nessuno compra o che pochi comprano». Le argomentazioni per confutare questo ragionamento e che vengono addotte continuamente da più parti non lo hanno sinora convinto ad abbandonare la strada imboccata quando pensava che la crisi sarebbe stata meno cruenta e meno lunga di quanto poi si è rivelata. Ma se la ripresa non ci sarà prima del 2014 allora troverà lunga l’attesa, a meno che non ritenga di farcela con qualche nuova versione della Panda come quella presentata la settimana scorsa o con poco altro. I sindacati si attendono che a fine mese fornisca indicazione sulle produzioni da destinare ai quattro stabilimenti italiani. Ma non ci sperano tanto. Lo esclude la Fiom di Giorgio Airaudo ma anche un dirigente della Fim che segue da tempo il Lingotto come, Claudio Chiarle, osserva che «per due anni si può resistere senza nuovi modelli, ma se di anni se ne lasciano passare quattro allora si perde il passo e il recupero diventerà veramente problematico».
Un’altra difficoltà, Marchionne la sta incontrando sul fronte europeo da lui aperto nel tentativo di coinvolgere in una battaglia coÈ mune gli altri costruttori. La richiesta di agevolazioni che aiutino il settore a uscire dal guado a livello europeo non sembra trovare la sponda giusta. E anche l’appello alla Ue perché «smetta di sottoscrivere accordi di libero scambio in un momento difficile come questo», ancorchè lanciato nella sua veste di presidente dell’Acea, l’Associazione dei costruttori europei di auto, non ha ancora fatto registrare un seguito apprezzabile. Anche perché, come dice qualcuno, Marchionne non ha in Europa gli amici che pensava di avere e, col suo carattere, fatica a trovarli. Non solo nella Germania della Volkswagen e della Merkel ma anche altrove.
Da non sottovalutare poi l’incognita rappresentata dal comportamento del mercato Usa. Gli analisti avvertono infatti che non è per niente scontata una tenuta del mercato americano dell’auto sui ritmi degli ultimi due anni che tante soddisfazioni hanno dato a Marchionne. Il quale deve riprendere in esame anche il capitolo riguardante la politica delle alleanze che, per via della crisi ma non solo, ha subito un sensibile rallentamento. E che, per alcuni aspetti, ha visto la Fiat del 2007-2008 trasformarsi da cacciatore in lepre. Un cambiamento, questo, che negli ultimi mesi ha riproposto ripetutamente l’ipotesi della messa in vendita dell’Alfa Romeo anche se Marchionne ancora di recente l’ha respinta con fermezza.
E con una convinzione che ha indotto qualcuno a pensare che la partita possa essere più grossa di quella relativa a un marchio più che prestigioso. Ma fino a quando da Detroit e da Belo Horizonte arriveranno soldi non c’è urgenza, almeno per l’azionista di controllo. Più avanti, dopo il ritorno di Chrysler a Wall Street se ne potrà parlare.