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 2012  ottobre 22 Lunedì calendario

AIUTO MI SI È RISTRETTA LA SPESA


La signora Rita — camicetta, gonna, sandali ancora estivi — insegna alle medie e guadagna un po’ più di mille euro al mese. A stare ai dati fiscali, l’80 per cento degli italiani ha un reddito, al massimo, pari al suo e molti guadagnano assai di meno. Siccome ai dati fiscali, però, non ci crede nessuno, diciamo il 60 per cento. Ecco, dunque, una rappresentante del 60 per cento degli italiani, in piedi nell’ala detersivi del supermercato, impegnata in un complicato calcolo mentale: conviene comprare la scatola da 5,95 euro, 730 grammi in dosi preconfezionate, 21 lavaggi garantiti o il fustino da 13,95 euro, 4 chili di detersivo? Quante volte si può fare la lavatrice, con 4 chili? «In realtà — spiega — prima ci perdevo un po’ di tempo a fare questi calcoli. Adesso, taglio corto e compro quello che costa meno, anche se, fatti tutti i conti, magari si scoprirebbe che costa di più». Perché? Semplice: è la nota maledizione della quarta settimana. Il vero problema non è spendere meno in assoluto, ma scavallare fine mese e arrivare alla prossima busta paga, rata di pensione, sussidio di cassa integrazione. Siamo ormai consumatori dal fiato corto, non si programma più. La crisi picchia da quattro anni, gli italiani risparmiano la metà di prima, in un anno il potere d’acquisto delle famiglie è sceso di oltre il 4 per cento. Ricordate il 3 per due, compri due prendi tre? Era l’era dell’abbondanza, dei consumi facili. Finita: due costano comunque troppo. Ora siamo all’era del mezzo per mezzo.
Il cruccio della signora Rita è lo stesso cruccio di decine di milioni di famiglie europee, dall’Italia alla Spagna, dalla Grecia alla Francia. Nell’area euro, i consumi del 2012 scenderanno dello 0,7 per cento, un brutto dato che, per giunta, è una media. In Irlanda, il calo è di oltre il 2 per cento, in Grecia di quasi il 7, in Portogallo più del 5, in Olanda l’1,2 per cento, in Francia l’aumento sarà solo dello 0,6. In Italia, la spesa per consumi scenderà dell’1,9 per cento: di fatto, spendiamo già nei negozi meno di quanto facessimo nel 2005.

Ecco perché il cruccio dei consumatori è diventata la preoccupazione di chi, ai consumatori, vende. Supermercati, grandi catene, multinazionali del ménage quotidiano registrano che il numero di volte che un italiano va a fare la spesa è sceso del 2,5 per cento rispetto ad un anno fa e del 7 per cento rispetto a prima della crisi. Soprattutto, lo scontrino medio per ogni singola spesa è sceso a 28,20 euro in Italia, a 17 euro in Spagna. Ora, si può pensare che metà del bilancio di una visita al supermercato finisca nel detersivo per la lavatrice? Se lo è chiesto Jan Zijderveld, responsabile per l’Europa di uno dei giganti del settore, l’Unilever (Algida, Knorr, Mentadent, Cif). La risposta è no, ma la soluzione non è complicata. Zijderveld non ha dovuto scervellarsi troppo: gli è bastato far tesoro dell’esperienza mondiale di Unilever, leader nei paesi emergenti. L’indicazione certifica ufficialmente — fuori da ogni pregiudizio o ironia, perché le multinazionali sono notoriamente senza cuore, dunque spietatamente lucide — che l’Europa può ormai essere considerata un continente povero, sul bordo del Terzo mondo. E, come nei paesi poveri, una delle strategie di vendita è ridurre le dimensioni delle confezioni, per rendere la spesa più abbordabile. Oppure, rendere i prodotti meno complessi e sofisticati, dunque più economici.
Chi ha seguito l’ascesa delle classi medie nei paesi emergenti di Asia e Africa, sa che uno degli
indicatori — rozzi, ma di pronto uso — è verificare cosa c’è sugli scaffali dei negozi. Quali prodotti e in quali confezioni. Lo shampoo, ad esempio, è qualcosa di superfluo che, oggi, però, una giovane malese può considerare assolutamente necessario. Ma un flacone da 20 lavaggi può essere troppo costoso per il suo bilancio.
«In Indonesia — ha spiegato Zijderveld, qualche settimana fa, in un’intervista a
FT Deustchland
— lo stipendio medio è meno di 400 dollari al mese. Allora, noi vendiamo confezioni di shampoo monodose a 2-3 centesimi e riusciamo ancora a guadagnarci». In Europa, Unilever ha cominciato a sperimentare
questo tipo di strategia, in particolare in Grecia e in Spagna. In Grecia, per ora, c’è solo un minisnack patate e maionese. Ma, in Spagna Unilever ha affrontato di petto proprio il problema lavatrice, vendendo “Surf” in confezioni da 5 lavaggi.
Anche gli altri giganti si stanno muovendo in direzioni simili. La
catena di supermercati Leclerc che, finora, in Italia, vendeva gli yogurt solo in confezioni multipack, ha iniziato a venderli anche per singolo vasetto. I loro concorrenti di Auchan hanno creato una lista di 50 prodotti organici, da vendere ognuno sotto la soglia psicologica di un euro. È la stessa soglia verso cui guarda il
colosso Nestlè. L’estratto vegetale per brodo, in miniconfezione da un euro, originariamente creato per l’Europa dell’Est, viene distribuito, ora, anche ad Ovest. Lo stesso vale per la versione economica del Nescafè, chiamata, forse per risparmiare anche sull’etichetta, Nes. E per ulteriori prodotti, come salsicce e pizze. Altri grandi gruppi seguono ricette più tradizionali, ma in misura più massiccia di prima. Carrefour ha intensificato la presenza sui suoi scaffali di prodotti senza marchio (cioè a marchio Carrefour): la loro quota sul totale delle vendite è, ormai, del 20-25 per cento, alimentata, soprattutto, dallo sconto sul prezzo: mediamente, i prodotti Carrefour costano il 30 per cento in meno delle grandi marche. Anche la più grande casa di cosmetici del mondo «si è dovuta — per usare le parole del suo amministratore delegato, Jean-Paul Agon — adeguare all’ambiente »: L’Oréal si è lanciata in una campagna di pesanti sconti per reggere a quella che Agon
chiama apertamente «la pauperizzazione dell’Europa».
Per reagire alla pauperizzazione dell’Italia, Unilever ha scelto di seguire alcune di queste indicazioni, piuttosto che la strategia d’urto adottata in Spagna, nella convinzione che il nostro mercato sia meno asfittico, anche se il senso delle iniziative è identico. Per ora, dunque, niente miniconfezioni, ma un riaggiustamento verso il basso delle proprietà tecnologiche dei prodotti. In buona sostanza, dentifricio e shampoo assicurano ugualmente pulizia e protezione, ma senza gli effetti antitartaro o morbidezza dei prodotti di gamma più alta. Queste formule semplificate hanno ottenuto un buon successo nei mercati più poveri. In Italia, Unilever ha iniziato a distribuirle nel Mezzogiorno e ora inizierà la vendita anche al Nord e al Centro, contando sull’effetto prezzo. Dimension, lo shampoo, costa 1,06 euro contro i 2,40 della media di mercato. Cif, un detergente per la casa, è in vendita ad un 30 per cento in meno rispetto alla media dei concorrenti, mentre il Mentadent base costa 1,08 euro contro la media di 1,90 euro.
In realtà, spiegano a Unilever, la diffusione di questi prodotti, almeno nelle intenzioni, ultraeconomici, non significa affatto che gli analoghi di alta gamma (tipo i dentifrici proteggi-gengive, antitartaro, sbiancanti ecc.) incontrino difficoltà di mercato. Dentifrici e shampoo ipertecnologici vanno a gonfie vele. È un altro tratto da paese povero che emerge, con la spaccatura che si approfondisce fra quelli che hanno molto da spendere e quelli che, invece, ne hanno assai poco. Il prodotto medio tende a
scomparire, insieme alle classi medie. È la difficile realtà che il mondo della distribuzione si prepara a navigare anche il prossimo anno: tecnici, esperti, vertici delle grandi multinazionali ne stanno discutendo in queste settimane e le strategie verso cui si avviano sono, ancora, segreti industriali. Il panorama, però, rischia
di non essere molto diverso. Per il 2013, le statistiche europee prevedono in media una pallida ripresa delle vendite, ma nei paesi in declino già quest’anno, come Italia e anche Olanda, la spesa finale per consumi continuerà a scendere. Per la prima volta, dopo molto tempo, anche il cibo potrebbe diventare un problema, in alcuni paesi europei. Quest’anno, la spesa per mangiare è diminuita, nell’Europa occidentale, del 2,7 per cento, rispetto al 2011. Euromonitor, una società di ricerche di mercato, sostiene che è scesa del 9 per cento in Grecia e del 7 per cento in Irlanda. Ritmi allarmanti, che potrebbero accelerare ulteriormente davanti all’ondata di aumenti dei prezzi alimentari che si annuncia, dopo i cattivi raccolti di quest’anno: il prezzo del frumento, negli ultimi mesi, è cresciuto del 25 per cento, dice la Fao, quello del granturco del 13 per cento e latte e formaggio del 7 per cento. Una volta, stringere la cinghia era solo una metafora.