Andrea Tarquini, la Repubblica 22/10/2012, 22 ottobre 2012
A 25 ANNI DENUNCIO FACEBOOK NEL NOME DELLA PRIVACY DI TUTTI
Ha appena 25 anni, lo studente viennese di Legge che sfida Facebook. In nome del diritto alla privacy garantito dalle legislazioni europee contro l’abuso dei dati personali. «Anche queste battaglie decideranno come sarà il mondo di domani », dice. Si chiama Max Schrems, e raduna veloce consensi.
Europe vs.Facebook
è la sua piccola rivoluzione online. Ha raccolto un dossier di oltre 1200 pagine, e ventimila adesioni. Ha lanciato un
fund raising per mettere insieme 100mila euro almeno per affrontare sicuri i costi di una causa contro Facebook in Irlanda, base legale dell’azienda di Mark Zuckerberg in Europa. «È stata un’avventura esaltante e carica di tensioni positive fin dall’inizio», mi racconta al telefono.
Signor Schrems, come le è venuta in mente?
«Mi sono cominciato a chiedere se le leggi che pressoché tutti condividiamo in Europa a difesa della sfera privata possano imporsi ed essere difese o no anche per limitare il comportamento di grandi gruppi americani nel mondo virtuale. Quei gruppi hanno un’idea di privacy diversa dalla
nostra».
Facebook come esempio o capro espiatorio?
«Facebook è un caso esemplare, se solo pensiamo alle sue dimensioni. Ma la questione è rispondere alla domanda se riusciremo a imporre in Europa il rispetto delle leggi europee sulla privacy, o se queste resteranno solo una foglia di fico».
Come ha cominciato a lanciare la sua iniziativa?
«Ho studiato sei buoni mesi nella Silicon Valley. Là un portavoce di Facebook ci ha parlato delle leggi europee sulla privacy con un approccio totalmente diverso da quello del Vecchio continente. Secondo lui, finché gli internauti non dicono espressamente “no” alla diffusione di notizie su di loro, si sottintende che approvino ogni uso dei loro dati. Gli risposi: “No, guardi, in Europa è diverso”».
E poi?
«Ho scritto una dissertazione sul tema per l’università dove studiavo, dopo aver ascoltato alcuni amici. Abbiamo fatto con loro un
test: inviando dati in rete sui profili e poi cancellandoli per vedere cosa ne facevano. Facebook è stata abbastanza ingenua da continuare
a usare dati da noi cancellati. Anche i dati più problematici».
Che cosa avete scoperto quindi?
«Ho discusso con i miei amici di come rendere pubblico il problema. Ci siamo detti che potevamo rivolgerci alle autorità irlandesi
perché gli affari europei e internazionali di Facebook fanno base in Irlanda, per motivi fiscali».
Come hanno reagito le autorità
irlandesi?
«Hanno accolto il ricorso. Ma le loro autorità per la difesa della privacy sono soverchiate dalla mole di lavoro. Hanno 22 persone soltanto. Ora aspettiamo una decisione della magistratura entro fine anno».
Quali sono le vostre accuse concrete?
«Si riferiscono a una ventina di casi diversi. Abbiamo verificato che quanto cancellavamo restava on line un anno. Sul mio profilo ho visto anche informazioni su di me inserite da altri. Volontà degli utenti violata, dunque. Trasparenza e controllo sono i problemi. Senza approvazione esplicita non si possono, in Europa, diffondere i dati di qualcuno. Se un utente cancella i proprio dati, deve avere la garanzia che non li usino più. È un errore grossolano, loro si giustificano parlando di “problemi di comunicazione”».
Come va con le autorità irlandesi?
«Parlano ma non agiscono. Al massimo inviano lettere. Abbiamo discusso molto con loro. Non ci è concesso un accesso agli atti, neanche alle repliche di Facebook alle nostre accuse».
Facebook ha reagito male?
«No, sono molto corretti. Richard Allan, loro responsabile per l’Europa, è gentilissimo. Niente atteggiamenti ostili, niente pressing. Si sforzano di convincere che il loro comportamento in Europa è in ordine, noi non siamo d’accordo».
Che accadrà ora?
«La denuncia è a nome mio, sentenza possibile entro fine anno. In Irlanda gli avvocati sono carissimi. Cerchiamo di raccogliere da 100mila a 300mila euro per la certezza di coprire le spese legali. Se vinco, Facebook mi dà i soldi, se perdo, devo pagare anche i suoi avvocati. Ma sono tranquillo. Quella irlandese sarà una sentenza- precedente, un modello cui tutti dovranno adeguarsi, Google e eBay. Facebook ci piace, è una tecnologia eccellente, ma è un monopolio e va adeguato alle leggi. Gli effetti della sentenza saranno globali, che vinciamo o no. Per questo ci chiamiamo
Europe vs.Facebook,
ne va di valori costitutivi europei. Se vinciamo avremo posto un precedente per la privacy nel web. Se perdiamo possiamo lanciare un dibattito politico su un tema-chiave del futuro».