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 2012  ottobre 22 Lunedì calendario

“I TORTELLINI? LI FACCIO A CHICAGO”


Una volta non c’erano orari». Adesso, però, la sua giornata «dev’essere un divertimento». Entra in azienda alle 8 del mattino, ma si concede almeno mezz’ora di nuoto al giorno.

Giovanni Rana, presidente dell’omonima azienda, oggi nelle mani del figlio e ceo Gian Luca, narra la sua storia iniziata in un piccolo laboratorio nel 1962 come una favola alla portata di tutti. Forse perché condivisa da anni con i consumatori in televisione. «Sono genuino come i miei tortellini» spiega.
Come le è venuta l’idea di diventare il protagonista degli spot aziendali?
«Negli anni Novanta un’indagine Nielsen, stimò un 20-30% di nuovi consumatori pronti a comprare pasta fresca e ripiena. Barilla, Kraft e molti altri pensarono di entrare nel business. Pietro Barilla venne a conoscermi perché voleva acquistare il 30% di Rana. Ma io risposi: perché lei non vende a Nestlè? Lui mi disse: «La mia azienda è un bel cavallo che non venderò mai». E io: «Dottor Pietro, il mio è un asinello, ma io e mio figlio vogliamo tenerlo perché ci divertiamo tanto». Non me lo chiese più e rimanemmo buoni amici. Però anche lui iniziò a fare tortellini. La Star investì in nuovi impianti, Kraft acquistò Fini. Io facevo una ventina di miliardi di fatturato ma tutti al tempo mi dettero per spacciato. Anche Star venne a bussare alla porta. Mi offrirono il doppio dei miei ricavi. Ma tenni duro».

E rilanciò. Andai da una piccola società veronese di comunicazione dicendogli: io voglio andare in tv per sbaragliare la concorrenza. Voglio dire: «Salve, sono Giovanni Rana e sono quello che fa tortellini». Fui definito pazzo, ma sono ancora qui.

Si è anche divertito tanto. «Fino al ’97 mi limitavo alle scenette. Facevo il ‘garante’ e i volumi salivano a due cifre. Poi feci un’indagine: tutti pensavano fossi un attore che interpretava Giovanni Rana. Così cambiai linea. Gavino Sanna mi disse: “Per non essere creduto un attore, devi fare l’attore”. E quindi recitai con Marilyn, Stalin, Bogart. Sono arrivato al 96% di popolarità e firmo ancora autografi. A novembre, per il 50esimo usciamo con lo spot in tv della storia d’azienda narrata assieme a Marilyn, Bogart e la Hayworth».

Come va l’azienda in questi tempi di crisi?
«Rana ha fatturato 374 milioni nel 2011. E’ presto per fare previsioni ma ci auguriamo di chiudere l’anno a 400. Abbiamo 7 stabilimenti di cui uno in Belgio e un secondo, appena inaugurato, in Illinois; il Gruppo tra il 2005 e il 2012 ha raddoppiato il numero degli addetti (oggi 1.200, ndr) assumendo personale con un ritmo del 12% annuo. In Italia copriamo il 41% del mercato della pasta fresca, oltre il 50% di quella ripiena. Siamo anche nella ristorazione con 28 presidi in Italia, 5 in Svizzera, uno a Londra, uno a Madrid e uno in Lussemburgo. Produciamo 940 diversi tipi di tortellini per tutti i palati, differenziandoci per Paesi. In Russia facciamo ad esempio i «pelmeni» che sono dei ravioli agliati con 60% di carne cruda. Qui in Italia non si venderebbero».
Avete internazionalizzato in America: 80 milioni di dollari di investimento – autofinanziato per un terzo – per presidiare un mercato che vale due miliardi di dollari. Quali le previsioni? «Al termine del prossimo triennio prevediamo 150-200 milioni di dollari annui. Già nel 2013 stimiamo ricavi per circa cento milioni».

Perché l’America?
«Era un sogno e lo coltivavo fin da ragazzino. Esportavamo lì già da cinque anni ma è difficile gestire il cibo fresco con i tempi dei trasporti. Era diventato un calvario. Così abbiamo scelto Chicago, nel cuore dell’agroalimentare Usa. Là hanno ottime carni e formaggi freschi. Noi mettiamo il nostro parmigiano reggiano, l’olio d’oliva… Abbiamo stipulato già contratti con grandi catene».
E’ possibile produrre oltreconfine il made in Italy?
«Sì. Anche comunicarlo. A novembre lanceremo la campagna e nelle grandi catene daremo la concessione dell’immagine per dire: «Giovanni Rana lavora per voi». Poi abbiamo studiato i loro sapori. Gli americani, ad esempio, adorano il pesto. Abbiamo dovuto fare vasetti da 4 etti e mezzo. Lo mettono dappertutto».
Ci sono in progetto altri stabilimenti?
«Siamo impegnati in Usa a 360 gradi. Per ora solo America».

Quanto all’export invece?
«Abbiamo superato il 50% e per fortuna perché ci aiuta molto. Stiamo curando la Russia e i mercati dell’Est come Ungheria e Polonia che stanno crescendo. Sul mercato italiano non soffriamo ma se andiamo avanti così toccherà anche a noi».
Siete entrati anche nel mercato dei single.
«Sì, con le confezioni da un etto e 20. Vanno molto anche all’estero. E’ una porzione giusta. Dico sempre a tutti: «Fatevi un etto di tortellini con una mela e starete bene».

Il prodotto esperimento che meno ha venduto?
«Il raviolo al cioccolato. Fu un fenomeno pubblicitario ma non è stato capito. Molti mi chiedono però se lo faremo ancora. Forse l’anno prossimo, verso Natale».