Marco Panara, Affari & Finanza, La Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
PICCOLI EQUIVOCI SULLA TOBIN TAX
Se compro un litro di latte pago una tassa, l’Iva, se compro un’azione Generali o un’obbligazione Enel invece no. Almeno fino ad ora. Di questa assenza di tassazione sulle transazioni finanziarie approfittano coloro che scambiano frequentemente azioni, obbligazioni o derivati. Alcuni molto frequentemente, anche centinaia di volte in un solo minuto. Da questi scambi frequenti guadagnano gli intermediari, ovvero i soggetti che gestiscono le transazioni, e le Borse, ovvero le piattaforme sulle quali quelle transazioni avvengono. L’economia non ne guadagna invece nulla e anzi la volatilità dei prezzi alimentata dalla frequenza degli scambi si trasforma in un danno. Ora sta per arrivare la Tobin Tax, una tassa sulle transazioni finanziarie per un importo che sarà nell’ordine dei decimillesimi rispetto al valore del titolo scambiato.
Gli operatori finanziari si sono ovviamente scatenati contro: sono loro che guadagnano su ogni ordine di acquisto e di vendita e una tassa, anche se contenuta, inevitabilmente limiterà il numero delle operazioni perché le renderà meno convenienti. Il governo italiano ipotizza che in seguito all’introduzione della tassa gli scambi azionari si ridurranno del 30 per cento e quelli sui derivati dell’80 per cento. Probabilmente è una ipotesi pessimistica ma, incassi di Borsa Italiana Spa (che è del London Stock Exchange) e degli intermediari a parte, anche se così fosse non ci sarebbe da strapparsi le vesti. Quelli che verrebbero a mancare
non sono gli acquisti e le vendite degli investitori di medio e lungo periodo, che sono quelli che danno sostanza al mercato e i cui investimenti ricadono sull’economia, ma buona parte di quelli che comprano e vendono per lucrare sulla differenza delle quotazioni nel breve e nel brevissimo periodo. Danni per l’economia quindi pochi o nulli, danni per il miglio d’oro della finanza invece forse parecchi. Questa è la posta in gioco che spiega le reazioni di questi giorni. Per evitare che la Tobin danneggi gli emittenti è previsto che ne siano esenti i collocamenti e le nuove emissioni, ovvero i due soli momenti nei quali il denaro finanziario finisce alle imprese e quindi all’economia reale. Mentre deve essere chiaro, e il governo italiano su questo non lo è stato, che a pagare la tassa è chi compra, quindi l’investitore, risparmiatore o speculatore che sia, e non l’intermediario. E’ una nuova tassa, il che - secondo la filosofia corrente - la rende di per sé sgradevole, ed è a carico di chi investe, il che potrebbe scoraggiare l’investimento. Dall’altra parte della bilancia c’è il fatto che si tratta del primo prelievo su un mondo e su un modo di operare che ha grosse responsabilità per la situazione nella quale oggi ci troviamo. Non si tratta di punirlo ma di riportarlo con i piedi su quella terra nella quale ogni giorno si dibatte una economia reale in asfissia in parte anche perché l’ossigeno di cui avrebbe bisogno le viene sottratto da questa funambolica e ipertecnologica finanza. Per capire di cosa parliamo bastano tre numeri: il prodotto lordo globale è stato nel 2011 di 70 mila miliardi di euro, il totale della ricchezza finanziaria nello stesso anno è pari a 256 mila miliardi di euro, il totale della finanza derivata ha raggiunto la fantasmagorica cifra di 648 mila miliardi di euro. Il quarto numero ci dice che per ogni dollaro di pil ce ne sono 12,9 di finanza e derivati. Questi ultimi in particolare, per lo più non regolamentati, sono solo per meno di un quinto legati ad operazioni reali, ovvero a coperture sulle oscillazioni dei tassi di cambio e dei tassi di interesse. Il resto è speculazione purissima. Niente moralismi quindi ma la ricerca di un equilibrio che oggi non c’è. La Tobin Tax non basterà a ripristinarlo ma può essere un passo. Ad alcune condizioni che oggi non ci sono. La prima è che si applichi ovunque, e così non sarà perché ad applicarla saranno solo 11 paesi dell’Europa continentale (e tuttavia da qualche parte bisogna cominciare). La seconda è che sia omogenea, ovvero uguale in tutti i paesi che la prevedono, e qui già si vedono i frutti dell’azione delle lobby e l’approssimazione di alcuni governi: una Tobin Tax che abbia meccanismi diversi in Italia rispetto alla Francia o in Francia rispetto alla Germania farebbe solo danni. La terza è che sia universale, ovvero che colpisca la transazione su tutti i titoli (escluso il momento della emissione) emessi, scambiati o intermediati da soggetti residenti nei paesi che la applicano. L’esclusione dei titoli pubblici da questo punto di vista è un errore, anche perché è proprio su quelli che la speculazione fa maggior danno. Né l’esclusione tutela i piccoli risparmiatori: chi compra un titolo all’emissione e lo conserva fino a scadenza non sarebbe soggetto alla tassa, e questo è il comportamento prevalente delle famiglie. Infine, poiché quello che delle tasse conta non è solo chi le paga, è importantissima la destinazione delle risorse che attraverso di essa si raccoglieranno. Sarebbe bello che questa fosse una tassa europea, sia pure al momento di una parte solo dell’Unione, e avrebbe un senso che andasse a finanziare le due cose di cui oggi l’Europa ha più bisogno: stabilità (finanziaria) e lavoro (crescita). Ma tenere i rapaci ministeri dell’Economia lontani dalla preda sarà la cosa più difficile di tutte.